Fenomenologia woke. La bruttezza al potere – Ci è capitato tra le mani un vecchio libro sulla condizione operaia. È un ricordo di papà, tipografo formato alla scuola salesiana.
Tra fotografie ingiallite e un pizzico di tenerezza per il mondo di ieri, una cosa ci è balzata agli occhi in modo lancinante: la dignità personale, dell’abbigliamento, della postura, perfino dello sguardo, dei nostri genitori.
Gente povera, e tuttavia fiera, ordinata nel vestire, portatrice di un decoro e di un ordine, esteriore e interiore, che abbiamo smarrito. Il paragone con il presente è devastante e chi scrive, giunto alla soglia dell’età grave, compiange i più giovani, destinati a convivere con la decadenza.
L’immondo mondo contemporaneo è tale da molti punti di vista e il moto verso il basso diventa più rapido.
La bruttezza al potere
Negli ultimi anni il radicalismo woke dei risvegliati ha deformato tutto.
Si è imposta la bruttezza, diventata programma di vita. Ovvia conclusione di un processo di decostruzione del reale, negazione e cancellazione che ha destituito di senso l’esistenza.
Non più viandanti, ma nomadi senza meta, senza centro, senza bagaglio. La chiamano – orgogliosamente-autonomia del soggetto. Il risultato è una sciatteria visibile sin nell’andatura e nella postura, in un abbigliamento fatto di calzoni laceri, magliette con immagini orrende o paurose, scritte – rigorosamente in inglese- volgari o stupide.
Il trionfo del brutalismo
L’ambiente circostante si adatta perfettamente all’umanità disfatta che vi deambula: edifici brutti, parallelepipedi, cubi di vario colore o di nessun colore, muri e treni imbrattati da ogni genere di ghirigoro, arte di strada, street art, dicono, poiché parole e concetti devono essere biascicati in globish. Naturale che idee e visioni del mondo siano quelle che sono.
Esiste una vera e propria fenomenologia del quinto stato, la plebe (come chiamarla diversamente?) a modello unificato, progressista, woke, individualista, tatuata e involgarita. I più sciocchi arrivano a lordare o distruggere l’arte per motivi ambientali.
La prevalenza del cretino diventa dittatura e infine nichilismo.
Secondo la mentalità corrente, nulla fonda l’ordine delle cose. Anzi, non esiste un ordine delle cose.
La guerra al bello
Nulla sostiene il vero, il bello, il buono. Non è questa la sede per delinearne le origini ideologiche, le fonti culturali. Tuttavia, la riconfigurazione antropologica è avvenuta con una precisa regia, il cui esito è l’anomia, l’assenza di norme, il pericolo da cui metteva in guardia Emile Durkheim, padre della sociologia.
Un’anomia rivendicata, ostentata come un trofeo, la vittoria del Nulla. Per Foucault, la norma ultima è la norma dell’assenza di norme, la norma dell’anormale.
Per la prima volta nella storia l’anormalità fonda la normalità. “L’anormale, il deviante si trasformano in pietra angolare del mondo. In tutti i campi. Anche in quello dell’arte convertita in non arte, nella quale la bruttezza e l’insignificanza si trasformano nel pilastro che, non si sa perché, si continua a chiamare bellezza.
Anche nel campo della sessualità (o del genere) ciò che cercano di imporre come norma è l’anormalità della transessualità e dell’omosessualità, che non è né può costituire la norma, la direttrice”. (J. Rùiz Portella).
Ecco il motivo per cui il pazzo, il prigioniero, il dannato della terra di Frantz Fanon – il deviante che nell’ ideologia di genere prende la forma del transessuale- costituiscono il paradigma rovesciato del buono e del bello, del giusto e del vero.
La gabbia dorata
Contrariamente alle apparenze, nonostante quanto fanno credere i nichilisti che tutto revocano in dubbio e tutto demoliscono, quel che cercano di imporci non è il Nulla di una libertà liquida, dissolta nella sabbia.
L’obiettivo è l’imposizione di un ordine più duro di tutti gli ordini del passato. Nonostante le apparenze, il regime liberal libertario è ferocemente dispotico, fondato sulla pretesa di fondare il mondo sull’assenza di qualunque principio diverso dalla libertà assoluta, sciolta da vincoli e limiti.
L’ingannevole, falsa libertà che sbocca inevitabilmente nella norma dell’anormale.
La fenomenologia- finanche la fisiognomica- dell’universo woke è il trionfo del brutto, del deforme, del bizzarro, dell’assurdo e dell’invertito. Nel momento in cui si ergono a norma l’anormale e il deviante, avviene qualcosa di mai visto nella storia.
Quando si stabilisce il criterio delirante per cui la base del normale è l’anormale, della saggezza la follia e della bellezza la bruttezza, franano le più elementari basi dell’esistenza.
La bruttezza, appunto. E la bruttura. Non si è mai vista gente così ostentatamente e politicamente brutta. Il motivo?
Per loro – per chi li comanda e indottrina- la bruttezza è un progetto politico, esibita come la bandiera nera dei pirati. Il simbolo di chi non ha bandiera e vive per calpestarle tutte. Scrive François Bousquet che negli Stati Uniti- cratere e motore dell’Impero del Rovescio- “la bruttezza è progredita in maniera spettacolare, soprattutto da quando il “wokismo” si è trasformato nella religione dello Stato”.
Identikit del militante woke
Gli woke, risvegliati narcotizzati, drogati del Nulla, vogliono cancellare tutto, annullare tutto, abolire tutto.
Per Bousquet l’ideologia woke è l’unione del signor Brutto e della signorina Brutta; tuttavia, poiché gli woke sono assai suscettibili con la storia della non binarietà, è meglio ricorrere alla scrittura inclusiva, così diciamo che costituiscono il matrimonio de* Signor* Brutt*.
Non hanno bisogno di esporre il loro programma: lo portano sulla faccia come una provocazione a madre natura. Basta guardare le fotografie, imbattersi in una loro manifestazione, trovarsi in un locale da loro frequentato per avere davanti agli occhi un museo degli orrori.
Brutti, generalmente sporchi (lavarsi poco è un nuovo comandamento ambientalista) cattivi o incattiviti, aggressivi. Qualcuno somiglia alle zucche di Halloween, a cui abituano fin da bambini. Molti esibiscono tratti androgini uniti a trascuratezza fisica e comportamentale.
Trionfano i capelli tinti in colori innaturali: verde sgargiante, rosa fluorescente, arancione, il viola cupo della rabbia rancorosa di cui sono intrisi.
Fanno pensare alla maschera del Joker, il personaggio dei fumetti di Batman dalla risata isterica e dalle orrende smorfie, ai protagonisti grotteschi degli spettacoli itineranti di una volta, la donna cannone, quella barbuta o il Mangiafuoco di Pinocchio.
Nulla a che vedere con la selvaggia dignità di Queequeg, il ramponiere di Moby Dick, gigante tatuato figlio di un capo tribù che ha abbandonato la sua gente per visitare il mondo, inseparabile da Yojo, un piccolo idolo che venera come una divinità.
Se la bellezza è un’offesa
Nella nuova versione della fiaba di Biancaneve – odiata da Paola Cortellesi, ultima icona progressista – la matrigna ha preso il potere e non domanda più allo specchio se è la più bella.
“Specchio delle mie brame, dimmi, chi è la più brutta del reame?” Biancaneve stessa verrà presto proibita.
È bianca, etero, il principe che la bacia non le chiede il permesso ed entrambi – brrr…- sono bellissimi. Quello che l’animo woke vuol distruggere è l’ultima diga della disuguaglianza: la bellezza. Perciò assistiamo alla decostruzione della bellezza, alla sua delegittimazione e profanazione.
Percepiscono la bellezza come aggressione e offesa. Quel che l’uomo Zero punto Zero deve ritenere stimabile è l’avvilimento della sua natura sino alla degradazione.
Forse la vera lotta di classe non è tra ricchi e poveri, ma la millenaria guerra che conducono i poetici, i raffinati, i signorili e cavallereschi contro la classe dominante dei rozzi e dei volgari; la guerra dei cavalieri contro i porcari; la lotta tra chi regge le colonne del tempio e chi le profana e le distrugge.
Esageriamo? No, ci limitiamo a osservare un fenomeno di bruttezza, degrado, decomposizione che si svolge sotto i nostri occhi e cambia il panorama circostante.
La fenomenologia woke, insieme con la bruttezza, ha a che fare con l’aggressività e con un attivismo rozzo, triviale, nemico del confronto, che investe ogni condotta sociale, privata e pubblica. Ai lineamenti fisici descritti sembrano corrispondere certi tratti comportamentali, una specifica tipologia psichica.
Woke si diventa, prede del virus mentale del “risveglio” che resetta e riconfigura corpo e anima. La specificità più comune è la petulanza, assoluta, indistruttibile, spocchiosa nei confronti di tutte le opinioni contrarie. Dalla petulanza scaturisce l’assenza di messa in discussione personale, di dialogo interiore. Nessun indizio che la persona woke tenti di comprendere chi non lo è.
Ciò genera una collera perpetua che porta alla lite, all’ostilità manifestata in ogni modo in qualunque occasione. Comune è l’attitudine a tagliare i ponti con amici e familiari di diversa opinione.
La livella moderna
Regna il disprezzo per ogni ipotesi trascendente, accompagnata da un nichilismo greve, convinto che tutto sia inutile, insensato, un atteggiamento esposto con una presunzione ricoperta di superiorità. Gli woke sono portati a negare o distorcere ogni verità; nella discussione- quando si abbassano ad essa- esauriti gli argomenti, passano facilmente all’attacco personale.
L’odio per il passato assume tratti patologici. Il tutto è attraversato dall’ egocentrismo tipico di chi è convinto di possedere la verità. In realtà, è spesso sintomo di ansia e bassa autostima, effetto della vertigine nichilista.
Il degrado che conduce all’assenza di direzione prima, all’ insensatezza generalizzata poi, ha bisogno di essere colmato in qualche maniera, per non affondare completamente. Di qui la persistenza delle apparenze democratiche, la rivendicazione di libertà astratte, una volontà di potenza rovesciata (volontà di impotenza) imperniata sull’odio di sé, la cancellazione di ogni passato, il rancore verso l’eccellenza e la bellezza, paragoni insostenibili, odiosi e odiati.
Nel marasma dell’anomia, della fluidità diventata gassosa, nella guerra di tutti contro tutti, al di sopra della bruttezza fisica e interiore dell’universo woke, tutto è sovrastato dalla legge del più forte.
È una giungla dominata da un unico padrone, il denaro.
Quel mondo dissennato e privo di centro gioca con carte truccate.
È l’inganno non visto, o peggio, accettato, che porta a precipitarsi nel burrone costruito da chi dirige il gioco sulla testa di generazioni inconsapevoli.
Padroni ideologici e padroni oligarchici
Il programma della bruttezza, il paradigma della volgarità, la tensione verso la cancellazione, la fascinazione vertiginosa nei confronti dell’abisso, rendono vittime troppi ingenui. Vittime innanzitutto di se stessi, ovviamente.
L’indeterminazione, il mondo al contrario, non possono reggere. La logica delle cose non è di liquefarsi, cancellarsi come si cancella un disegno di sabbia sulla riva del mare.
Le cose sono, esistono: piene, radiose di senso e avvolte nel mistero: in quella congiunzione di luce e oscurità senza la quale non ci sarebbe né mondo, né essere, né bellezza, né arte, né senso.
All’orribile generazione woke chiediamo di non soggiacere all’inganno che li avvolge. Cancellare tutto, fare tabula rasa, giudicare tutto con il mutevole metro dell’oggi, vi rende oggetti alla deriva. Il pensiero negativo figlio del grande rifiuto prescritto da Herbert Marcuse (che forse nemmeno conoscete poiché anch’egli è figlio di ieri) conduce in mille vicoli ciechi.
Li state percorrendo tutti: l’odio di voi stessi, le dipendenze, l’incapacità di credere in qualcosa, l’avversione per chi ha fede in una causa o in un sistema di valori, il consumo di voi stessi che deforma, l’ansia che fa alzare ogni giorno l’asticella dei desideri per celare il vuoto che divora, occupa la vita e rende schiavi. Il brutto è una croce, non un programma.
Roberto Pecchioli
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