Omicidio Giulia Tramontano, il pentimento di Impagnatiello e i particolari dell’inchiesta – Ho sempre rifiutato di rilasciare interviste o messaggi di ricordo di mia sorella. Il dolore è un’esperienza così intima che è difficile condividerla con sé stessi, figuriamoci con gli altri.
Però c’è una cosa che non tollero: sentirvi dire che l’ultimo abbraccio di Giulia con l’amante del suo compagno sia un lume di solidarietà in questa storia buia.
Lascio qui la mia opinione perché ho bisogno di gridarla affinché quel frame catturato dalle telecamere possa essere osservato con gli occhi della verità.
Mia sorella si è avvicinata al suo interlocutore con le braccia cadenti lungo il corpo. Viene avvolta da un abbraccio che non ricambia. Giulia non abbraccia la donna che si è intrufolata in casa sua ricoprendo il ruolo dell’amante. E ciascuno di noi avrebbe fatto la stessa cosa.
La verità è che si sta cercando una morale inesistente nella tragedia che ha sconvolto le nostre vite. Solidarietà è altro, ha diverse tempistiche ed è mossa dal bene.
È così che Chiara Tramontano, lo scorso settembre, aveva commentato su Facebook l’incontro tra la sorella Giulia e l’amante (una ventitreenne italo-inglese) del suo fidanzato, Alessandro Impagnatiello.
Giulia, incinta al settimo mese, è stata uccisa con 37 coltellate dallo stesso Impagnatiello, padre del bambino che la giovane donna portava in grembo.
Per Chiara, infatti, non c’è alcuna solidarietà in quell’ abbraccio.
Solidarietà o meno, sta di fatto che qualche giorno fa, quella stessa ventitreenne ha risposto alle domande davanti ai giudici della Corte d’Assise di Milano, protetta da un paravento, parlando più volte degli inganni di Impagnatiello.
Il tentativo disperato
Secondo gli inquirenti, la ventitreenne rischiò di essere la seconda vittima dell’uomo, recatosi da lei dopo aver assassinato la compagna.
Quella ragazza che un’altra giovane donna aveva cercato di salvare non sapendo come gestire la situazione volevo aiutare Giulia, farle capire, darle qualcosa di concreto e farle capire cosa stesse succedendo.
La ventitreenne ha raccontato come aveva tentato di mettere in guardia Giulia dalla malafede del trentenne: Ti prego salvati appena puoi. Ora voglio e devo salvare te e il tuo bimbo aveva scritto in una chat, prima di incontrarla per confrontarsi, poche ore prima del crimine efferato.
Il lungo scambio di messaggi ci fu appena dopo la chiamata che le feci, prima dell’incontro con lei.
La teste ha spiegato: Volevo salvarla da una persona che non era onesta.
Il test del DNA falsificato
La ragazza ha riportato come Impagnatiello le avesse detto che lui e Giulia non stavano più insieme e che il figlio non era suo mostrando un test del Dna falsificato: Quando l’ho conosciuto ero consapevole che era fidanzato, ma poi mi aveva detto che si erano lasciati, che non voleva più stare con lei e che non erano più felici nella relazione. Ho capito, poi, che Giulia era ancora presente verso marzo, aprile e che lui non era da solo, quando era andato in vacanza a Ibiza e ho visto sul suo telefono delle sue foto con lei. Fin dall’inizio ha detto che non era il padre del bambino e che aveva fatto il test del Dna. Gli avevo chiesto di farmelo vedere per confermare se diceva la verità. Quando ho visto il test, ci ho creduto.
Così decisi di raccogliere prove – è così che la ventitreenne ha scoperto le bugie del ragazzo: Lui aveva detto che lei era da sola e non stava bene, che aveva provato a farsi del male e perciò lui era preoccupato.
Quando sono andata in viaggio a maggio, lui mi ha prestato il suo tablet e lì ho trovato il file del test del Dna. Ho visto la cronologia delle sue ricerche e ho trovato le immagini per creare il documento. Ho visto anche nelle mail il file Excel per fare il documento.
Da lì la decisione della giovane di non dire niente per raccogliere altre prove così da impedirgli di continuare a mentire. Avendo già mentito la prima volta, non volevo che creasse un’altra storia per coprirsi. Ho aspettato di vedere come agire.
La ricostruzione del PM
Quando il pm Alessia Menegazzo le ha chiesto della gravidanza avuta con Impagnatiello e della successiva decisione di abortire, la ragazza si è commossa al punto fermarsi per qualche secondo prima di rispondere: Ho deciso io di abortire, perché non stavo bene, e io per questo, comunque, ci soffro ancora.
Quando ho chiamato Giulia lei mi ringraziò, le ho spiegato chi ero e che ero nella stessa sua situazione, lei mi ha ringraziato e mi ha detto che voleva vedermi, mi ha detto che ci dovevamo vedere quello stesso giorno e lui ha scoperto che avevo parlato con lei ed era incazzato, mi ha detto ‘ti metti a chiamare Giulia’. Avevo deciso di dire a Giulia quello che volevo farle sapere, che ne avevo abbastanza delle bugie di lui, ho deciso che lei doveva sapere – ha raccontato la testimone – lui continuava a negare tutto nonostante le prove che avevo.
Prima del 27 maggio, giorno dell’omicidio, “l’ho affrontato e gli ho detto che sapevo tutto e volevo finire la relazione, siamo tra il 20 di maggio e il 27, forse il 24, 25, e lui mi disse che voleva parlarmi della sua situazione e continuava a negare, a dire che non era il padre del bimbo, anche se avevo scoperto che il test del Dna era falso.
Diceva che non stava più con Giulia. Se non ci credi che non è figlio mio chiama Giulia, mi minacciò così. Ma io avevo già deciso di chiamarla e l’ho chiamata. Quando lui ha capito che Giulia stava venendo sotto l’hotel a parlare è uscito prima dal lavoro. Noi gli avevamo anche proposto di partecipare al nostro incontro”.
Lo strazio della madre
Ma la ventitreenne non è stata la sola a trovarsi sul banco dei testimoni. Tra questi, infatti, c’è anche lei, Loredana Femiano, madre della vittima: Non stiamo bene. Io e mio marito abbiamo delle difficoltà. Vedere i bambini mi mette un’angoscia immane – ha detto in aula – Non dormiamo, non usciamo più. Io non ho più una vita ho perso una figlia e un nipote, ma anche i miei figli hanno perso una madre. Io non sono più una mamma”.
Con l’inizio del processo le cose sono anche peggiorate perché si ricomincia a parlare di Giulia. Un’altra cosa che mi ha fatto un male immenso è stato scoprire tramite i miei legali che la macchina in cui mia figlia è stata trasportata è stata acquistata dalla compagna del fratello dell’imputato.
Quella macchina voglio farla sparire – ha aggiunto, non voglio pensare che ci salga altra gente.
Come dar torto al cuore tormentato di una madre, pienamente a conoscenza dei macabri dettagli che hanno accompagnato il barbaro assassinio della figlia?
Infatti, dopo avere ucciso Giulia, Impagnatiello aveva tentato per due volte di bruciare il corpo.
Il carnefice lo aveva caricato nel bagagliaio dell’auto e successivamente l’aveva abbandonato in un’intercapedine dietro alcuni box poco lontano da casa.
Ma Impagnatiello non ha rovinato solo la vita della madre di Giulia ma anche della propria.
Infatti, dopo la madre della vittima, è stata chiamata a testimoniare anche la madre del carnefice.
Volevo morire io. Ho perso mio nipote Thiago e mio figlio Alessandro ha detto Sabrina Paulis, madre del trentenne.
La tragedia nella tragedia
Ricordando l’ultimo giorno di vita di Giulia, quando era stata contattata dalla donna con cui il compagno aveva una relazione parallela, la madre di Impagnatiello ha detto, tra le lacrime: questa ragazza le mandava i messaggi di ciò che le scriveva Alessandro, le faceva vedere le foto di casa loro e i video di loro insieme. Io le dicevo: ‘Giulia, basta guardare’.
Quando l’avvocato della famiglia Tramontano, Giovanni Cacciapuoti, le ha domandato cosa avesse pensato delle goccioline di sangue sulle scale, la madre dell’imputato ha risposto: Io non ho mai pensato male di mio figlio.
La donna, mentre ricostruisce il giorno dopo l’omicidio e quelli successivi, quando è entrata per la prima volta nell’appartamento della coppia a Senago, nel Milanese, per cercare la ragazza, ha affermato di non aver notato nulla di strano in casa salvo la borsa di Giulia sul tavolo.
Parlando poi della prima telefonata con il figlio dopo la scomparsa della ventinovenne, la madre ha ricordato che “Alessandro urlava: ‘dov’è Giulia, dov’è Giulia”.
L’amante che fa crollare un castello di bugie, due famiglie distrutte e poi c’è lui, il regista di questo film horror, Alessandro Impagnatiello, in gabbia e con la testa abbassata.
Chi crede al pentimento?
L’ex barman, a inizio del processo, aveva chiesto scusa per la sua disumanità.
Disumanità, termine troppo riduttivo per descrivere la condotta di chi ha ucciso la madre del proprio figlio e quest’ ultimo non ancora venuto alla luce, proprio come quello che portava in grembo l’amante e che lo stesso trentenne aveva portato ad abortire.
Vicende macabre alle quali si aggiunge un dettaglio che lo è altrettanto: l’ex barman ha stroncato la vita dei propri figli, prima ancora che nascessero, da padre.
Il trentenne, infatti, ha un figlio di sei anni avuto da una precedente relazione. Vite stroncate e famiglie distrutte, questi sono i frutti acerbi del modus operandi di Alessandro Impagnatiello.
Disumanità? No, barbarie.
Nemes Sicari
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