Bologna: si è spento Jimmy Villotti stella del Jazz italiano
A Bologna si è spenta una delle più luminose stelle del Jazz e della musica in assoluto: Jimmy Villotti.
A dispetto del fatto che il suo nome non sia noto come altri al pubblico di massa, non inganni: che Marco – questo il suo nome alla nascita, avvenuta esattamente il 7 dicembre 1944 e, per tanto, domani avrebbe compiuto 79 anni – sia stato un gigante lo dimostra il fatto, tanto per fare un esempio, che un altro mostro sacro, Paolo Conte, lo abbia voluto protagonista di una sua canzone (“jimmy, ballando”).
A quanti artisti – in un mondo dove spesso è l’invidia a farla da padrone, seppur sempre malcelata e dissimulata con non poca ipocrisia – è capitato in vita un onore del genere?
Nato a Bologna
E’ che Jimmy non è stato solo un chitarrista strepitoso, un maestro delle sette note a tutto tondo, ma anche una persona schietta, genuina, sempre affabile e gentile con tutti, a cui è stato impossibile non voler bene, non sentirlo amico nel pieno, autentico significato del termine, non provare per lui quella naturale simpatia che meritano quanti, in se stessi, sintetizzano tutti i pregi che il mondo intero riconosce a chi è nato a Bologna.
Della sua carriera che dire?
Apparentemente mezzo metro indietro, come capita ai “turnisti” – termine che riferito a Jimmy fa quasi ridere -, i migliori lo hanno voluto accanto a loro: Conte, già detto, Gianni Morandi e Lucio Dalla, Francesco Guccini e Ornella Vanoni, Luca Carboni e finanche gli squinternati “Skiantos”.
Anche molti di coloro che non amano il Jazz e che pensano di non conoscerlo, in realtà lo hanno apprezzato molto. Si pensi a quel giro di chitarra classica che ha reso inconfondibile, irresistibile e famosissima “Grande figlio di puttana” degli “Stadio”, la canzone scritta da Lucio Dalla e Gianfranco Baldazzi per celebrare un altro, immenso chitarrista bolognese, Ricky Portera: è il genio e la mano di Jimmy Villotti che si ascoltano in quell’introduzione, come in molti altri momenti “segreti” che rendono immortali tante canzoni.
I giornalisti non dovrebbero mai confondere i propri sentimenti personali con le parole che pubblicano, ma in questo caso non è possibile.
Quante sere abbiamo passato insieme, con Jimmy? Quante battute, quante risate? Quante chiacchiere su Bologna e sul Bologna?
Magari, stuzzicando la sua ironia, capace di ammettere – con chi, come me, ha un rapporto molto complicato con quel genere di musica – che sì, a volte, il Jazz è così: <Ascolti il primo pezzo, è quello che avresti sempre voluto ascoltare; poi, senti il secondo, ti rendi conto che è la musica migliore del mondo; al terzo… du maron!>.
Nel mio telefono conservo una foto, fatta a casa del miglior amico di Villotti, in una serata natalizia di un paio d’anni or sono: è intento, in secondo piano nello scatto, a cercare la nota giusta sul prezioso pianoforte di Mauro; in primo piano, rapita in uno sguardo di rara intensità, sua moglie Naty; sullo sfondo, un olio su tela, un’adorazione del Cristo in croce di San Francesco e di due confratelli: ecco, questo è stato Jimmy: spiritualità, amore, musica; anima e passione che si sono espresse in note che, insieme al suo ricordo, non moriranno mai.