Al terzo morto l’Ambrogino è in regalo – Il Consiglio Comunale di Milano decide di premiare con la più alta benemerenza cittadina Marco Cappato. Il quale, con molto tatto, lo dedica ai morti di cui ha sempre rivendicato la paternità spirituale, se non materiale. Lui, dice, ha sempre voluto dare risposte alla sofferenza. Varrebbe la pena ricordare che dare risposte è meritorio, ma non tutte le risposte sono giuste. L’aborto non è la risposta alla gravidanza, l’eutanasia non è la risposta giusta alla sofferenza, Cappato non è la risposta giusta per una civiltà che voglia sopravvivere. E non lo è sotto ogni punto di vista.
La nostra società, maestra nel fabbricare fobie inesistenti, ha la paura devastante del dolore. Il motivo è drammaticamente semplice: il dolore, per essere affrontato, richiede risposte forti. Senza, la natura bestiale che abbiamo ereditato dai nostri antenati che mangiavano banane felici nella giungla ci impone la fuga.
Tornare al concetto di Nazione
Nel primo libro della Saga di Dune, la prima prova per Paul Atreides è proprio quella di sopportare un dolore atroce tenendo ferma la mano nella scatola che lo provoca. L’animale, infatti, la ritrarrebbe a qualsiasi costo. Anche la morte. L’essere umano, invece, ha una mente e sa dominarsi. Perché? Perché contempla la salvezza della famiglia, della specie. Per usare un termine desueto: la Nazione. Dio ci aiuti, la Patria. O, dato che lo abbiamo nominato e non intendiamo lasciar cadere l’invocazione, Dio stesso.
I viaggi di Cappato
Perse tutte queste cose, perché altrimenti il cane della Cirinnà se la prende e scappa col bottino, resta solo Cappato. E i suoi viaggi della (falsa) speranza. In un flusso diabolico che importa disperati ed esporta disperati. Carica giovani sradicati dalla propria terra e lasciati inaridire nell’odio e nel rancore e scarica malati che abbiamo il denaro per curare, ma non le risposte per motivarli a resistere. Nessuno guarda più il cielo con occhi ciechi urlando “NIEMALS” davanti al nemico, in una ultima, eroica, inutile, grandiosa sfida. Una vita senza piacere è una vita a perdere.
La generazione cappato
Qualche anno fa su Rolling Stones uscì un articolo che recitava più o meno così: “Non proverò mai un orgasmo anale o l’eroina, che senso ha la mia vita?”. Ecco, questa, oggi, qui è la generazione Cappato. Una generazione il cui maggior resto non ha un obiettivo, una meta o una Patria per cui vivere o morire. E che, di fatto, è già morta dentro. Ce lo avevano annunciato gli Amici del Vento nella canzone “Lettera ad un ragazzo della generazione 80”. Avevano ragione nel monito. Purtroppo, il numero dei salvati da queste paludi della tristezza è infinitesimale rispetto ai sommersi.
Una premiazione divisiva
E quindi, per il principio per cui se cento persone fumano sotto un cartello di divieto il cartello viene tolto, Cappato viene premiato. Giusto così. Una generazione di zombie premia il proprio Caronte per essere riuscito a garantire a tutti un boia di stato alla fine del proprio percorso di sofferenza umana. Dimostrando, chiaramente, che la morte non è il peggiore dei fati per l’uomo.
Brian Curto