Strage di Bologna: È il momento che il Ministro Nordio intervenga – Forse – o anche senza il forse – è venuto il momento che il ministro Carlo Nordio butti un occhio su quanto sta accadendo a Bologna, nel quarto “capitolo” dei nuovi processi per la Strage (l’appello del processo a carico di Paolo Bellini).
Si è detto già della vicenda dell’ormai noto “filmato Polzer”, quello che riprenderebbe sul primo binario della stazione, il 2 agosto 1980, un uomo che, in primo grado, è stato riconosciuto come l’imputato.
E si è detto di come i legali del Bellini, in apertura del secondo grado, abbiano prodotto un ingrandimento dell’immagine suddetta, dove si nota, alle spalle dell’uomo, una donna con l’orologio al polso che, chiaramente, indica un orario – le 13.15 – incompatibile con l’ipotesi accusatoria.
Gravi illazioni
Le parti civili del processo, commentando sulla stampa le novità introdotte dal collegio difensivo, hanno sollevato pesanti illazioni, circa la possibilità che i tecnici di cui si sarebbero avvalsi gli avvocati avessero “photoshoppato” l’immagine in questione – che gergo comune è pacificamente sinonimo di “truccare” -, facendo intendere la possibilità di un artato spostamento delle lancette dell’orologio dell’anonima donna ritratta.
Un’accusa pesante, ma che, conoscendo l’asprezza del dibattito tra le parti in questo processo, potrebbe pure passare inosservata o quasi.
Ciò che, invece, non dovrebbe essere tollerato è che questa stessa illazione – come è successo durante la prima udienza – venga ventilata addirittura dalla pubblica accusa, cioè, da quell’ufficio giudiziario che, nell’ordinamento italiano, ha il dovere – non la possibilità: il dovere – di analizzare e valutare senza pregiudizio e con la massima imparzialità sia gli indizi a carico che quelli a discarico degli imputati.
Separazione delle carriere
Se la Procura generale di Bologna ha il dubbio che un legale abbia falsificato o fatto falsificare documenti e indizi che intende introdurre nel processo, non può fare commenti ironici o battute di spirito, ma trasmettere gli atti alla Procura per incriminare gli eventuali e presunti colpevoli di detta falsificazione che, secondo il Codice, costituirebbe un reato e pure di una certa gravità.
Al contrario, se gli elementi addotti dal collegio difensivo di un imputato – in questo caso di Bellini – mettono in pesantissima discussione l’impianto accusatorio, la Procura ha il compito preciso e ineludibile di vagliarli con rigore, magari chiedendo ulteriori analisi, consulenza o procedimenti tecnici atti a verificare lo stato delle cose.
D’altro canto, delle due, l’una: o i procuratori italiani s’impegnano a svolgere il loro compito secondo quanto previsto dalle norme e dallo spirito dell’ordinamento italiano attuale; oppure, se ai procuratori nostrani piace e si attaglia perfettamente solo il ruolo di inquisitore – nell’accezione specifica che questa definizione assume in riferimento al fu Sant’Uffizio -, si approdi subito alla separazione delle carriere e alla trasformazione del pubblico ministero in “district attorney” all’americana, ma con tutti i vantaggi e i limiti che quella figura ha nella gestione della polizia giudiziaria, delle prove e dei testi del sistema statunitense.
E con gli avvocati della difesa messi perfettamente sullo stesso piano operativo. Siccome, però, di una riforma così radicale dell’ordinamento giudiziario non sarebbe contento nessuno o quasi, allora il ministro Nordio potrebbe chiedere spiegazioni circa il comportamento di una magistratura, quella bolognese, che anche nelle sue espressioni irrituali, sembra tradire un pregiudizio verso gli imputati nei processi per le stragi che non sarebbe accettabile sul piano del Diritto.
Basta intimidire la difesa
Anche perché certe battute e certe modalità degli organi inquirenti possono suonare almeno vagamente intimidatorie verso coloro i quali, come testi o come consulenti, sono stati o siano chiamati in aula per sostenere le ragioni dei collegi difensivi.
Non a caso i precedenti capitoli dei processi Cavallini e Bellini hanno visto la mai accaduta prima – in termini quantitativi – denuncia di intere schiere di testi della difesa e persino di consulenti d’ufficio, i cui lavori hanno dato esiti non graditi all’accusa.
Tutto il Paese, pur nella diversità di opinioni circa quanto è accaduto in Italia negli anni di piombo”, sente la necessità di trovare la verità sulle stragi e sulla strategia della tensione, ma, appunto, di trovare la verità, non di imporne, implicitamente o meno, una.
Massimiliano Mazzanti
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