Benedetto XVI – l’ultimo Gigante del secolo di ferro – Quando Giovanni Paolo II concluse la sua straordinaria avventura terrena, tanti ebbero un sospetto, tutti una certezza: il sospetto che fosse scomparso l’ultimo gigante del ‘900; la certezza che Joseph Ratzinger sarebbe succeduto a lui sulla cattedra di Pietro. La seconda intuizione si rivelò esatta di lì a breve, quando, tre giorni dopo aver compiuto 78 anni, il teologo tedesco che aveva sempre affiancato fedelmente il predecessore divenne Benedetto XVI; la prima no, invece, dal momento che è stato proprio lui, il papa tedesco, l’ultimo Gigante del secolo di ferro.
E la lunga malattia e le dimissioni a cui fu costretto – dalla salute o da altro, ora non è il momento per certe discettazioni – sono costate molto all’Europa e lo si è capito proprio in questo suo ultimo anno di vita, quando il ritorno dello spettro della guerra nel Vecchio continente non ha trovato sulla sua strada, come avrebbe dovuto, un pontefice che gridasse al mondo “l’inutilità della strage” che si consuma alle porte orientali di quello spazio che, da sempre, è quello della Cristianità.
Benedetto XV
Ratzinger aveva assunto profeticamente il nome di Benedetto pensando espressamente a Giacomo Della Chiesa, a colui che, nella solitudine di chi ha solo – e solo non significa “soltanto” – la Fede come padrone da servire, si erse sul mondo per denunciare la follia che lo stava rapendo nel 1914.
Voce inascoltata, quella del papa genovese: una sordità pagata con due guerre mondiali, con 100 milioni di europei morti, ma, sopra a tutto, col declino della Civiltà che aveva fino ad allora illustrato l’intero pianeta.
E inascoltata, almeno in gran parte, a voler essere sinceri, è stata anche la parola di Benedetto XVI, verso il quale tutti ora chinano la testa e proferiscono parole cordoglio, ma che fu additato – la memoria è da sempre custode dell’intelligenza! – come il “pastore tedesco”, alludendo al cane feroce; come l’oscurantista e tetragono prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede che non cedeva alle sirene del modernismo; come il reazionario contro il Vaticano II, a cui, per altro e al contrario, aveva partecipato e contribuito.
Segno del destino
Anzi, sotto questo ultimo punto di vista, la perfezione teologica di Ratzinger non avrebbe scalato le vette che scalò, se non avesse avuto, prima, un ruolo discutibile nel far assumere alla Chiesa posizioni e atteggiamenti discutibili (e anche da lui discussi, nella seconda fase della sua vita pastorale).
Segno del destino: si laureò teologo, discutendo una tesi su Sant’Agostino; esattamente come il vescovo di Ippona, partì dal peccato e da tentazioni quasi eretiche, almeno agli occhi dei tradizionalisti di allora, per conquistare la santità, nell’interpretazione del verbo divino.
Oggi quasi si trema, a pensare e a parlare di un uomo che ha avuto tanto significato nella vita del Cattolicesimo e, di conseguenza, dell’intera umanità – ché pochi sembrano ricordarlo, ma cattolico significa “universale” -; anzi, tutti tremano e spendono i loro aggettivi migliori, le loro frasi più attagliate all’evento; ma come si può dimenticare l’asprezza, la supponenza, la sufficienza, per non dire l’odio che Joseph Ratzinger attirò su se stesso, non cedendo al mito della “secolarizzazione” dell’Occidente, diventandone addirittura il più granitico e insuperabile nemico?
E come non apprezzare – e non possono non apprezzarlo adesso coloro a Benedetto XVI hanno guardato, vincendo la scommessa escatologica che vi era intrinseca, come a una speranza – la sicurezza e la determinazione con cui accettò, non curandosene, l’asprezza, la supponenza, l’odio dei nemici non suoi, per di più, ma delle certezze in Cristo che serbava nel cuore e testimoniava con l’altissimo magistero.
Un padre alla guida del Cristianesimo
In questo, il Pontificato di Ratzinger si distinse molto da quello di Wojtyla e in modo abissale da quello del successore: Giovanni Paolo II fu il “papa mediatico”, capace di riempire fino all’impensabile le piazze più sterminate esistenti, di mobilitare le masse come nessun altro uomo “famoso” per qualsiasi motivo suo contemporaneo, senza riuscire spesso, però, a portare tutta quella gente in chiesa, a incorporarla nel contenuto autentico del Vangelo; il papa argentino, poi, fin da subito è sembrato più preoccupato di “piacere” a chi la Chiesa la vorrebbe ridurre in cenere, piuttosto che a coloro in cui nell’anima arde ancora la brace del Credo; Benedetto XVI ha dimostrato fin dalla prima omelia, quella in cui parlò del modo di approcciarsi alla “vigna del Signore”, che, con lui, tornava un “padre” alla guida del Cristianesimo, un “padre” nell’accezione nella quale lo furono appunto Agostino, Ambrogio, Girolamo e Gregorio magno.
La buona strada
E un “padre” non deve e non vuole, se è pienamente cosciente del suo ruolo e della sua missione, “piacere ai figli”, ma instradarli lungo la “buona strada”.
Un ricordo si presta straordinariamente a concludere questi pensieri: affacciatosi per la prima volta alla loggia di San Pietro, visibilmente emozionato, suscitò tenerezza il vederlo rivestito di un paramento curiosamente inadeguato nelle misure, palesemente più largo del necessario; mai, in modo tanto plastico, si materializzò il significato di un proverbio popolare, secondo cui l’abito non farebbe il monaco: quei paramenti apparvero troppo grandi su un uomo, per il quale, invece, non sarebbe esistita tonaca tanto grande da racchiuderne per intero l’amore che nutriva per il Cristo e l’intelligenza con cui seppe ragione e far condividere a tutti gli uomini e le donne il mistero di Dio.