Antisemitismo, la confusione voluta – Non si citerà mai a sufficienza il romanzo “1984” di George Orwell, scrittore geniale e profetico, per descrivere molti dei mali della società odierna. In particolare, l’uso strumentale del linguaggio al fine della manipolazione della coscienza collettiva è l’elemento che merita più attenzione nelle analisi della nostra sciagurata attualità.
Il grande privilegio
La guerra in atto a Gaza ha riportato in auge un termine adoperato come una clava quando si vogliono demonizzare determinate posizioni politiche: antisemitismo.
Che cos’è, di preciso? Il vocabolo sembrerebbe di semplice interpretazione, significando avversione per le popolazioni semitiche.
Proprio qui, però, comincia la confusione. I popoli semitici comprendono gli Ebrei, gli Arabi, i Fenici (gli odierni Libanesi), gli Accadici (discendenti degli assiro-babilonesi), gli Etiopi e altri gruppi numericamente minori.
Dove nasce il termine
L’antisemitismo dovrebbe quindi essere l’ostilità verso queste popolazioni.
Ma storicamente il termine nacque già con un errore di fondo di carattere antropologico. Nel 1879, il giornalista tedesco Wilhelm Marr coniò il termine antisemitismo per indicare l’avversione verso gli ebrei in particolare, senza riferimenti agli altri popoli semitici – peraltro di arabi e accadici ne giravano pochini in Germania, a quei tempi…- Marr fondò la Lega Antisemita, che propugnava la l’allontanamento degli ebrei dalla Germania. L’antiebraismo – questo sarebbe il termine corretto da utilizzare al posto di antisemitismo – tedesco quindi, non fu un’invenzione di Hitler, come comunemente crede chi non abbia approfondito il tema, e, a ben guardare, neanche di Marr.
Troviamo le sue radici andando indietro nel tempo, in Lutero, Kant, Wagner ed altri pilastri della cultura germanica. Indubbiamente il nazionalsocialismo ne fece la base della sua dottrina politica e lo portò alle conseguenze più estreme.
Nostra Aetate
Altra cosa è il termine antigiudaismo, che indica una posizione contraria all’aspetto puramente religioso dell’ebraismo, in particolare a quello di matrice talmudica. Fino al Concilio Vaticano II e alla dichiarazione Nostra Aetate il cattolicesimo e il giudaismo furono avversari, protagonisti di ostilità anche violente che portarono, tra le altre cose, alle segregazioni nei ghetti e nelle giudecche da un lato e alle “Pasque di sangue” descritte da Ariel Toaff dall’altro.
L’antigiudaismo non ha valenza razziale, per la Chiesa un ebreo convertito è un cattolico a tutti gli effetti. Infine, vi è l’antisionismo, che è la contrapposizione allo Stato di Israele e alle sue politiche imperiali e di apartheid, essendo il Sionismo il movimento fondato da Theodor Herzl che propugnava la fondazione di uno Stato ebraico.
Oggi però si assiste alla tendenza ad inglobare l’antiebraismo, l’antigiudaismo e l’antisionismo nel calderone dell’antisemitismo, con il conseguente scatto del meccanismo della reductio ad Hitlerum.
Criticare Israele è un tabù
Vale a dire: critichi Israele? Sei un nazista nostalgico dei campi di sterminio. Viene così ad essere segnato con il marchio di infamia chiunque osi esprimere opinioni, che in un regime liberale quale l’Occidente si vanta di rappresentare dovrebbero essere sempre legittime, diverse dal filo sionismo e dal filo giudaismo per l’aspetto religioso.
Con dei paradossi tragicomici quali quello di qualificare i Palestinesi – che sono arabi e, quindi, semiti – come antisemiti in quanto avversari degli Israeliani.
Così come di antisemitismo è stato bollato anche Norman Finkelstein, storico e politologo statunitense, figlio di ebrei scampati ad Auschwitz e alla persecuzione nel ghetto di Varsavia, autore del saggio: L’industria dell’Olocausto, per le sue denunce sulle persecuzioni attuate nei territori occupati da Israele.
La lista dei tacciati di antisemitismo è lunghissima, comprendendo anche Amnesty International, che ha pubblicato diversi rapporti, l’ultimo nel 2022 di 280 pagine, di denuncia del regime di apartheid praticato da Tel Aviv.
L’ONU impotente
Per anni questo metodo ha funzionato piuttosto bene, riducendo al silenzio le voci critiche e consentendo ad Israele di infischiarsene delle risoluzioni ONU e delle – deboli – pressioni internazionali.
Il genocidio -anche se al mainstream italiano, tutto appiattito su posizioni ultra-sioniste, questo termine non piace – in atto a Gaza, e la prospettata deportazione in Egitto della popolazione palestinese – come risulta da un documento ufficiale pubblicato dal Ministero dell’Intelligence israeliano lo scorso 13 ottobre – sembrano aver scosso veramente molte coscienze, con affollatissime manifestazioni pro-Palestina che si tengono frequentemente in tutto il mondo.
Un gruppo di un migliaio di intellettuali ebrei statunitensi lo scorso 2 novembre ha pubblicato un documento in cui denunciano: “…la narrazione diffusa secondo cui qualsiasi critica a Israele è intrinsecamente antisemita. Israele e i suoi difensori hanno a lungo usato questo espediente retorico per mettere Israele al riparo dalle sue responsabilità, per dare copertura morale agli investimenti miliardari degli Stati Uniti a sostegno dell’esercito israeliano, per oscurare la realtà mortale dell’occupazione e per negare la sovranità palestinese. Ora questo insidioso bavaglio alla libertà di parola viene utilizzato per giustificare i bombardamenti dell’esercito israeliano su Gaza e per delegittimare le critiche della comunità internazionale. Noi condanniamo tutti i recenti attacchi contro i civili israeliani e palestinesi e piangiamo la perdita di vite umane. E siamo addolorati e inorriditi nel vedere la lotta all’antisemitismo usata come pretesto per crimini di guerra dal dichiarato intento genocida.”
Sarà l’inizio della fine almeno dell’abuso del termine “antisemitismo”?
Raffaele Amato
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