A onor del vero, Gianfranco Fini non disse mai: “Il Fascismo è il male assoluto”. Interrogato a Gerusalemme sulle grandi tragedie del Novecento, disse che “la sopraffazione dell’uomo sull’uomo è il male assoluto”. Siccome, però, la domanda era riferita al Fascismo, i giornali e le agenzie titolarono di conseguenza, con la nota e sopra ricordata frase di sintesi. Molti anni dopo disse di peggio, forse, ma non quelle parole; anzi, con una lettera scritta e firmata da Donato Lamorte, capo della sua segreteria politica, e indirizzata a tutti i componenti dell’Assemblea nazionale, fece sapere alla classe dirigente del partito che smentiva recisamente quel modo di riassumere il suo pensiero.
Possibile, quindi, che Giorgia Meloni si sia dimenticata di questi passaggi e rivendichi di condividere ciò che l’allora suo mentore non disse? Il realismo politico, non da oggi, insegna che “Parigi val bene una messa”, ma, nella sua guerra personale contro Enrico di Guisa ed Enrico III (curioso che anche l’avversario principale della Meloni si chiami Enrico e abbia avuto molto a che fare con la capitale di Francia), il rampollo dei Borbone – anche lui Enrico, di Navarra – giocava una partita per la monarchia assoluta.
Enrico IV
Tanto è vero che, dopo essersi convertito al Cattolicesimo e aver conquistato il regno, nella suprema veste di Enrico IV di Francia pose fine alle guerre di religione e concesse la libertà di culto, con l’Editto di Nantes del 1598, ai suoi vecchi correligionari ugonotti. Insomma, qualche compromesso, anche qualche compromesso importante si può – anzi, si deve fare – per conquistare il potere, purché, però, appunto, quel che si deve conquistare sia reale potere. Al contrario, ieri come oggi, la Meloni al pari di Fini, sembra affannarsi molto per sedersi nel seggiolone buono di Palazzo Chigi, facendo anche le opportune abiure circa un passato che non la riguarda nemmeno, non diradando, però, la sensazione che, sul quel seggiolone accomodata, dovrà continuare a farsi imboccare da chi il potere lo detiene veramente.
Sarà sfiducia, ma non ce la vediamo questa Meloni tanto preoccupata di vestirsi adeguatamente di Eurofilia, di neo-Atlantismo e ora anche di Antifascismo, sciogliere definitivamente i nodi ideologici e strumentali del Novecento, una volta presidente del Consiglio. Nodi – questo sia chiaro per i così detti “nostalgici” – che impediscono non già di rifondare “il” o “un” partito fascista storicamente inteso: se qualcuno è ancora affetto da questo tipo di malinconie, sono problemi suoi, non degli italiani; bensì di valutare, anche con un corretto e sereno giudizio sulla storia del nostro Paese, quale sia di volta in volta l’interesse e il bene per la nostra Nazione. Dichiarare la “fine del Novecento” nel dibattito pubblico non significa e non può e non deve significare che si possa tornare al passato, alle adunate in Orbace, al Passo romano, al salto nel cerchio di fuoco e men che meno al partito unico; deve significare che la capacità di riconoscersi pienamente nei principi costituzionali e repubblicani da parte di chi da quella storia in qualche modo proviene, dev’essere accompagnata dalla consapevolezza di tutti che quella storia si deve concludere anche per coloro che pensano di aver avuto ragione nel 1945, sciogliendo definitivamente – sotto il profilo internazionale, giuridico, morale e politico – il popolo italiano dai debiti che avrebbe contratto, uscendo sconfitto dalla seconda guerra mondiale.
Il fascismo non ha più senso?
Se il Fascismo non ha più senso, per come lo conobbe il Novecento, ancor meno lo ha l’Antifascismo, che pretenderebbe di sopravvivere anche nel XXI secolo. E per Antifascismo dev’essere correttamente intesa non solo la propaganda miserabile di Enrico Letta e compagni all’interno dei confini; ma anche e sopra a tutto quella delle nazioni che pretenderebbero di aver ancora voce in capitolo nei nostri affari interni come se non fosse stato firmato un trattato di pace, ma un mero “armistizio” che renderebbe alcuni popoli eternamente soggetti ad altri. Questo dovrebbe dimostrare la Destra in Italia e per questo dovrebbe battersi, sfidando gli avversari sul loro stesso terreno costituzionale e filosofico: la prevalenza assoluta dei diritti di libertà e, in primo luogo, anche della libertà dal passato. E il “passato che non passa” non è la Marcia su Roma di cui ricorrerà il centenario tra poco più di un mese, ma la dimensione di “paese a sovranità limitata” in cui ancora si vorrebbe tener imprigionata l’Italia. Se le “abiure” a questo servissero, chi mai negherebbe il voto alla ragazza di Roma? Si vedono, però, a Palazzo Chigi e nei dintorni, troppi signori con un piatto in mano e il cucchiaio nell’altra. E nessuno – nemmeno quelli che pure avrebbero la nostra cittadinanza – il classico “vola vola vola” con cui si facilita l’ingurgitare del boccone al bambino, lo recita in lingua italiana.