Debito pubblico ed implicazioni usurocratiche – L’Italia dal 1990 è quasi sempre in avanzo primario. Vale a dire che le entrate fiscali e contributive superano il volume della spesa pubblica.
Però lo spettro di un debito pubblico enorme incalza perpetuamente tenendo in ambasce i Governi: limitandone soprattutto l’azione esecutiva.
Le origini del debito pubblico
Occorre in primo luogo risalire all’origine del debito.
Fino al 1981 l’Italia pativa un debito pubblico molto contenuto, con un rapporto debito/PIL intorno al 60% (virtuoso stando agli attuali parametri europei).
Lo stato per finanziarsi emetteva titoli a basso rendimento.
La parte che rimaneva invenduta era acquisita direttamente dalla Banca d’Italia stampando nuova valuta da corrispondere al Tesoro (dal quale dipendeva).
Questo gioco reggeva gli equilibri dei conti pubblici, sebbene implicasse un’inflazione galoppante a due cifre: contemperata tuttavia dalla positività della bilancia commerciale (esportazioni).
L’incantesimo si ruppe con l’autocratica scelta (senza ratifica parlamentare) di separare Ministero del Tesoro e Banca d’Italia.
Pertini benedice il divorzio
I desideri di Andreatta e del governatore Ciampi rimasero così appagati da Pertini che coprì l’operazione con il suo omertoso assenso e da quel momento la nostra macroeconomia subì uno scossone.
La Banca d’Italia, scevra dal vincolo politico, iniziò a collocare i titoli nel mercato secondario.
E a questo fece seguito un rialzo degli interessi. Si ebbe così un’impennata del debito, acuita anche dall’accrescere della spesa pubblica.
Gli italiani, però, negli anni 80 godevano di un relativo benessere. I loro risparmi si tradussero in BOT e CCT, a quel tempo molto redditizi.
L’attitudine italiana al risparmio
Il debito, a questo punto, lievitò fino a moltiplicarsi.
Tuttavia rientrava ancora nei ranghi del debito sovrano, essendo tutta italiana, tra risparmiatori e fondi d’investimento, la platea dei creditori.
Le cose cambiarono dagli anni 90 in poi (vedi vicenda panfilo Britannia) quando i titoli di stato finirono catapultati nel mercato internazionale.
Da riverbero è andato innescandosi il meccanismo speculativo dello spread, le aste al rialzo benedette dai mercati, il giudizio spesso sferzante delle agenzie di rating a riguardo della nostra affidabilità politica ed economica.
La serva Italia menzionata da Dante oggi lo è più che mai, proprio per le scellerate opzioni della sua classe dirigente.
La spirale del debito
Condizione non dissimile a quella di una famiglia ultra-indebitata alla quale gli strozzini levano il respiro premurandosi, però, di non strangolarla.
Questa condizione piace alla finanza sovranazionale e rende vano ogni proposito di sovranismo. Ben evidente i due esempi del 5 stelle e della Meloni, le cui suggestioni elettoralistiche rimangono lettera morta una volta saliti al governo.
Perfino tematiche non pertinenti come un blocco navale, proposto di recente, renderebbe suscettibili i mercati, per loro natura cosmopoliti e immigrazionisti (es Soros), con ulteriori ricadute sui nostri conti pubblici.
Il tema degli interessi
Sta di fatto che il debito pubblico è diventato di fatto impagabile. E allo stesso tempo, andrebbe considerato già pagato se supposto al netto degli interessi.
Questo per alleviare le paranoie di chi vede il baratro nel nostro futuro.
I nipponici detengono il doppio del rapporto debito PIL italiano.
Eppure, non sono al vaglio di un organismo esterno. È la banca centrale che gestisce il debito, stampa moneta e pone i titoli al riparo da ogni speculazione finanziaria. Non c’è possibilità di cadere in default come avvenuto per la Grecia, perché in Giappone la mentalità samurai permane sempre laddove è in gioco la propria dignità nazionale, la quale va a difesa ad ogni costo.
Ne avessero, di tale dignità, un briciolo anche i nostri governanti, punterebbero seduta stante a risovranizzare il debito, per sottrarlo dai meccanismi speculativi in atto (spread e aste finanziarie), e incoraggiare sul mercato interno l’emissione di BOT a minimo rendimento con rischio nullo per il risparmiatore.
Non è la soluzione vera del problema, ma aiuterebbe già molto a limitarne gli effetti.
Siamo sicuri di dover pagare il debito?
Ma è proprio per restare conformi alle regole del sistema. Perché a voler delineare il discorso su un piano squisitamente etico, vasta parte del debito non andrebbe neanche onorata.
Esso è prodotto da un meccanismo perverso e usurocratico.
Per Aristotele il denaro è solo uno strumento convenzionale di scambio, in luogo del rudimentale baratto.
La crematistica trasforma la moneta in un mezzo per accumulare ricchezze: arte che lo stesso filosofo stagirita qualifica come contronatura.
L’usura, il prestito ad interesse, è diretta proiezione di questa forma di impiego del denaro.
La Chiesa contro l’usura
Per la dottrina cristiana medievale prestare ad interesse è peccaminoso perché dal denaro non si può partorire denaro(San Tommaso).
E inoltre, il tempo l’usuraio non può venderlo perché non è un suo bene, ma appartiene a Dio.
La Chiesa proibiva l’usura ai cristiani, ma fornì dei salvacondotti che aggirassero la natura usuraia del prestito per consentire ai banchieri di offrire il denaro necessario agli stati per finanziarsi.
Con la modernità capitalistica e la secolarizzazione il prestito ad interesse entra nell’orbita delle normali attività economiche.
Oggi l’usura, per definizione, non riguarda il prestito in sé.
Allude solo all’adozione di quegli interessi troppo elevati, tali da rendere un debito inestinguibile.
Il reato di usura, come configurato dal Codice penale, sfiora solo determinati ambiti sociali.
Da esso, ad esempio, è esclusa la grande finanza plutocratica che può tranquillamente speculare a danno dei popoli e delle loro economie senza conseguenze.
I padroni del vapore che non pagano mai
A seguito della crisi dei subprime pagò solamente Bernie Madoff con 150 anni di carcere.
La Banca ebraico-statunitense Goldman Sach, vera promotrice dei derivati tossici e causa dello scoppio della bolla, ne uscì illesa.
A sollevare il problema in ottica internazionale fu proprio il poeta Ezra Pound con le sue teorie economiche antiusurocratiche.
Pagò per questo con la reclusione in un manicomio giudiziario americano. Reo di aver sostenuto i fascismi, ma soprattutto per aver oltraggiato con le sue idee i dogmi del capitalismo mondiale.
Anche oggi chiunque provi a contestare la liceità dei meccanismi all’origine del debito internazionale è deriso come folle e cospirazionista.
Un gorgo senza via di uscita che solo un autentico ritorno alla politica autorevole, sovrana e non sottomessa alle logiche della finanza planetaria, riuscirebbe a porre fine.
Mario Pucciarelli
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