Foibe: gli esuli istriani traditi dalla patria
Inutile e anche scorretto nasconderlo: per decenni a tenere accesa la fiamma del ricordo del genocidio Istriano, Fiumano e Dalmata, è stata sempre e solo la Destra politica, più o meno istituzionale o radicale.
Commemorazioni non semplicemente rituali ed emozionali, ma momenti di coraggiosa libertà di pensiero e funzione suppletiva verso una smemorata storiografia ufficiale e di sistema, senza le quali il ricordo della tragedia nella tragedia (l’esodo e l’espropriazione di case e terre dopo la persecuzione e la strage di massa) sarebbe stata destinata all’oblio.
La memoria tradita
Una vera e proprio rimozione unilaterale di vicende tragiche, per decenni dimenticate, quando non colpevolmente nascoste, con connivente faziosità verso i responsabili e disgustoso furore ideologico negazionista. Tutto questo, fino al 2004, quando, seppur con altrettanto colpevole ritardo e utilitaristica piaggeria, il ricordo è carsicamente riemerso (ironia della sorte), ed è stato restituito, con rango ufficiale e istituzionale, alla memoria collettiva pubblica.
Questo non basta certo a far dimenticare, sia le oltraggiose ricostruzioni di una sinistra in malafede e ossessionata da ormai non più tollerabili censure e distinzioni, sia l’atteggiamento tiepido e solo auto-promozionalmente contrito, di una classe politica ormai di governo, che ha sventolato spesso questa come altre bandiere e battaglie identitarie, per meri calcoli strumentali.
La vergogna d’Italia. Il trattato di Osimo
Conservare la memoria e onorare i martiri, è anche ricordare che se il diktat di pace del 10 febbraio 1947 imposto al termine della seconda guerra mondiale dalle potenze vincitrici strappò l’Istria, Fiume e Zara e le isole all’Italia, consegnandole alla Jugoslavia di Tito, fu invece l’orrido Trattato di Osimo che, a distanza di 30 dalla cessione forzosa, ratificò uno stato di fatto illegittimo ed infame mettendo una pietra tombale (mai più rimossa e nemmeno messa in discussione) quanto meno in termini risarcitori e di reintegro nelle proprietà scippate a migliaia di famiglie Italiane.
La cessione di terre Italiane, insomma, fu una vigliaccata etero diretta (dall’estero, leggasi: Inghilterra e Usa), poi realizzata da vomitevoli e genuflessi esecutori nazionali (DC e PCI su tutti). Con questo sciagurato accordo perdemmo di fatto una parte d’Italia abitata in prevalenza da cittadini italiani, con le città e i paesi di Capodistria, Umago, Cittanova, Buie.
Tradita la sestina di Dante
Il sommo Dante, che aveva fissato i confini italiani a Pola – “Sì com’a Pola, presso del Carnaro/ ch’Italia chiude e suoi termini bagna” – di certo non avrebbe mai immaginato che il confine orientale italiano potesse, un giorno, chiudersi tristemente a Muggia.
Si potrebbe continuare a lungo, citando le condotte ambigue e melliflue della politica italiano verso stati come la Slovenia (nei cui confronti mai è stato posto un veto nella UE al fine di ridimensionarne pretese ed arroganza).
Le mire slave su Trieste
Basterebbe ricordare che da 150 anni a questa parte, non hanno mai accantonato mire annessionistiche e che tuttora sostengono una offensiva economica accanitissima e scorretta contro Trieste allo scopo di impoverirla e neutralizzarla.
Da decenni la Slovenia offre manodopera a prezzi irrisori e senza tutela del lavoro, rispetto all’Italia e ha costruito il porto di Capodistria, che è diventato un concorrente agguerritissimo quanto sleale. Oltre a tutto ciò, il 10 febbraio, Giorno del Ricordo, assume una connotazione doppiamente amara per la città di Bologna.
Nessuna pace per gli esuli istriani
Per anni il ricordo delle Foibe e dell’Esodo è stato totalmente negato. Ma mai, gli eredi ideologici e morali dei criminali titini, hanno fatto i conti col la storia e soprattutto la loro coscienza. Il calendario ricorda la data infausta del 18 febbraio 1947, quando l’altoparlante annunciò l’entrata in stazione di un treno pieno di profughi istriani, giuliani e dalmati che, in fuga dal terrore provocato dal dilagare della violenza dei partigiani, affrontarono un lungo viaggio della speranza verso quella che consideravamo a pieno titolo la loro Madrepatria. Uomini (pochi), ma soprattutto bambini, donne ed anziani.
Già intimoriti ed umiliati ad Ancona, da dove, sotto protezione dell’esercito, furono costretti a scappare sotto minaccia all’incolumità fisica dei comunisti locali che giunsero, in un climax di bestiale inumanità, ad impedire fisicamente alla Croce Rossa di fornire anche elementari beni di sussistenza, viveri e soccorso medico.
L’accoglienza dei comunisti bolognesi
Ripartiti alla volta di Bologna, in una vana speranza di pietosa accoglienza, tra sventolio di bandiere rosse con la falce e martello, furono “accolti” dai militanti locali della Stella Rossa, con lancio sputi, pietre e verdure marce contro i vagoni.
La lapide ipocrita della stazione di Bologna
Le cronache riportano anche di altri vigliacchi infami che, privi di un minimo frammento di pietà ed empatia, versarono sui binari il latte destinato alla distribuzione per i più piccoli. Questa vergogna è stata negata per lustri e beffardamente ricordata in modo ipocrita e insultante da una disgustosa lapide, ad oggi esposta nel binario est della stazione centrale.
Un eccidio sistematico, una persecuzione etnica, derubricate a danno collaterale (ma una attenta ragionata lettura della storia dice esattamente il contrario). Una vile e brutale aggressione fisica descritta subdolamente come iniziale incomprensione. poi, magicamente trasformatasi in inesistente “accoglienza”. Ipocrisia e menzogna intollerabile a distanza di oltre 80 anni, per doveroso rispetto verso le vittime di becero e infame furore.
Luca Armaroli
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