Recensione de La repubblica transitoria – Considerazioni sulla disposizione che vieta la riorganizzazione del Partito fascista.
Ha generato scalpore, tra i vecchi e i nuovi antifascisti, la sentenza dello scorso gennaio delle Sezioni riunite della Corte di Cassazione che ha annullato una precedente condanna di militanti di destra per aver salutato romanamente durante la commemorazione di Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani a Milano.
La condanna della Corte d’Appello aveva ritenuto che i fatti integrassero il reato previsto dalla legge Mancino (quella che punisce anche la discriminazione razziale), mentre la Suprema Corte riconduce il saluto romano, eventualmente, nel perimetro della Legge Scelba. Il processo andrà rifatto. L’avvocato difensore di alcuni dei militanti, Domenico Di Tullio, ha potuto così sintetizzare il senso della sentenza: “la decisione della Cassazione sancisce che il saluto romano non è reato a meno che ci sia il pericolo concreto di ricostituzione del partito fascista come previsto dalla Legge Scelba, oppure ci siano programmi concreti e attuali di discriminazione razziale o violenza razziale così come previsto dalla legge Mancino.” In conclusione, il saluto romano non costituisce un reato in sé.
L’ironia della Storia o in questo caso semplicemente della cronaca, è rappresentata dal fatto che la sentenza giunge alcuni giorni dopo la commemorazione, a Roma, dei martiri di Acca Larenzia, con il rito, come ogni anno, del “Presente” e del saluto romano da parte di migliaia di militanti, che tanto rabbioso sconforto ha destato nell’antifascismo di vecchio e nuovo conio.
Un libro per chiarire le posizioni contraddittorie della giustizia
Per fare un po’ di chiarezza sulle varie disposizioni antifasciste (XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione, legge Scelba, legge Mancino), sulla loro genesi, sulla loro applicazione, spesso con sentenze contraddittorie, da parte della magistratura, sulla loro congruità rispetto ad altri articoli della Costituzione, come l’art. 3 (uguaglianza dei cittadini), l’art.18 (libertà di riunione), l’art. 21 (libertà di manifestare il proprio pensiero), l’art. 49 (formazione di partiti) è stato pubblicato, nel 2023, un prezioso testo di Stefano Stochino, La Repubblica transitoria.
Considerazioni sulla disposizione che vieta la riorganizzazione del Partito fascista, per i tipi di una casa editrice storica della Destra, le edizioni Settimo Sigillo. Un testo che ci permettiamo di consigliare vivamente a tutti i lettori.
L’autore è un avvocato esperto in Diritto Costituzionale e Dottrina dello Stato e il testo è assai utile per dipanare un costrutto giuridico che l’ansia di prestazione antifascista dei vari legislatori ha edificato con sciatteria, mancanza di chiarezza definitoria (anche per ampliare a piacere le fattispecie punibili), superficialità, chiaro intento punitivo e persecutorio di idee e opinioni.
Ovviamente, data la sua natura, il linguaggio del testo è rigorosamente giuridico, ma comprensibile a tutti. Il tema viene affrontato con accuratezza scientifica e soprattutto sine ira ac studio, con pacatezza di ragionamenti, considerazioni, giudizi e conclusioni, pure quando è evidente la severa critica del giurista, che utilizza anche solide argomentazioni storico-politiche, nei confronti di una serie di leggi confuse, contraddittorie e, come si è detto, in contrasto con altri articoli della Costituzione.
Leggi che noi, che non siamo tenuti alla sobrietà argomentativa dell’autore, ci sentiamo di definire tranquillamente liberticide, persecutorie e generate da una falsificazione storica: quella dell’antifascismo.
Insomma, una manifestazione della giustizia dei vincitori della guerra civile in nome del barbaro principio del vae victis.
Le ombre sul referendum del ‘46
Il 2 giugno 1946 si tennero le votazioni per il referendum monarchia-repubblica e per l’Assemblea Costituente.
Sono ben noti i forti dubbi circa la correttezza del voto per la scelta della forma istituzionale: non mancarono fondate critiche e violente proteste di piazza, con morti e feriti. Comunque, entrambe le votazioni possono essere definite monche in termini di elettorato: non poterono votare, infatti, gli abitanti delle provincie di Bolzano, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume, Zara.
Non solo: migliaia di soldati prigionieri, soprattutto i cosiddetti “non cooperatori”, languivano ancora nei campi di concentramento degli Alleati sottoposti a trattamenti feroci, per non parlare dei prigionieri in Unione Sovietica, di cui ben pochi tornarono.
Comunque, il 25 giugno 1946 si tenne la prima seduta dell’Assemblea. Stefano Stochino menziona l’orientamento antifascista comune a tutti i costituenti.
Certo, vanno considerati i tempi e la vicinanza della guerra civile con i suoi massacri di fascisti veri e presunti che continuarono fino al 1948, se non oltre.
Ci sia comunque permesso di chiosare: anche ammesso questo comune orientamento antifascista, non possiamo non avere qualche dubbio sull’eguale intensità dello stesso tra i Padri Costituenti, come si usa dire con pomposa definizione.
Quando la DC portava la camicia nera
Non dimentichiamo che la maggioranza degli eletti della DC erano notabili del Sud, molti con trascorsi nelle amministrazioni fasciste. Ci sarebbe da ricordare poi quanto blando fosse l’antifascismo dei membri del Blocco Nazionale della Libertà, monarchici e conservatori.
Per non parlare poi dei qualunquisti, che nutrivano un profondo disprezzo per l’antifascismo fanatico delle sinistre. Alcuni di questi qualunquisti, come l’onorevole Russo Perez, passarono poi al Movimento Sociale Italiano, fondato il 26 dicembre del ’46. Più tardi, nel 1972, analogo passo fu compiuto dall’onorevole Covelli, monarchico.
È poi Stefano Stochino a ricordarci che un costituente conservatore, l’onorevole Benedettini, invitò i colleghi a considerare la buona fede dei molti fascisti che onorarono il nostro Paese: uomini che si affermarono non perché fascisti ma perché dotati d’ingegno.
Comunque, furono ovviamente le sinistre, soprattutto Togliatti, ad insistere per l’introduzione nella Costituzione una specifica norma antifascista.
Lo zampino del Vaticano
Interessante è però notare che la sua formulazione fu in parte a cura di Dossetti, della sinistra DC, poi sacerdote progressista e partecipante al Concilio Vaticano II, uno dei santini del modernismo cattolico. Anche se l’ispirazione rimane togliattiana. Si giunge così alla XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione: È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista.
La XII disposizione transitoria
Molto si è discusso su questa disposizione, soprattutto in relazione all’aggettivo “transitoria” nel titolo.
Questa transitorietà è attribuibile solo al secondo comma (per non oltre un quinquennio) o all’intero articolo?
Rimane il fatto incontestabile che la XII Disposizione ha certamente natura eccezionale, in quanto si contrappone al principio generale della Costituzione ricavabile dal combinato disposto degli artt.18 e 49, argomenta l’autore, citando anche l’opinione di altri giuristi.
Ancora prima della promulgazione della Costituzione, era stata approvata la legge 3 dicembre 1947 n. 1546, che individuava nella struttura militare e paramilitare e nell’esaltazione e uso di metodi violenti la volontà di ricostituire il partito fascista. Una legge affrettata e confusa, così commentata da Stefano Stochino: “Precisione giuridica e chiarezza non erano certo l’aspetto caratteristico della norma”.
E’ interessante ricordare che tale legge trovò una sua applicazione con il processo ai FAR, Fasci di Azione Rivoluzionaria del 1951, che vide coinvolto anche Julius Evola, arrestato e portato in prigione invalido su una carrozzina, considerato padre spirituale di alcuni militanti di destra riuniti attorno alla rivista Imperium e accusati di alcuni attentati dimostrativi, firmati appunto FAR, e articoli di apologia del fascismo, tra i quali Clemente Graziani, Pino Rauti, Enzo Erra, Fausto Gianfranceschi, Paolo Andriani, Luciano Lucci Chiarissi, Franco Petronio, Egidio Sterpa, Giulio Cesco Baghino.
Tutti nomi che ritroveremo poi come protagonisti di spicco nella politica e nella cultura di Destra.
Evola in manette
Notevole e assai nota, per efficacia storico-politica, fu la auto-difesa di Julius Evola. Accusato di avere scritto su Imperium contro la democrazia (accusa da reato d’opinione), Evola, anche con accenti ironici, argomentò che le stesse accuse avrebbero potuto essere rivolte a Platone, Aristotele, Dante, de Maistre, Donoso Cortes, perfino un Metternich e un Bismark.
Evola venne assolto, ma Clemente Graziani e Fausto Gianfranceschi vennero condannati a due anni.
Agli inizi degli anni ’50, il Movimento Sociale Italiano si era affermato come stabile e non ignorabile presenza nel panorama politico. Grazie all’alleanza con i monarchici, questo partito governava molte città, anche importanti, del Sud e godeva di crescenti successi elettorali, erodendo sempre di più il bacino elettorale della DC.
La pistola puntata contro l’MSI
Ecco allora l’idea democristiana di inasprire la vigente normativa antifascista con una specifica legge progettata come arma diretta contro il MSI: la famigerata legge Scelba che da un lato si pone come attuazione della XII Disposizione, dall’altra: enuncia una definizione del partito fascista come quella organizzazione che persegue finalità antidemocratiche ed esalta, minacciando o facendone uso, la violenza come lotta politica; è altresì fascista quell’associazione che propugna la soppressione delle libertà costituzionalmente garantite, che fa propaganda razzista, denigra la Resistenza ed esalta uomini e fatti del fascismo.
Si noti, in questa definizione molto alla rinfusa, la condanna di atti violenti (già peraltro sanzionati da altre norme penali), comportamenti politici, semplici opinioni ed espressioni di idee.
Se la Scelba è incostituzionale
Con fondatezza l’autore sottolinea come questa legge omette di definire, o indichi elementi pseudo- definitori, di un partito fascista: Ridurre il termine fascista alla identificazione di un coacervo di comportamenti violenti e di carattere razzistico, ad un risveglio di intolleranza e volontà criminose, pare confutabile.
Furono molti i politici, non solo missini, i giuristi e i commentatori che definirono la Scelba incostituzionale. Nel suo duro intervento in aula, anche Giorgio Almirante sostenne l’eccezione di incostituzionalità appellandosi all’art. 21 che assicura ai singoli la libertà di pensiero e di propaganda.
Un noto giurista, Giuseppe Maggiore, così scrisse sulla Rivista Penale: il termine fascismo ha visto da un tratto in qua talmente dilatare i suoi confini fino a sbiadire […] è divenuto un termine di cui si serve la politica dei vincitori per disegnare dispregiativamente la politica dei vinti.
D’altronde è innegabile che stabilire una rilevanza penale rispetto a mere opinioni come la denigrazione della democrazia, la denigrazione dei valori della Resistenza, la propaganda razzista, la apologia di fascismo, si configuri come l’introduzione nell’ordinamento normativo di reati d’opinione e una limitazione del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero.
Denigrare la democrazia?
Per inciso, sulla denigrazione della democrazia si potrebbe riproporre la provocazione di Julius Evola: perché allora non vietare i testi di Platone, Aristotele, Dante, de Maistre, Donoso Cortes, ma, aggiungiamo, anche Nietzsche, Sorel, Maurras, Pareto, lo stesso Evola, ovviamente o, più vicino a noi, Nicolás Gómez Dávila o persino Jorge Luis Borges (La democrazia è un curioso abuso della statistica)?
Sulla base della legge Scelba, furono innumerevoli le incriminazioni di deputati e militanti del MSI. Per diversi anni, ad inizio legislatura, la magistratura chiedeva l’autorizzazione a procedere contro Almirante, e numerose furono le richieste di scioglimento di quel partito, ma, nonostante la pressione di magistrati ed esponenti della sinistra e anche della DC – Andreotti, in un discorso del 10 maggio 1973, incitava la magistratura ad applicare la legge Scelba – il MSI sopravvisse sempre fino al suicidio di Fiuggi del 1995.
Però non mancarono esiti giudiziari grotteschi, come quando l’editore Ciarrapico venne incriminato per aver pubblicato un testo di lettere di condannati a morte della RSI.
Le maldestre sentenze della magistratura
Sono da ricordare anche i processi contro il Fronte Nazionale, Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, accompagnati dai soliti atti repressivi contro i vertici e i militanti. Per poi procedere al loro scioglimento da parte del Ministero dell’Interno avvalendosi della legge Scelba o, per il Fronte Nazionale, della legge Mancino.
Ovviamente furono numerosi i ricorsi alla Corte costituzionale riguardo all’incostituzionalità della legge, sempre respinti.
Tuttavia, diverse sentenze della Consulta hanno inequivocabilmente stabilito che le varie fattispecie previste dalla legge Scelba, per assumere carattere di reato, debbano essere idonee a far sorgere la situazione di pericolo di ricostituzione del partito fascista. Tale principio è alla base di diverse sentenze della Corte di Cassazione, compresa l’ultima del 18 gennaio, a Sezioni Riunite.
Il carico da 90 dell’ONU
Nel frattempo l’ONU imponeva agli Stati membri la Convenzione internazionale di New York contro la discriminazione razziale del marzo 1966 che, dopo una prima ratifica con la legge 654 del 1975, venne sostanzialmente recepita con la legge Mancino del 1993, con la quale viene punito chiunque diffonda in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, il divieto di organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali.
Il carico repressivo venne poi ampliato includendo la negazione e la minimizzazione della Shoah (il cosiddetto revisionismo storico, se non il negazionismo).
Riguardo a questa norma alcuni storici, tra cui Franco Cardini, hanno ricordato che la ricerca storiografica è sempre un continuo revisionismo. Stochino si chiede come si possa considerare “delitto ogni tentativo di affermare circostanze che si discostino dal dato storicamente divulgato […] sostanzialmente ponendo il divieto a qualsiasi accenno di dibattito”.
Condannare le idee
Con la legge Mancino è chiaro l’inserimento, nel nostro ordinamento, di un nuovo reato d’opinione (si condannano delle idee) il cui pericolo per la libertà di espressione è ben evidente.
Come per la legge Scelba, anche nel caso di questa legge, Stefano Stochino rileva poi come le sue disposizioni “peccano di imprecisione e genericità”.
L’Autore cita anche l’opinione, tra i molti critici della norma, del magistrato e studioso Carlo Alberto Agnoli che nel testo Legge Mancino, Editrice Civiltà, condanna il linguaggio evanescente della legge, che “criminalizza […] condotte tra loro diversissime e indefinite […] la vaghezza e l’evanescenza dell’enunciato sono tali da poter comprendere nel divieto opere come Il primato morale e civile degli Italiani di Gioberti, oppure L’Ettore Fieramosca di D’Azeglio, opera in cui si sostiene la superiorità e il valore del popolo italiano rispetto agli altri popoli”.
Aggiungiamo noi che anche le opere di Joseph Rudyard Kipling, premio Nobel per la letteratura a soli 41 anni, cantore del colonialismo e dalla civiltà bianca, potrebbero ricadere sotto gli strali della legge, come la sua nota poesia Il fardello dell’uomo bianco in cui troviamo scritto:
“Raccogli il fardello dell’Uomo Bianco/[…]/Per vegliare pesantemente bardati/Su gente inquieta e selvaggia/Popoli da poco sottomessi, riottosi/Metà demoni e metà bambini”.
Fascisti ovunque
Come si è visto in molti dei processi, l’uso del termine fascista, rileva l’autore, è il residuato di una elaborazione apodittica, portato dei tragici eventi che divisero gli Italiani tra il 1943 e il 1945; la formula è vaga, sì da privare l’interprete di criteri orientativi”.
Analoga difficoltà si presenta riguardo al comportamento razzista, la cui valutazione è lasciata alla totale discrezionalità del singolo giudice, con esposizione dell’apprezzamento a suggestioni subordinate alla sensibilità personale del magistrato.
Nel caso concreto dei saluti romani, il ricorso dei giudici alla legge Mancino consentiva di bypassare l’esigenza di dimostrare il pericolo concreto di ricostituzione del partito fascista per il riconoscimento del reato indicato dalla legge Scelba.
Quindi, per condannare ad ogni costo i reprobi, veniva richiamata una proprietà transitiva indimostrata sul piano logico, politico e storico: saluto romano = istigazione all’odio razziale.
Nelle sue conclusioni, Stefano Stochino esprime con ancora maggiore determinazione ciò che ha giuridicamente dimostrato, con dovizia di considerazioni e dimostrazioni, nel corso del testo: le attuali norme in oggetto possono condurre, nel caso concreto, a gravi limitazioni delle libertà garantite dalla Costituzione. […] Per tali ragioni non condivido la legislazione punitiva e il controllo che vi si applica.
Ricorda poi che i legislatori delle leggi Scelba e Mancino disattesero il senso di una norma (la XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione) nata come presidio in una fase transitoria epocale e allontanando la prospettiva di una reale pacificazione nazionale.
E quindi, chiude l’autore: Ci si domanda, allora, quale logicità possa giustificare, in nome della libertà, la soppressione della manifestazione di un pensiero.
Antonio de Felip
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