Dalla stessa parte mi troverai: il libro di Valentina Mirra che infanga Acca Larentia – Acca Larenzia: sabato 7 gennaio 1978, alle 18,23, un gruppo terroristico di estrema sinistra apre il fuoco contro cinque ragazzi appena usciti dalla sezione del MSI di via Acca Larenzia, nel popolare quartiere Tuscolano di Roma.
Vengono uccisi Francesco Ciavatta e Franco Bigonzetti mentre Vincenzo Segneri resta ferito ad un braccio e Maurizio Lupini e Giuseppe D’Audino la scampano per poco, riuscendo a rinchiudersi dentro la sede ed abbassare la saracinesca.
Partono le prime telefonate; la notizia dell’attentato viaggia in tempo reale fra telefoni che squillano ribalzando la chiamata a centinaia.
In breve tempo, davanti alla sezione, si radunano centinaia di militanti provenienti da ogni angolo della capitale, fra questi Francesco Storace, Brunetto Di Luia, Giusva Fioravanti, Franco Anselmi e Francesca Mambro. Il clima è teso.
Autonomi e divise uniti contro i fascisti
Sgomento e rabbia sono montanti. La sensazione diffusa è di essere diventati selvaggina politica a basso costo, grazie anche alla linea morbida seguita dalla segreteria di partito, retta da Almirante.
Dalla sede di Colle Oppio arriva un altro giovane camerata di 19 anni, Stefano Recchioni; sarà la terza vittima di quella giornata maledetta, assassinato, a freddo, dal capitano dei carabinieri Eduardo Sivori durante gli scontri scoppiati fra giovani di destra e forze di polizia.
Uno sparo senza senso, un vero omicidio di stato per il quale, puntualmente, nessuno pagherà grazie anche al rifiuto dei dirigenti missini presenti che, pur avendo visto tutto, si rifiutano di aderire alla raccolta firme per incriminare l’ufficiale che ha fatto fuoco, al fine di non pregiudicare i buoni rapporti con le Forze dell’Ordine. Il capitano Sivori verrà prosciolto, in fase processuale, da ogni accusa e finirà la sua carriera con il grado di generale.
La prima a soccorrere Stefano sarà la sua amica del cuore, Francesca Mambro che, guardandolo morire, romperà ogni indugio scegliendo nella lotta armata, la risposta politica da dare a quel bagno di sangue. In atto.
La benzina sul fuoco
Seguiranno tre giorni di scontri feroci che, dal quartiere Tuscolano, si estendono a tutta la città., trasformandola in una sorta di Belfast nostrana ove le auto ribaltate diventano barricate da cui prendere la mira I camerati ora sono armati e cercano la vendetta contro compagni e carabinieri che, opportunamente, vengono tenuti fuori dal contrasto ai disordini.
È la prima volta che i fascisti hanno uno scontro a fuoco con quella polizia di cui sono sempre stati considerati come il braccio oscuro.
È il punto di non ritorno, la rottura dello schema legalitario imposto dal partito; l’inizio, per molti, di un viaggio verso l’inferno.
Dall’altro capo del mondo
Nella girandola di telefonate nessuna mi raggiunge poiché io mi ritrovo dall’altra parte del mondo, a Durban in Sud Africa ove sono arrivato tre anni prima. Forse una fortuna del Caso, poiché, se fossi stato a Roma ed il mio telefono avesse squillato, non avrei avuto esitazioni sul da farsi.
Quest’assenza mi lascerà un forte amaro in bocca; mentre Roma brucia io sono sulle rive dell’Oceano Indiano a sorseggiarmi una birra. Come vengo a sapere di Acca Larenzia ad oltre 10.000 km di distanza?
Grazie alle stranezze dell’etere. In casa non ho la televisione ma un potente apparecchio radio Telefunken con il quale, quando la linea dell’orizzonte è al punto giusto, riesco ad intercettare le onde radio della BBC, di Radio Vaticana ed, a tratti, quella della Radio 1 nazionale.
Da queste due ultime, fra fastidiosi rumori di fondo apprendo che qualcosa di grave è successo a Roma ma, per avere, la figura piena, dovrò aspettare il martedì successivo quando riuscirò a mettere le mani sulla copia del Messaggero della domenica precedente, arrivata sul volo Roma Johannesburg di lunedì.
I Nuclei Armati e Potere operaio
L’agguato verrà rivendicato dai Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale, una delle tante sigle armate, nate a ridosso dello scioglimento di Potere Operaio, avvenuta nel 1974 sotto la regia del futuro brigatista rosso Valerio Morucci, il vero depositario della verità su quanto accaduto il 7 gennaio anche se lo nega e, nelle sue affermazioni, racconta di come: il nostro nemico era la DC, non ci importava assolutamente nulla dei fascisti. Erano sì sgherri del potere, assassini, stragisti, però il reale obiettivo non potevano essere loro ma chi li usava. Cioè la DC. Cioè il SIM, lo Stato Imperialista delle Multinazionali… Sui fascisti non avevamo problemi politici se venivano colpiti. Nel senso che non si riteneva determinante attaccarli…anche se non lo si sarebbe mai ritenuto sbagliato farlo. Una doppiezza di giudizio che dice molto e niente allo stesso tempo.
Savasta, altro BR di rilievo, aggiungerà: le azioni antifasciste sono espressione di strategie ormai superate.
Come sempre nessuno ha pagato
Ed allora chi ha sparato e perché?
Gli assassini del Tuscolano, 46 anni dopo, rimangono ancora senza volto. Non esiste una verità giudiziaria provata né vi sarà mai, tranne l’arresto di un infermiere, militante di Lotta Continua, Mario Scrocca, avvenuta nel 1987 su indicazione di una pentita, Livia Todini.
Arresto occasionale, senza prove reali a carico… Probabilmente un povero cristo qualunque che, però, lascerà tutta l’inquietezza di uno strano suicidio in carcere. Perché lo avrebbe fatto se innocente?
Escludendo che possa essere stato suicidato, cosa che avrebbe determinato la reazione immediata dell’apparato di sinistra, dell’allora potente PCI.
Che fosse stato, allora, realmente uno dei componenti del commando assassino, schiacciato dal rimorso?
Domanda destinata a rimanere senza risposta.
Il libro di Valentina Mirra, dalla stessa parte mi troverai
Su questo episodio dubbio prende il via la narrativa di un romanzo scritto da Valentina Mirra ed intitolato dalla stessa parte mi troverai, libro candidato al Premio Strega; cosa che ha suscitato lo sdegno di molti esponenti della destra al governo e dato via alla querelle politico-culturale in atto, in quanto lesiva della memoria dei ragazzi assassinati e riduttiva rispetto all’atrocità commessa in un contesto di verità storica falsificata in nome dell’eterno dogma antifascista.
Non ho letto il libro, quindi non mi pronuncio ma un dato rilevo subito come strumentale: Mario Scrocca non è la quarta vittima di Acca Larenzia ma, caso mai la settima.
La scia di sangue
Prima di lui va ricordato Roberto Scialabba ucciso dai Nar il 28 febbraio in piazza Don Bosco, nel quartiere di Cinecittà attiguo a quello del Tuscolano.
Radio carcere aveva indicato come provenienti da un palazzo occupato della zona gli assassini di Acca Larenzia; notizia presa subito al balzo da chi, in quel momento, era maggiormente organizzato e determinato per estrarre la vendetta cercata.
Il palazzo è però disabitato, sgombrato dalla polizia alcuni giorni prima ma a farne le spese dovrà essere comunque un rosso, anche uno qualunque, Scialabba appunto, un militante comunista qualsiasi, colpevole di trovarsi nel posto sbagliato, nel momento sbagliato.
Una vendetta inutile ma… Sangue chiama sangue, nella logica del momento.
L’altra vittima è il padre di Francesco Ciavatta, suicidatosi per il dolore alcuni mesi dopo la strage, bevendo una bottiglia di acido muriatico. Ed infine Alberto Giacquinto, militante missino di 17 anni, ucciso da un brigadiere di polizia, Alessio Speranza, nel corso di una manifestazione per il primo anniversario di Acca Larenzia, nel quartiere di Centocelle.
Tutte le testimonianze dei presenti anche di semplici passanti, affermeranno che il ragazzo era disarmato al momento di essere colpito alla nuca ma servirà a poco.
Cane non mangia cane; il poliziotto se la caverà con una condanna simbolica a 6 mesi per eccesso di legittima difesa.
Il solito antifascismo dabbene
Torniamo al libro che rappresenta la scontata difesa di ufficio verso un compagno senza affrontare i veri nodi dell’accaduto: vale a dire la mancanza colpevole di una verità giudiziaria su quanto avvenuto ad Acca Larenzia, ben 46 anni prima e che alimenta l’ombra del dubbio sul desiderio reale di voler far luce su quella strategia della tensione che a qualcuno doveva pure servire.
Se la Mirra fosse stata una storica ci avrebbe almeno provato ma non lo è; rimane una semplice scrittrice antifascista, carica di odio e rancore preconcetto verso un mondo che ha banalizzato come fatto di picchiatori, stupratori e stragisti, al pari di quella Ilaria Salis che, promossa martire dai media di sinistra, si trova in un carcere di Budapest a meditare sul fatto che non in tutti i paesi vale lo slogan che ammazzare i fascisti non sia reato con ora la ciambella di salvataggio della candidatura alle europee su cui aggrapparsi in nome di quel soccorso rosso sempre attivo.
Cui prodest?
Quali le mie riflessioni su quel maledetto 7 gennaio 1978.
Ad agire non furono dei dilettanti ma gente addestrata e determinata a portare a compimento quanto pianificato. Forse cani sciolti, certamente non brigatisti; essendo questi ultimi impegnati a preparare quel sequestro Moro che avverrà solo due mesi dopo.
Ed allora perché sollevare un polverone quando il bisogno strategico era di stare calmi ed inosservati, tanto è vero che le BR, infastidite, apriranno un processo interno per capire chi abbia voluto la strage e perché; anche nel “Movimento” le voci discordanti saranno molteplici., ben capendo che non vi era alcun bisogno di disturbare un nido di vipere nere, pronte alla vendetta quando Il vero nemico da abbattere non erano loro, considerati alla stregua di semplici cani da diporto del Viminale.
Il nodo della Skorpion
La risposta, forse ce la potrebbe dare una delle armi usate per far fuoco contro i ragazzini del Tuscolano. Si tratta di una mitraglietta Skorpion, Vz.61, in calibro 7,65, di fabbricazione cecoslovacca.
Tale arma fu rinvenuta nel 1988 in un covo delle Br in via Dogali a Milano: le perizie balistiche dimostreranno come essa fosse stata usata anche per l’agguato all’economista Enzo Tarantelli (1985); all’ex sindaco di Firenze Lando Conti (1986) ed al senatore DC Roberto Ruffili (1988) già professore universitario in scienze politiche.
Quindi un’arma sporca che scotta, tenuta in armeria contro ogni logica operativa che la vorrebbe gettata via, poiché farsela trovare addosso vorrebbe dire ergastolo.
La mitraglietta fu acquistata dal cantante Jimmi Fontana nel 1971 in un’armeria di San Remo e rivenduta, nel 1977 ad un commissario di polizia , di nome Cetroli che, nel gennaio 1978 prestava servizio proprio nel commissariato del Tuscolano, il quale nega l’avvenuta transazione. Dei due qualcuno mente ma, stranamente nessuno degli indagati verrà chiamato a pagare il conto con la legge.
Eppure, dei due uno non può non sapere in che mani sia finita l’arma.
Una storia opaca tutta italiana
Storia opaca, tutta italiana ove non si vuole andare a fondo di una verità che sarebbe imbarazzante mettere a nudo poiché la verità porterebbe ad immaginare “cani sciolti” opportunamente manovrati per alzare quel livello di scontro che servirebbe solo al Sistema per rafforzarsi.
Quanto il gioco sia sporco noi lo abbiamo capito da tempo ma i compagni no.
Loro continuano nella rabbiosa litania dell’antifascismo militante come espressione dell’unica cosa che riesca ancora a mantenerli in vita. Come le zecche hanno bisogno di sangue per sopravvivere e continuare a deporre le loro uova velenose.
Eppure, basterebbe poco per rendersene conto. A Gaza non sono certo i fascisti a massacrare la popolazione palestinese né sono i fascisti ad alimentare la guerra in Ucraina, Ed allora? Di quale padrone sono servi quelli dei centri sociali?
Acca Larenzia va storicizzata al pari dei mille episodi che hanno caratterizzato quella lunga stagione di sangue. Storicizzare vuol dire capirne le cause e distribuire le responsabilità in un percorso in cui si cerchi di ristabilire la verità oggettiva, per quanto scomoda possa essere.
Poiché non tutte le colpe possono essere addossate alla generazione ribelle senza tener conto anche delle cause che l’hanno portata a quella scelta estrema.
Se dopo la strage di Primavalle ed Acca Larenzia e gli omicidi di Mantakas, Cecchin. Ramelli e Pedenovi vi fosse stata un’adeguata risposta giuridica, la Destra radicale non sarebbe probabilmente scesa in armi.
Manca il coraggio intellettuale
In questo doveva mettersi alla prova Valentina Mirra ma, per farlo, ci voleva un coraggio intellettuale che le manca, meglio accontentarsi del plauso di un Premio Strega che interessa a pochi, di qualche flash di clamore mediatico e degli spiccioli che la vendita del suo libro le potrà portare.
I ragazzi di Acca Larenzia?
Morti resi colpevoli dalla maledizione che si portano appresso per aver scelto di entrare nella vita dalla porta sbagliata.
Come per i tanti altri che, al momento di fare la propria scelta “sbagliata”, si accorgeranno di avere in tasca un biglietto di sola andata… Ma non scenderanno dal treno.
Enrico Maselli
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