Ilaria Salis: la maestrina della HammerBande – Auspicando che una così ampia e inattesa – e alquanto ingiustificata – sovraesposizione mediatica della “vicenda ungherese” non arrechi troppo tedio ai pazienti lettori, è opportuno chiosare ulteriormente, essendo numerosi anche gli spunti offerti per parlare di temi ben più seri e meritevoli di attenzione.
Per altro, in merito alla canea scatenata dai soliti vecchi arnesi del “soccorso rosso” in servizio permanente ed effettivo e al goffo imbarazzo delle ipocrite autorità italiane, si potrebbe discettare per ore.
Guardare a casa propria prima
Da autentici garantisti, sia nella fase pregiudiziale, in quella (eventualmente) cautelare, che in quella propriamente giudiziale, basterebbe invitare politici, ministri e giuristi italici a guardare in casa propria, dove quotidianamente e nel silenzio assordante dei più, viene calpestato lo stato di diritto e i principi giuridici millenari che ne costituiscono le autentiche fondamenta.
Si grida alla “vergogna” per quattro lacci con cui una presunta pericolosa estremista viene condotta davanti alla corte (“traduzione” in manette che avviene anche in Italia e nella maggior parte dei paesi cosiddetti occidentali civili europei e non solo).
Oppure ci si indigna per la condizione delle carceri magiare, laddove l’Italia stessa è stata reiteratamente sottoposta a procedure di infrazione e condanne da parte delle Corte di giustizia Europea per palesi violazioni della dignità dei reclusi e contestuale censura delle condizioni degradanti cui sono sottoposti in ambienti restrittivi sovraffollati, vetusti e indecenti.
Un caso esemplare
Un dato concreto per descrivere la situazione attuale: alla “Dozza” di Bologna, capienza 400 detenuti e limite massimo di “tolleranza’ fissato a 600, oggi ci sono oltre 800 carcerati!
Andando a monte: l’Italia è un paese che registra nelle ultime 3 decadi, oltre 32.000 errori giudiziari clamorosi e accertati che hanno inciso irrimediabilmente nelle vite di innocenti e sei quali, per limitarci agli ultimi 2 anni, circa 500 hanno causato ingiuste detenzioni (peraltro poi rimborsate, con onere a carico dei contribuenti e mai dei magistrati responsabili di macroscopici e grossolani errori, se non, molto spesso, di vere e proprie persecuzioni prive di fondamento e giustificazione).
Sempre nella stessa ottica garantista, non si può, poi, chiudere gli occhi sulle motivazioni che hanno indotto i magistrati ungheresi ad adottare simili provvedimenti, né più né meno afflittivi con quelli adottati in mezza Europa in casi analoghi.
La maestrina della Hammer Bande
La Salis (che non è fine letterata in gita di piacere sul Danubio e tantomeno insegnante di ruolo, ma per fortuna, dei nostri alunni, solamente precaria nella scuola pubblica), non è stata incarcerata per il vezzo persecutorio di biechi aguzzini, ma in presenza di elementi indiziari (accompagnati da un plausibile rischio di fuga e reiterazione), precisi, concordanti ed idonei a sostenere una incriminazione per reati gravi ed odiosi.
Viene spontaneo chiedersi, allora, come sia possibile contestare un impianto accusatorio ragionevole, proprio da parte di quei politici italiani che in Patria – fiancheggiati da mezzi di informazione manettari, illiberali e che si nutrono di “mattinali” di Questura e veline dei “PM”, e vivono di teoremi, utilizzando la Giustizia a scopi a volte personali o di fazione – che ammettono pure fattispecie di reato fantasiose come il “concorso esterno” in associazione mafiosa ?
La Salis, per tornare “a “bomba” – o almeno a spranga o ascia – è stata arrestata, in possesso di armi improprie atte ad infliggere ferite gravissime e financo mortali, proprio insieme a tale Hedelhoff, uno dei capi della HammerBande (Gang del Martello), ovvero di quella caritatevole e pacifica combriccola che da anni faceva della pianificazione sistematica e della esecuzione di aggressioni armate in branco a pretesi avversari politici, la propria “ragione” di esistenza.
Conseguenze inevitabili
La Salis, per cui si stracciano le vesti a fronte di due manette e una giustificata custodia cautelare in carcere (non pensino queste anime candide che Poggioreale o Rebibbia siano resort a 3 stelle con tutti i confort…) , ha aderito e partecipato volontariamente ad una associazione a delinquere, con esplicita intenzione di consenso, supporto ideologico e materiale, nonché rafforzamento all’azione criminale violenta.
Ne paghi le conseguenze e pensino piuttosto i politicanti italiani a rispettare le prerogative di uno stato sovrano; oppure, se proprio non hanno di meglio a cui pensare, a sposare le cause di connazionali veramente illegittimamente perseguitati all’estero e degne di maggior attenzione (citiamo tra tutte Chico Forti, da anni detenuto innocente in paese “amico”).
E infine tacciano le vestali di un rigurgitante antifascismo in salsa al pomodoro, le cui rimostranze evocano cupi periodi della storia nazionale, non limitandosi a sostenere le “eroiche gesta” di una picchiatrice in trasferta (la aggressione fisica era l’unico scopo del gruppo di martellatori seriali), ma minimizzano colpevolmente le gesta delinquenziali, ricordando il consenso esplicito e connivente manifestato nelle forme del soccorso rosso militante degli “anni di piombo”.
Gli odierni paladini della violenza politica, questo è il messaggio sotteso alla difesa della Salis, ricalcano, fuori ogni tempo e logica, i loro tristi epigoni che dietro slogan atroci e cinici agitavano ed affondavano chiavi inglesi sui crani di tanti giovani vittime di cieco e vigliacco furore negli anni 70.
Luca Armaroli
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