Cani sciolti e guinzagli corti. Anzi, cortissimi . Cani sciolti. Un’espressione di sovrano disprezzo, quella usata da qualcuno della destra di governo per la schiera di ragazzi che, come tutti gli anni, hanno animato la commemorazione serale dei martiri di Acca Larentia.
Francamente, ragionare sul sostantivo è poco avvincente e molto meno interessante del soffermarsi a ragionare sull’aggettivo.
Sciolti da cosa, quei ragazzi?
Certamente, dal peso – per alcuni evidentemente non più sopportabile – di essere stati presenti e attivi, negli Anni di piombo, nella dura lotta politica che, dagli anni ‘70 alla prima metà degli anni ‘80, non solo ha bruciato tante giovani vite di destra (e non solo giovani, come nel caso di Enrico Pedenovi o di Mazzola e Giralucci a Padova), contraendo allora, come accade a tutti i sopravvissuti di una splendida, ma anche dura avventura comunitaria, un debito d’onore verso coloro che hanno versato il proprio sangue per la libertà di tutti.
Gran parte di quei ragazzi oggi additati come criminali da gran parte della stampa di regime – perché anche quando cambiano i governi, il regime continua ad assomigliare sempre a se stesso – non furono camerati di Franco, Francesco e Stefano, anzi, quasi tutti nemmeno erano nati, nel gennaio 1978.
Eppure, li sentono e li vivono ancora, nella loro memoria, come camerati, i migliori tra i camerati che si possono avere.
E non perchè ne abbiano condiviso la scelta politica e partitica negli anni successivi – tanti di loro erano di CasaPound, dove “missino”, almeno fino al 2010, era poco meno di un insulto -, ma perchè ne ammirano ancora lo spirito di sacrificio, la tensione ideale, il coraggio fisico e morale con cui, sotto l’insegna della fiamma tricolore, difesero le ragioni e la libertà di un’Italia che i democristiani e i comunisti volevano spolpare nell’anima e nelle risorse morali, economiche e sociali.
Fedeltà
In questo senso, quei ragazzi possono anche non adontarsi del sostantivo, se il cane è – e certamente lo è – un simbolo di fedeltà, di amicizia, di abnegazione nella protezione di ciò che a esso è caro ed è prezioso per il branco.
Torniamo all’aggettivo, però. Sciolti, certo, quei ragazzi, anche dalle preoccupazioni di nascondere i propri sentimenti per compiacere chi si arroga il diritto di “legittimare” ciò che si può dire e ciò che bisogna tacere; quello che si può fare e quello che non si deve nemmeno immaginare di compiere; ciò che si può pensare e ciò che deve essere addirittura espulso dalla mente, a partire dal cervello e dalla capacità di usarlo.
Sciolti, quei ragazzi dall’ansia di risultare gradevoli e accettabili a coloro che, quando hanno potuto, hanno cercato di distruggerne ogni possibilità di espressione, di agibilità politica e sociale, ammiccando ancor oggi a quanti, almeno con più coraggio, ma solo poco di più, ha attentato anche alle loro vite e alla loro incolumità fisica.
E non solo nei lontani anni ‘70 e ‘80, ma anche più di recente.
Barboncini da passeggio
E l’assenza di questa ansia di benevole e interessate carezze, per la verità, allontana e di molto quei militanti generosi dal profilo e dalle caratteristiche del barboncino da passeggio.
Sopra a tutto, sciolti, quei ragazzi, dalla preoccupazione di sedersi o restare ben comodi in poltrone ben foderate, accontentandosi, per sentirsi sereni e in pace con se stessi, di stare ancora uno a fianco all’altro in una panca o in una seggiola di sezione, a cantare, a parlare di libri, a condividere sogni e immagini di un mondo diverso.
Sciolti, quei giovani, dai lacci e dai lacciuoli di quel potere che, più che donare delle facoltà, sembra imporre alla nuova “classe diligente” del Paese anche la paura di sé stessi.
Sciolti, quei ragazzi, dal veleno dell’ipocrisia, quello di cui sono intrisi tanti politici che i saluti romani e le celtiche al collo le hanno ostentate per anni, per decenni, quando erano funzionali a conquistare le “preferenze”, giurando quanto fosse più nera delle altre la camicia da loro indossata, salvo, poi, smaniare per un invito a salotto e presentarsi – goffamente come tutti i parvenu – vestito col gessatino di Battistoni e finanche con quello “su misura”, indossato più sgraziatamente di un pret-a-porter dell’Upim.
Al guinzaglio corto del padrone
E in questo, non quei ragazzi che si ritrovano ad Acca Larentia ogni anno da sempre, ma quelli che tanto schifiltosamente ne prendono ora le distanze, quelli sì che assomigliano a quei cagnuzzi, poco più che topi col pelo lungo e la coda corta, che il padrone, dal momento che li possiede come un giocattolo, si diverte anche a portare in giro e ostentare con ridicole pezze di lane, con fiocchetti e nastrini, travestendoli – tanto ormai, per quel genere di padroni è lecito “travestire” qualsiasi cosa e qualsiasi essere – come pupazzi.
Perché non è questione di essere più o meno cani, in questo mondo bestiale che tanto piace e di cui subito s’innamorano subitaneamente coloro che hanno varcato certe “soglie importanti”; il punto è che tipo di cane si sia, nell’eventualità.
Se si è cani sciolti, poco male, con buona pace anche dei vicepresidenti, i quali, semmai, dovrebbero preoccuparsi di quanto sia evidente che loro, invece, il guinzaglio non solo ce l’hanno – ed è un guinzaglio metallico ben saldo nella mano del padrone -, ma è pure cortissimo. Ogni giorno di più.
Massimiliano Mazzanti
*** L’onorevole Fabio Rampelli ha contattato la nostra redazione ed ha radicalmente smentito di aver usato, riferendosi ai militanti che hanno animato la commemorazione serale, l’espressione che gli è stata attribuita da gran parte della stampa nazionale.
Ne prendiamo atto e gli fa onore aver con noi manifestato rispetto per coloro che hanno partecipato alla cerimonia dell’altra sera. Per questa ragione anche noi togliamo ogni riferimento alla sua persona dall’articolo.
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