All’armi siam europeisti, noi dell’Unione siamo i componenti, la causa sosterrem fino alla morte e lotteremo sempre forte forte finché terremo il nostro sangue in cuor. Sempre inneggiando l’Unione nostra che tutti uniti difenderemo contro avversari e traditori, che ad uno ad uno sterminerem.
Al nuovo corso bellicista dell’UE serve un inno per la futura Invincibile Armata europoide: la nostra proposta è modificare All’armi siam fascisti e farlo cantare a squarciagola alla dolce Ursula Von der Leyen, renderlo obbligatorio nei palazzi degli gnomi di Bruxelles e nelle scuole di ogni ordine e grado. La legione di traduttori strapagati dell’UE provvederà alla versione in tutte le lingue del giardino del mondo, copyright Josep Borrell.
Per accontentare gli ex pacifisti, i neofiti neoprog speculari ai neocons, convocati in piazza il 15 marzo in difesa dei valori d’Occidente da Michele Serra, dall’Anpi, dalla Cgil e da altre sigle dell’arcipelago una volta rosso, sarà opportuno un rimaneggiamento di Bella Ciao. Una mattina mi son svegliato e ho trovato Putin invasor.
Si ride (amaro) per non piangere. Dall’arcobaleno della pace a ogni costo del passato alle parole della guerra. Spicca un’intervista di Antonio Scurati, di professione antifascista, in cui depreca l’assenza di europei guerrieri. Nostalgico confesso: non ci sono più i duri e puri di una volta. Sarà che troppi hanno creduto alle idee sue e di Repubblica, il giornale che ha ospitato il lamento interventista. Ci vorrà tempo, ahimè, sembra sospirare, per convincere questa smidollata gioventù ad arruolarsi nella crociata occidentale.
Analogo è l’accorato appello di Anna Foa de La Stampa, che la spara grossa annunciando in esclusiva planetaria lo scoop del millennio, l’alleanza tra Stati Uniti e Russia “contro di noi, la nostra economia, i nostri valori”. A Torino durante la Prima guerra mondiale il quotidiano che fu poi dei lupi dal nome di Agnelli, fortemente bellicista, era detto “la bugiarda”. Quanto ai valori europei, immaginiamo che alluda a quelli custoditi nelle cassette di sicurezza.
Per difenderli, servono nuovi guerrieri pronti a immolarsi per la bandiera blu stellata dell’Unione e per il caveau della Banca Centrale Europea. La vediamo dura, dopo oltre mezzo secolo di disarmo morale, che ha preceduto quello materiale. Forse servirà l’epica, un’Iliade che canti “dei mercanti l’ira funesta”.
Per restare in tema russo, i cuori dei tremebondi europei si accenderanno di patriottismo imitando il poema dell’identità nazionale dell’Orso Malvagio. Il Canto della schiera di Ursula, anziché di Igor. Niente di meglio per morire in guerra allegramente.
Chi trova un nemico, trova un tesoro. La Russia oggi, il terrorismo ieri, sempre e comunque i dannati avversari della santa liberaldemocrazia occidentale, il mercato misura di tutte le cose.
Chi ha in mano la narrazione – ossia il contrario della verità- qualcuno riuscirà a convincerlo. Finché c’è guerra c’è speranza. Di ricchezza per lorsignori e di sfoltire i ranghi dell’umanità eccedente che ingombra il giardino del mondo. Tutto si è capovolto e la storia corre veloce, troppo per popoli storditi, sterilizzati, ingannati.
Non basteranno all’Unione Europea (l’Europa è altro) le urla scomposte delle nuove amazzoni guerrafondaie, da Ursula a Kaja Kallas, da Roberta Metsola a Pina Picierno, guerriera napoletana alla pizza Quattro stagioni.
La stagione presente prescrive di armarsi sino ai denti perché Hitler, pardon Putin, ha deciso di prendere l’aperitivo a Parigi per pranzare l’indomani a Madrid e osservare il tramonto a Lisbona. Vedrai cose, amico Sancho, che faranno parlare le pietre, dice Don Chisciotte allo scudiero. Il Cavaliere dalla Triste Figura, a cavallo del povero Ronzinante, però, la guerra era disposto a combatterla personalmente con coraggio. Quello che uno, se non ce l’ha non se lo può dare, come diceva a sé stesso Don Abbondio, pacifista per codardia.
Dopo tre quarti di secolo di pace e amore, sesso, droga e rock ‘n roll, l’Europa senile torna a ruggire. Riarmo è la parola d’ordine. Contro un nemico lontano che ha il torto di non lasciarsi dividere in tante repubblichette controllate dallo Zio Sam e dalla City londinese. Le armi costano, ma poco importa: i banchieri, che fanno il lavoro di Dio e creano la moneta dal nulla, daranno una mano.
Che cosa volete che siano gli ottocento miliardi di euro necessari? Fu un banchiere prestato alla politica, Mario Draghi, ad affermare, da governatore della BCE, che avrebbe iniettato moneta nell’economia dell’Unione “whatever it takes”, quanta ne serve.
La finanza non ha problemi a stampare banconote, tanto il sudore è nostro e anche il sangue. I Rothschild e altre dinastie del denaro hanno finanziato ogni guerra, in genere entrambi i contendenti. Loro vincono sempre. Morte e distruzione sono danni collaterali. A occhio e croce, il fardello italiano nella corsa al riarmo sarà di un centinaio di miliardi, ovvero duecentomila miliardi del vecchio conio. Così è se vi pare.
Chiediamoci perché somme assai meno rilevanti non si trovino per ospedali, pensioni, scuola, sicurezza, ricerca. Demagogia di bassa lega, risponderanno all’unisono Picierno e Meloni. Le cifre non mentono. La finanza padrona pigia il pulsante del credito e crea per magia le somme che vuole “whatever it takes” solo se le conviene.
Il riarmo è un affarone. Infatti, è stato prontamente scorporato- a differenza delle politiche industriali e delle spese sociali- dal vincolo del 3 per cento nel rapporto tra PIL e debito. Chi dà le carte decide le regole del gioco.
Il ministro Crosetto- un solido passato di lobbista nell’industria bellica- gongola e prevede quarantamila militari in più. Poiché la leva è stata abolita, si tratterà di mercenari assai costosi.
Alcuni ingenui hanno la soluzione: c’è la democrazia, facciamoci sentire con il voto. Illusione, come sa il candidato rumeno Georgescu escluso e come sanno le forze non di sistema di ogni orientamento, i cui spazi vengono ristretti di giorno in giorno. A livello politico- la terza linea del potere dopo la finanza e l’economia- comanda il PUS, Partito Unico di Sistema.
Quasi l’intero establishment europeo è schierato sul fronte bellicoso. Macron affitta volentieri le sue testate nucleari al resto d’Europa: gli affari sono affari. A noi resta lo sgomento; parlano di guerra e di bombe atomiche come se questo non significasse l’apocalisse.
Il nostro è un tempo apocalittico in senso letterale, giacché il termine significa rivelazione. Le maschere sono cadute e ciascuno diventa ciò che è davvero. Così vediamo i pacifisti di ieri rinfoderare le bandiere arcobaleno e indossare tuta e mimetica. Per finta, ovviamente: nessuno ha la coerenza degli interventisti del passato, che al fronte ci andarono e spesso morirono.
Vediamo altresì un plateale rovesciamento delle posizioni politiche. Il gioco delle parti scambia i ruoli: a Genova è il centrodestra a proporre la Smart City da 15 minuti, ossia il programma di Davos. A livello nazionale accoglie il linguaggio degli avversari e presenta un disegno di legge per rendere il cosiddetto femminicidio reato specifico, in spregio all’universalità della legge. Si inchina davanti all’America e al transumanista Elon Musk dimenticando le promesse sovraniste. Fate qualcosa di destra, perbacco!
A sinistra accettano il neo-bellicismo senza fiatare, dimenticando la loro storia, tradendo un’altra volta disoccupati, precari, poveri e pensionati, a cui verranno sottratti reddito e diritti per finanziare il riarmo. A Milano magioni di lusso al posto delle case popolari: la chiamano gentrificazione. Fate qualcosa di sinistra, accidenti!
Entrambi gli schieramenti tacciono davanti alla perdita di democrazia nel giardino d’Occidente. Silenzio sui massacri nella Siria dei “ribelli moderati”. Tacciono su Gaza e sulla volontà israeliana di organizzare un’agenzia per l’esodo dei sopravvissuti, ossia, dopo il genocidio – che non si deve chiamare così per non turbare la senatrice Segre- la cacciata di due milioni di persone.
All’armi, siam europeisti, ciechi, muti e sordi. Il presidente francese è un funzionario della galassia Rothschild, il futuro cancelliere tedesco è capo di Black Rock in Germania, ex dirigente di Kommerzbank e della multinazionale Bosch, produttrice di componenti per autovetture (e certo anche per veicoli militari). Il primo ministro canadese designato al posto dello spompato Trudeau, Mark Carney, amico di Mario Draghi, è l’ex governatore delle banche centrali di Canada e Inghilterra. In panchina, scalpita la scuderia degli Young Global Leaders, la classe politica selezionata dal Forum Economico Mondiale. La chiamano democrazia.
La scelta è compiuta, in alto. Armi, ossia economia di guerra, prodromo del conflitto sul campo. Sconvolge constatare l’indifferenza delle opinioni pubbliche. Specie dei giovani, il cui destino oscilla tra precarietà e campo di battaglia. La campana suona per loro. Possibile che siano tanto storditi dalle dipendenze indotte da non capire, non vedere, non sentire ?
Roberto PECCHIOLI
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