Il caso Navalny spiegato bene – Potrei deludervi ma sappiamo che è morto per una trombosi (…) sfortunatamente, si tratta di una morte naturale.
Così, sulla Ukrainska Pravda del 25 febbraio, l’agenzia di stampa ufficiale di Kiev, il generale Kyrylo Budanov, capo dei servizi militari ucraini e responsabile di alcune azioni clamorose come l’attentato al ponte di Kerch o quello alla vita di Darya Dugina (non proprio un amico del Cremlino).
D’altra parte, perché e per quale utilità, il Cremlino avrebbe dovuto assassinare un oppositore, più noto in Occidente che in Russia, che era agli arresti, confinato a settentrione del circolo polare artico e ben avviato sulla via dell’oblio?
I media occidentali a direzione unica
Le parole di Budanov, circa le cause della morte di Alexey Navalny, sono, in Occidente, ovviamente, cadute nel vuoto, poiché naturalmente fastidiose rispetto alla vulgata di santificazione del Navalny necessariamente martirizzato dal regime di Putin.
Nel commento dell’ucraino Budanov, si può forse anche sentir un vago astio e un lontano senso di polemica e di disaffezione verso un personaggio che a più riprese aveva ribadito l’identità russa della Crimea e che, anche dopo l’annessione del 2014 e nonostante la sua attività di opposizione politica a Putin, aveva confermato che la Crimea dovesse ormai considerarsi come parte della Federazione Russa.
Questa piccola circostanza, questa, verrebbe da dire, presa di distanza ucraina dalla canonizzazione dell’Occidente di Navalny, ci dovrebbe far riflettere su tutta la parabola politica e umana del personaggio.
Tutte le casacche indossate da Navalny
Premesso, quindi, che Navalny non era amato dagli ucraini (pur avendo egli stesso origini ucraine), acclarato che i suoi primi passi in ambito politico furono fatti in un ambito che da noi si definirebbe di “estrema destra” o “ultranazionalista” (le sue prime campagne riguardavano la contestazione dell’immigrazione, principalmente dai paesi caucasici e centroasiatici, che minaccerebbe il carattere nazionale russo, di tipo slavo-ortodosso), era poi slittato verso più posizioni più liberali, associandosi a personaggi come Boris Nemtsov (ministro dell’energia ai tempi di Eltsin e uno dei principali responsabili della creazione della casta degli oligarchi e della rovina di milioni di russi negli anni novanta, finì assassinato a colpi di pistola nel 2015 nelle vicinanze del Cremlino), per certi periodi, con il piccolo partito Yabloko, focolare del liberalismo russo (ammesso che i termini “liberalismo” e “russo” possano coesistere).
Forse i finanziamenti di Soros (dal 2015 le organizzazioni legate a George Soros sono bandite dalla Russia come potenziali minacce alla sicurezza nazionale), ammessi dallo stesso interessato, hanno aiutato la transizione.
Il più alto apice di successo politico di Navalny erano state le elezioni comunali di Mosca del 2012, dove, promuovendo il concetto dello “smart-voting”- ossia cercando di presentare liste composte da candidati di tutte le tendenze, anche le più disparate (comunisti non legati al Partito Comunista della Federazione Russa, considerato troppo di regime, altri elementi di sinistra o democratici di qualunque provenienza, liberali, nazionalisti slavofili etc…), accomunati solo dal non essere elementi “di sistema” e sostanzialmente opposti al candidato di Russia Unita, il partito di riferimento del putinismo – aveva raccolto circa il 27% dei voti.
Lo smart-voting
Probabilmente è nella trovata dello “smart-voting” che si può indovinare tutta la cifra del personaggio Navalny e tramite questa cifra se ne può capire la corrispondenza di amorosi sensi con l’Occidente.
La spirito dell’opposizione “smart” di Navalny era essenzialmente il seguente: va bene qualunque cosa, basta che sia contro Putin.
Magari a certi russi nostalgici del comunismo Putin non piace perché non ha reintrodotto il socialismo reale, magari ad altri non piace perché lascia troppo spazio alle minoranze etniche, magari ad altri perché è troppo ostile all’Occidente (o troppo poco), magari ad alcuni perché è illiberale, magari ad altri perché è evidente che la raddrizzata data agli oligarchi servì per “disciplinarli” ma non arrivò fino al punto di farli sparire come classe e così per ogni istanza, magari nello specifico anche più o meno legittima, che si potesse avanzare, in una società non certamente perfetta (quale società lo è?) come quella russa, di una Russia ancora in via di ricostruzione dopo la tragica esperienza sovietica e il catastrofico periodo degli anni novanta.
Solo un servo sciocco?
Una cifra, quindi, che al di là delle singole battaglie di Navalny, come quelle anticorruzione (che da noi sarebbero state bollate come “populiste”), si riassumeva in uno spirito distruttivo e centrifugo, apprezzatissimo quindi in un Occidente bramoso di piazzare qualche mina politica interna alla Russia, per indebolirne gli assetti interni, fino a provocarne un vagheggiato collasso (lo stesso fine,
dichiarato apertis verbis da Biden, nel momento in cui si scatenava la campagna sanzionatoria antirussa del 2022).
Non stupisce, quindi, che la Russia di Putin – quella Russia che il dissidente neocondannato Oleg Orlov ha dichiarato essere un paese “fascista” (con buona pace di chi, in casa nostra, si ostina a vedere in Putin un “neosovietico” e un “neobolscevico”) – avesse reagito, condannando Navalny nel 2021 per “estremismo politico”, capo d’imputazione che manca francamente delle caratteristiche di “tassatività del diritto” e utile per mettere alla sbarra gli elementi politicamente più ostili (a dire il vero Navalny si era anche già guadagnato condanne più blande per affari di corruzione, il più noto e solido l’affare Yves Rocher, in cui era stato denunciato dalla multinazionale della cosmetica francese per frode e appropriazione indebita di fondi).
Se le circostanze della morte di Navalny restano oscure, non c’è da illudersi circa la natura illiberale della Russia di Putin che di conseguenza non lascia spazio agli elementi distruttivi e disgregativi.
Al di là del merito delle sue battaglie, era la ricerca della disgregazione della Russia ciò che di “buono” l’Occidente vedeva e voleva suscitare in Navalny; la stessa ragione è stata, in fondo, la causa della sua condanna e della sua persecuzione politica.
Filippo Deidda