C’è vita oltre Cappato – L’ultima impresa di Marco Cappato, che ha accompagnato per l’ennesima volta una persona a morire in Svizzera, ripropone il tema dell’eutanasia. Da anni radicali e radical chic di ogni sfumatura insistono sulla legalizzazione del suicidio assistito, dipingendolo come alta espressione di libertà individuale. L’imperante ideologia nichilista mescola pretese e diritti, confondendoli. Il valore della vita umana viene svilito ben prima della culla e fino alla tomba. Per chi soffre di patologie gravi non si investe, o lo si fa troppo poco, nella ricerca o nelle cure palliative.
Morte di stato
L’unica alternativa che viene offerta in sempre più paesi dell’Occidente è la morte. È di pochi giorni fa, proprio a ridosso della Giornata internazionale delle persone con disabilità, la sconcertante rivelazione della veterana dell’esercito ed ex atleta paralimpica canadese, Christine Gauthier, secondo cui, alla richiesta dell’installazione di un ascensore per disabili nella sua abitazione, un funzionario governativo le avrebbe risposto proponendole il suicidio medicalmente assistito. Sembra che l’ufficio assistenza veterani canadese abbia offerto questa simpatica opportunità ad altri cinque “fortunati”.
È ben chiara la visione che sta dietro questi episodi: Caro disabile, grazie per quello che hai fatto in precedenza ma…Ora non servi più. Sei un peso, un costo, una scocciatura.
Pertanto, non solo lo Stato evita di cercare una cura per la tua patologia, anche solo per ridurne le conseguenze, ma non spreca nemmeno dei soldi per un ascensore. Una bella punturina e problema risolto.
Un problema etico
La mercificazione della vita umana, che sta sdoganando, tra le altre cose, anche la compravendita di bambini, prevede la rottamazione dei soggetti non più in piena efficienza. E la risposta più immediata, scontata e barbara a chi cerca di lenire le proprie sofferenze diventa la soppressione.
A ben poco servono le Giornate internazionali, la retorica e le passerelle dei politici se non si rovescia radicalmente questa prospettiva, individuando nella vita un valore, nella ricerca una priorità, nel disabile una persona. Occorre anche ripensare il modello di ricerca medica, oggi pesantemente condizionato dalle multinazionali del farmaco, che perseguono principalmente la logica del profitto e solo secondariamente il benessere del paziente.
Occorre una nuova cultura della vita. O, forse, un ritorno alla cultura della vita che abbiamo improvvidamente voluto abbandonare.