CSDD: il nuovo incubo per i produttori europei – Si chiama CSDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive) o, per “brevità”, Supply Chain Act, la proposta di legge sugli obblighi di sostenibilità delle imprese.
La direttiva è stata rimossa dall’ordine del giorno dell’incontro dello scorso 9 febbraio che doveva tenersi presso il Consiglio UE, per il timore che non si raggiungesse la maggioranza tra i paesi dell’UE, principalmente per la prevista opposizione di Italia e Germania.
Al momento non è stata fissata alcuna nuova data per il voto. Il provvedimento è l’ennesima diavoleria che la UE sta calando sul groppone dei suoi sventuratissimi produttori.
Le leggi draconiane sulla produzione
Alle aziende sarà imposto di eseguire una serie di controlli sull’intera catena di fornitura per accertarne la sostenibilità, in pratica il rispetto dei diritti umani – quindi assenza di lavoro minorile e di ogni forma di sfruttamento dei lavoratori – e dell’ambiente.
Come tutte le tegole con cui la UE ha bersagliato le teste degli europei, anche questa, dunque, nasce da principi sani e assolutamente condivisibili.
E, come sempre, l’applicazione sarà graduale: le aziende con oltre mille dipendenti dovranno adeguarsi entro il 2027; quelle con più di 500 dipendenti e fatturato annuo netto di 150 milioni entro il 2028; entro il 2029 quelle che operano in settori ad alto rischio, con oltre 250 dipendenti, fatturato netto annuo sopra i 40 milioni.
Inattuabile nella pratica
I guai, però, come sempre, cominceranno quando si tratterà di passare alla fase pratica. Perché i controlli costano, e tanto. Le aziende del continente sono già alle prese con mercati molto competitivi per la concorrenza dei paesi emergenti e gravate da una serie di costose incombenze, di cui questa imminente direttiva sarà l’ennesima.
C’è poi un altro problema: cosa fare se si riscontra che un anello della catena di fornitura – quindi un fornitore o un sub fornitore – non rispetta i rigidi parametri imposti dal provvedimento? Lo si aiuta ad adeguarsi – e sono altri costi – o lo si sostituisce.
Ma la sostituzione di un fornitore, specie se strategico, non è un processo tanto semplice. In particolare, in una situazione globalizzata, con innumerevoli conflitti in atto, che condizionano l’economia e lo scambio delle merci.
Proprio le esigenze di sopravvivenza delle imprese in un clima tanto instabile dovrebbero consigliare misure improntate all’elasticità, non a maggiori vincoli. Ma sul buon senso e sul realismo della UE non c’è da fare alcun affidamento.
Dopo i contadini è il turno degli operai?
È stato necessario che le proteste dei trattori facessero tremare l’intero continente prima che Ursula von Der Leyen si decidesse a concedere che l’agricoltura venga risparmiata dal mostruoso Green Deal, malgrado al settore sia stato attribuito il 14% delle emissioni dell’Ue.
L’intero mondo produttivo europeo dovrà imitare gli agricoltori e marciare compatto su Bruxelles per ottenere qualche concessione parziale e magari temporanea? O non è forse, finalmente, il momento di svegliarsi e ripensare ad un nuovo modello di Europa, radicalmente diverso da quello incarnato da questa Unione artificiosa?
Raffaele Amato