“Controcanto” – intervista a Claudio Mutti – 2^Parte
Controcanto alla narrazione ufficiale dei fatti nazionali e mondiali continua nella seconda intervista a Claudio Mutti, Direttore della Rivista di geopolitica Eurasia.
D. – Il presidente della Repubblica di Turchia Recep Tayyip Erdoğan, in una telefonata intercorsa con il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, ha avanzato la richiesta di un riconoscimento italiano dello Stato di Palestina. Perché finora lo Stato italiano non lo ha mai fatto?
R. – La posizione ufficiale dell’Unione Europea, ribadita durante il vertice dei capi di Stato e di governo dell’ottobre 2023, sostiene la soluzione dei due Stati (Israele e Palestina). Già nel 1999, al Consiglio europeo di Berlino, l’Unione Europea si dichiarava pronta a “riconoscere uno Stato palestinese a tempo debito”; finora lo hanno fatto soltanto nove Stati europei (Malta, Cipro, Polonia, Ungheria, Cechia, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Svezia) e tutti, tranne la Svezia, quando ancora non facevano parte dell’Unione.
Quanto all’Italia, dove l’influenza sionista sulla classe politica è piuttosto evidente, il ministro degli Esteri ha dichiarato che “riconoscere lo Stato di Palestina non aiuta a garantire la stabilità della regione”. Ed ha aggiunto: “Noi siamo favorevoli alla nascita di uno Stato palestinese che riconosca Israele e sia riconosciuto da Israele”. Non sarà fuor di luogo ricordare che nella Palestina occupata dai sionisti c’è un boschetto di diciotto alberi dedicato… ad Antonio Taiani: la comunità ebraica glielo ha dedicato nel 2017 per il suo suo impegno a “costruire ponti tra le religioni così come tra l’Unione europea e le varie confessioni”.
In ogni caso, l’idea dei due Stati (la potenza nucleare israeliana e una sorta di “riserva indiana” palestinese) comporta il riconoscimento della sovranità sionista sui territori palestinesi occupati nel 1948; ma lasciare intatta l’entità sionista esporrebbe tutta la regione ad una minaccia e ad un pericolo costante. Non c’è soluzione della questione palestinese (che sarebbe più corretto chiamare “la questione sionista”) se non quella fondata sul principio “tutta la Palestina, dal Giordano al Mediterraneo, per il popolo palestinese”.
D. – Nel suo discorso d’insediamento (ottobre 2022), Giorgia Meloni rendeva alla Camera dei Deputati le dichiarazioni programmatiche del Governo. Ne riportiamo un passaggio: «Il prossimo 27 ottobre ricorrerà il sessantesimo anniversario della morte di Enrico Mattei, un grande italiano che fu tra gli artefici della ricostruzione post bellica, capace di stringere accordi di reciproca convenienza con nazioni di tutto il Mondo. Ecco, credo che l’Italia debba farsi promotrice di un “piano Mattei” per l’Africa, un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area subsahariana. Ci piacerebbe così recuperare, dopo anni in cui si è preferito indietreggiare, il nostro ruolo strategico nel Mediterraneo». Il 29 gennaio 2024, nell’Aula del Senato della Repubblica, il Piano è stato presentato ai rappresentanti di 46 Paesi ed a 25 leader del continente africano. Alcune sue considerazioni in merito?
R. – Un piano definitivo di collaborazione con l’Africa richiederebbe una scelta netta e decisa a favore di una politica che definirei “eurafricana”, se mi è concesso di usare un termine che fu introdotto per la prima volta negli anni Trenta da studiosi di geografia e geopolitica quali Paolo D’Agostino Orsini di Camerota, Giorgio Roletto, Ernesto Massi e Karl Haushofer e che fu ripreso negli anni Sessanta da Jean Thiriart, il quale espose la visione eurafricana di Jeune Europe nel Manifesto alla Nazione Europea, in questi termini: “L’Africa deve vivere in simbiosi con l’Europa. Ne è il prolungamento naturale. È nostro compito associarci ai popoli dell’Africa aiutandoli, con ogni mezzo, a raggiungere lo sviluppo materiale e spirituale che li libererà dall’anarchia, consentendo loro di conquistare una vera indipendenza”.
Una prospettiva di questo genere è oggi più lontana che mai, perché, se l’Africa è il prolungamento naturale dell’Europa, l’Europa (considerata senza la Russia) è il prolungamento geopolitico dell’Occidente americano, tanto che alcuni dei suoi governi hanno fatto il lavoro degli USA distruggendo il Paese che era all’avanguardia dell’Africa: la Giamahiria libica.
A rimanere attuale, dunque, è una prospettiva inattuale: quella di una rivoluzione che restituisca all’Europa la sua sovranità, cosicché essa possa assolvere alla propria funzione nel più vasto contesto eurasiatico e nei confronti dell’Africa.
D. – Non accenna a diminuire la presenza statunitense in Europa orientale e la pressione esercitata alle porte della Federazione Russa. Tutt’altro! Basti vedere la Moldavia…
R. – Alla fine di maggio Antony Blinken si è recato a Chişinău, dove ha annunciato l’apertura di una nuova sede dell’ambasciata statunitense e una serie di finanziamenti destinati ai settori dell’energia e dell’agricoltura, nonché alla “lotta contro la disinformazione” attraverso il controllo dei mezzi d’informazione locali, al fine di consentire alla Moldavia di “resistere alle interferenze russe e proseguire nel percorso verso l’Unione Europea”. Le opposizioni politiche considerano la visita del Segretario di Stato americano e la sua promessa di aiuti finanziari come una violazione del principio costituzionale di neutralità, che potrebbe spingere il paese in una guerra contro la Russia.
D.- Riguardo al ruolo nordamericano in Medio Oriente: da una parte, gli statunitensi finanziano e sostengono Israele; dall’altra condannano la tragedia che si sta consumando sulla pelle della popolazione palestinese.
R.- Senza il sostegno degli Stati Uniti (paese in cui vivono sei milioni di ebrei, nerbo della classe dirigente) il cosiddetto “Stato d’Israele” cesserebbe immediatamente di esistere. Se il regime sionista non può fare a meno degli Stati Uniti, l’imperialismo statunitense non può fare a meno del suo avamposto sionista nel Vicino Oriente, che tiene continuamente sotto scacco la regione grazie alla minaccia dell’arma nucleare. È ovvio che le azioni criminali del regime genocida israeliano, che suscitano orrore in tutto il mondo civile, non possono essere apertamente condivise dall’Israele d’Oltreatlantico. Di qui il gioco delle parti e la commedia dell’“altra America”, quella “buona”: una commedia messa in scena già ai tempi del Vietnam coi vari Bob Dylan, Joan Baez et similia.
D. – I rappresentanti nazionali di Alleanza Verde Sinistra – Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni – hanno definito la Nato “un’alleanza che risale a un altro tempo”, che ha una “funzione che raramente è stata di stabilizzazione”. La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, sempre a proposito dell’alleanza militare atlantica, ha dichiarato: “Siamo per un’autonomia strategica dell’Ue nel seno dell’Alleanza atlantica. Ma il presupposto è che manca una vera politica estera comune dell’Unione europea”. Più chiara, rispetto a quest’ultima, la posizione di Marco Tarquinio (candidato indipendente nella lista PD alle Europee) che auspica lo scioglimento della Nato. Sta prendendo piede la consapevolezza di un’Europa finalmente sovrana e indipendente?
R. – Avuta notizia dell’interessante dichiarazione di Marco Tarquinio, ho chiesto la sua disponibilità ad essere intervistato per “Eurasia”. Ottenuta una risposta positiva, gli ho inviato le seguenti domande, per consentirgli di sviluppare il concetto da lui espresso e per avere chiarimenti sul suo impegno di parlamentare europeo.
- Le stragi contro la popolazione palestinese della Striscia di Gaza, da Lei correttamente qualificate come crimini contro l’umanità, sono commesse con armi che vengono fornite allo Stato ebraico dai suoi alleati occidentali, fra cui l’Italia. Quali iniziative concrete intende proporre affinché l’Unione Europea contribuisca a far cessare quello che si presenta come un vero e proprio genocidio?
- Le recenti dichiarazioni guerrafondaie del segretario generale della NATO mostrano che il sostegno fornito all’Ucraina da Stati Uniti e Unione Europea è arrivato ad un punto critico. Dobbiamo pensare che sia inevitabile morire per Kiev?
- Estendendosi verso le frontiere della Russia, la NATO ha evidenziato la sua funzione aggressiva. Cosa deve fare l’Europa per sottrarsi all’abbraccio mortale degli Stati Uniti, che vorrebbero usarla come avamposto e campo di battaglia contro la Russia?
- Lo scioglimento della NATO, da Lei coraggiosamente invocato, è la condizione necessaria perché l’Europa possa sottrarsi all’egemonia statunitense. Come arrivarci?
- Non ritiene che sia geopoliticamente più naturale e più logica l’ipotesi di un’alleanza con la Russia, potenza (anche) europea, anziché con uno Stato situato al di là dell’Atlantico?
Le risposte dell’intervistato non sono pervenute.
D. – Si sa che il calo demografico – così come l’ingente debito pubblico – condiziona negativamente lo sviluppo socio-economico dell’Italia. Alcuni giorni fa, nella relazione annuale sul 2023, il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha sottolineato che un flusso di immigrati regolari superiore a quello previsto dall’Istat potrebbe sostenere l’occupazione. Si può considerare di contrastare quello che è stato più volte ribattezzato come l’“inverno demografico” con l’attuazione di misure politiche diverse? In altri termini, non pensa che favorire in misura maggiore gli ingressi di extracomunitari mal si concilierebbe con gli interessi degli italiani ed europei?
R. – L’appello del superbanchiere Panetta può essere correttamente inquadrato nel progetto capitalistico della creazione di quel marxiano “esercito industriale di riserva” che permette di fissare i salari al livello di sussistenza e di garantire il massimo profitto all’imprenditore.
Tutto ciò, ovviamente, a spese pubbliche. D’altronde, tra quanti favoriscono apertamente l’immigrazione incontrollata e clandestina ci sono le ong del plutocrate George Soros, il quale ha sfacciatamente rivendicato il proprio ruolo di finanziatore dalle colonne di “The Wall Street Journal”. “Ho deciso – ha dichiarato qualche anno fa il famigerato speculatore – di stanziare 500 milioni di dollari per investimenti destinati in modo specifico ai bisogni di migranti, rifugiati e centri d’accoglienza.
Investirò in nuove imprese, società già esistenti, iniziative di impatto sociale fondate dai migranti e rifugiati stessi. Anche se il mio impegno principale consiste nell’aiutare migranti e rifugiati che arrivano in Europa, cercherò progetti di investimento che avvantaggino i migranti in tutto il mondo”.
Perfettamente legittimo, dunque, è il sospetto che buona parte dei movimenti transfrontalieri diretti verso l’Europa attraverso il Mediterraneo rientrino nel novero dei flussi migratori eterodiretti ed agevolati e costituiscano un’arma non convenzionale per destabilizzare l’Europa.
Matteo Pio Impagnatiello
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