L’Ecuador dichiara guerra al narcotraffico – L’instabilità dell’Ecuador non dovrebbe meravigliare gli spettatori e gli osservatori internazionali.
Se si dovesse definire concretamente la situazione sociopolitica del paese latino-americano, si potrebbe utilizzare l’espressione instabilità cronica, e l’Ecuador non sarebbe l’unica eccezione della classe tra i paesi che calpestano il continente sudamericano.
Instabilità cronica
La repubblica presidenziale dell’Ecuador è uno Stato formalmente consolidato ma fortemente instabile al suo interno, le sue istituzioni collaterali sono allagate nelle cavità più profonde da un liquido corrosivo, tenace e melmoso dal quale difficilmente riusciranno a purgarsi gli organi statali.
E a Daniel Noboa, il più giovane presidente delle repubblica nella storia dell’Ecuador, in carica dal novembre dello scorso anno, imprenditore di ricca famiglia, è toccato lo scotto di gestire e districare una matassa tutt’altro che sbrigativa, un imbroglio frutto della gestione difficile, e alle volte sbagliata della vita associata, deteriorata dalle infiltrazioni e dagli atteggiamenti malavitosi e criminali, di fronte ai quali risulterebbe saccente e presuntuoso esprimere un giudizio di valore, dato il contesto di corruzione e l’altissimo grado di violenza endemiche.
Uno stato di degenerazione e di corruttela che mette a dura prova la solidità e l’integrità di un individuo, inserito in un ambiente sociale che non prevede tante alternative all’orizzonte.
Il giogo del narcotraffico
Tuttavia, dopo l’evasione di due capi narcotrafficanti dai rispettivi penitenziari, l’assalto agli studi di una rete televisiva nazionale ad opera di uomini armati affiliati a qualche gruppo malavitoso, rapimenti di persone e insurrezioni all’interno delle carceri, Noboa ha deciso di dichiarare lo stato di emergenza, commentando che si tratta di un conflitto armato interno contro un’infuocata schiera di bande di narcotrafficanti, conosciuti anche come maras o pandillas, i quali non temono la mobilitazione e lo schieramento in campo delle forze armate e della polizia nazionale, essendo anch’essi dotati di una struttura gerarchica interna e di un’ampia dotazione di armamenti militari.
Due eserciti in guerra
Lo scontro è aperto ed è legittimato dalla stessa autorità presidenziale, la quale ha precisato che l’azione di repressione da parte delle istituzioni non oltrepasserà i limiti dei diritti umani.
Ma è pura teoria, un tentativo per svincolarsi dalle eventuali critiche nei confronti della stessa autorità statale che in questi giorni sta imponendo alla cittadinanza uno stato di eccezione che prevede il pattugliamento delle strade da parte dei militari e l’imposizione del coprifuoco per limitare gli spostamenti.
Come El Salvador
Una posizione dura, forse intrisa da un pizzico di retorica, che mostra la presenza dello Stato forte che non abbassa la testa di fronte alle minacce e alla tracotanza dei gruppi armati irregolari, contro i quali la giustizia agisce e agirà con il pugno di ferro.
Uno status quo che potrebbe far presagire quanto è accaduto nella repubblica di El Salvador, dove il presidente uscente Nayib Bukele ha intrapreso una durissima campagna di repressione finalizzata a estirpare le bande criminali che infestano il paese impiegando metodologie poco ortodosse, tanto da essere definito il metodo Bukele.
Gli stati vicini in allarme
E all’interno di questo contesto, non bisogna dimenticare la presenza attori esterni quali gli stati confinanti come il Perù e la Colombia, con quest’ultima che incrementa la militarizzazione della frontiera, poiché entrambi allarmati dall’esodo di civili ecuadoriani verso i rispettivi confini, e il gendarme planetario: gli Stati Uniti, che hanno espresso il loro sostegno alla caotica situazione in Ecuador tramite il Dipartimento di Stato, ma senza fare troppo rumore, vista la complicata situazione in Centroamerica e la non buona reputazione americana in quei territori.
Tuttavia, la Casa Bianca, pur dovendo monitorare quanto accade oltre Oceano, vedi i conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese, già punti critici nel ruolo di grande supervisore politico, non può permettersi di ignorare, senza nessun intervento, formale o informale che sia, la zona rossa ecuadoriana, permettendo ai narcos di destabilizzare l’intero paese.
Riccardo Giovannetti
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