Junio! – Avevi mantenuto la stessa voce limpida di quarant’anni prima. E la stessa grinta.
Vabbè, non c’erano più i capelli mossi e i baffetti arricciati che avevano bucato lo schermo televisivo nel programma “Nero è bello”: messo al centro dell’obiettivo, coraggioso per quei tempi, che Giampiero Mughini aveva puntato sui ragazzi della “parte sbagliata”.
Ma l’ironia era la stessa di quando cantavi il “Merendero” e “Police Blues”.
Restavi il ragazzino di Montesarchio ’77, quando mi toccò di presentare il primo Campo Hobbit. Quello che aveva un groppo alla gola di commozione, l’anno dopo, quando venne chiamato a rappresentare, tutto solo, la Compagnia dell’Anello, a Fonte Romana di Pacentro.
E ancora il protagonista di Hobbit3, nel luglio dell’80, a Castel Camponeschi.
L’uomo tornato a Montesarchio, nell’estate del 2017, a celebrare Hobbit 40, calvo e con una lunga barba bianca era, senza possibilità di errore, un’edizione autentica di Junio, al cento per cento.
Siamo rimasti a raccontarcela, ai piedi della scaletta del palco – mentre Jack Marchal accordava la sua chitarra elettrica con raffiche d’improvvisazione alla Jimi Hendrix – parlandoci a cuore aperto.
Così mi hai regalato l’ultimo tuo “sfogone” sul passato, sul presente e sul futuro di quella comunità di uomini che hanno segnato, anche con le colonne sonore delle tue canzoni, giri di pagine del calendario e giri di valzer della politica politicante.
Ultima, o forse penultima, confessione.
Di quei giorni di giugno, resta pure un documento sonoro da rivisitare: un’intervista a radio Shamal, l’emittente napoletana che ti lasciò spazio per raccontare, lucidamente, senza sconti per nessuno, alcune tappe su glorie e ombre, speranze e fallimenti di quella gioventù che s’era fatta vecchia cullando antichi sogni. Senza perdere il gusto della ribellione contro il Pensiero Unico e vincendo le tentazioni dell’entrismo rinunciatario.
Con l’onore delle armi, di recente, l’ha riproposta in rete Ugo Tassinari.
Quella notte beneventana pareva che il tempo si fosse fermato e tutte le sfide fossero ancora lì, a portata di mano. Nonostante tutto. E tu, disponibile in ogni occasione, sono sicuro che ci saresti stato per batterti contro il conformismo e la resa.
E invece, a ben guardare, si doveva capire che avevi voglia di tornare al Casetto, buon ritiro, sulla montagna tra Bologna e la Futa. A inventare, creare, sperimentare. Ancora e ancora.
Nessuno poteva immaginare che, di lì a pochi mesi, avresti dovuto affrontare la lotta contro uno schifoso tumore al pancreas.
Chi ti ha seguito, almeno sulle tue pagine in rete, ti ha visto lanciare ancora, nonostante tutto, segnali di vita e dispacci sul pensiero positivo. Guardando con fastidio quei dannati bollettini medici con i valori sballati della bilirubina mentre progettavi nuovi strumenti per la tua passione creativa: la lavorazione artistica del legno.
Cosa diavolo ci facevi in quel letto di ospedale mentre ti aspettavano Daniela, i tuoi gatti, il volgere delle stagioni sulla collina?
Il “vecchio brontolone” non si arrendeva e progettava la fuga.
Con la solita ironia, raccontava il suo tentativo di evasione, il 4 di gennaio, per godere almeno della sua dose sacrosanta di “aereosol notturno”.
Tentativo fallito per la sua strana divisa di degente in pigiama e giacca mimetica, riacciuffato e riportato in cella.
In quei giorni hai compiuto i tuoi sessantacinque anni. E hai fermato, con una speciale magia, il tempo.
Ogni tanto ritorni nei nostri sogni, con una tua bella canzone, per ammonirci sulle tentazioni di Sauron.
Contro la superstizione di un sistema, vassallo e vischioso, che “è cosa vostra / non è mia!”
Walter Jeder
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