A proposito di Goffredo Coppola… e dei “Trenta danari” – Nel panorama culturale italiano, Goffredo Coppola merita un posto di rilievo, se non fosse che la storia del secolo scorso risulta ancora contrassegnata da pregiudizi ideologici e politici.
I trenta denari
Nel 1944 uscì una raccolta di articoli di Coppola – dal titolo Trenta danari – scritti nel periodo bellico per il “Popolo d’Italia”, “Civiltà Fascista” e “Corriere della Sera”: il titolo del libro fa riferimento all’episodio del tradimento di Giuda, mentre la maggior parte degli articoli si collega a episodi del Vecchio Testamento, di cui l’autore offre una lettura attualizzata. “Trenta danari. Il più formidabile atto di accusa contro il giudaismo capitalistico è qui, nel turpe baratto dei trenta danari, che il tempio d’Israele paga perché sia tradito Gesù, e che al tempio d’Israele ritornano intrisi di quel sangue e maledetti perfino da Giuda”, così scriveva Goffredo Coppola.
Ripubblicata la raccolta
A distanza di oltre settant’anni, ci ha pensato la casa editrice Edizioni all’insegna del Veltro (2020, € 15.00) a riesumare dall’oblio la figura e il nome dell’illustre latinista e grecista, con la ripubblicazione della raccolta “Trenta danari”, che denota una buona conoscenza dei testi biblici.
“Ma Coppola professò il suo antiebraismo anche altrove ed in altri momenti”, evidenzia Flavio Costantino nel suo saggio introduttivo all’opera, quest’ultima impreziosita da una interessante appendice di Claudio Mutti, dal titolo “Gli ebrei sono semiti?”.
Una scelta di campo
L’importante filologo, nato il 21 settembre del 1898 in provincia di Benevento, è figlio delle trincee della Grande Guerra, animato da un potente amor di patria. Fu ricercatore di edizioni rare di libri: durante la sua breve vita, mise insieme una biblioteca imponente, facendone poi dono all’Università di Bologna.
Goffredo Coppola testimoniò, sacrificando la sua vita, la fedeltà ad una scelta nella quale si era totalmente riconosciuto. “Morirò con Mussolini” si confidò con un suo amico nei primi giorni del 1945.
Come filologo, Coppola scrisse circa un centinaio di saggi, in cui cercò di ravvivare il mito di Roma, avendo considerato l’espansionismo fascista come un ritorno alla vocazione imperiale.
Nel 1943 fu eletto all’unanimità Rettore dell’Università felsinea, votato anche da coloro che non erano schierati politicamente dalla stessa parte, ma gli riconoscevano un grande valore culturale e umano.
Resta attuale il pensiero “europeista” dell’ex ministro della Repubblica Sociale Italiana. “Come un tempo era orgoglio dell’uomo civile chiamarsi e sentirsi civus Romanus, così sarà orgoglio, domani, chiamarsi e sentirsi civis Europaeus. Ecco perché all’Europa che gli eserciti anglo-americani e sovietici vorrebbero sovvertire in nome di un cosmopolitismo adoratore del biblico vitello d’oro e della vacca rossa, noi opponiamo la coscienza di una solidarietà europea che nasce dalla consapevolezza delle singole individualità nazionali”, ebbe a scrivere Coppola.
Nella quadreria del Rettorato, si trova il suo ritratto tra quelli degli altri rettori. È un pezzo di storia che appartiene all’Ateneo, alla città di Bologna e all’Italia. Risale a dieci anni fa l’ultima polemica sulla presenza del suo ritratto presso l’Università, realizzato nel 1952 da Gino Marzocchi.
Ucciso dai partigiani
Se nel 1945 l’assassinio per mano partigiana ha posto fine alla sua vita terrena, qualcuno oggi vorrebbe cancellarne anche la memoria. Appare quindi fondamentale la ristampa delle Edizioni all’Insegna del Veltro. A ricordare, attraverso gli scritti e le opere, questi italiani, uomini di tempra rara, di cui si avverte la mancanza.
Matteo Pio Impagnatiello