Morte di Pasolini: nessun mistero, tanta strumentalizzazione – Non meno di mezzo milione di euro: è questa la cifra che lo Stato spenderà per far funzionare la speciale commissione d’inchiesta sulla morte di Pier Paolo Pasolini, qualora il Senato approvasse la legge volta a istituire questo speciale “tribunale parlamentare”.
A presentare il progetto legislativo sono stati alcuni senatori del Pd (Cecilia D’Elia, Simona Malpezzi, Valeria Valente, Francesco Verducci e Walter Verini), di Avs (Ilaria Cucchi Peppe De Cristofaro Tino Magni, di Iv Enrico Borghi, Daniela Sbrollini e Ivan Scalfarotto), dei 5 Stelle (Barbara Floridia), di Azione (Marco Lombardo), addirittura della Svp (Pietro Patton e Luigi Spagnolli).
E qui non si può non fare una prima considerazione fondamentale: lo scorso 24 novembre, la Procura della Repubblica di Roma ha archiviato – e per l’ennesima volta – la richiesta di apertura delle indagini sul delitto consumato il 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia e questa decisione sembra smentire in radice l’avvocato Stefano Maccioni, il quale ora parla di “eclatanti novità” su quella vicenda che sarebbero state superficialmente valutate dai magistrati della capitale.
La sinistra discute la Magistratura
Ed è curioso, quindi, che la Sinistra, la stessa Sinistra che per le Stragi pretende di non mettere in discussione da nessun punto di vista l’operato della magistratura, anche a fronte di nuove prove scientifiche che smentiscono le ricostruzioni cristallizzate nelle diverse sentenze, giudichi con tanto disprezzo il lavoro della Procura di Roma sul caso Pasolini, pur non avendo prodotto alcun elemento in grado di destrutturare i capisaldi delle investigazioni che furono condotte sul caso.
Pur essendo ormai quasi introvabile, chiunque abbia intenzione di approfondire seriamente l’argomento può, anzi: deve, iniziare dall’ottimo “Dossier delitto Pasolini” edito nel 2008 dalla “Kaos edizioni”.
Non si tratta di un libro d’inchiesta, bensì di una miscellanea dei verbali di testimonianza, degli esami autoptici e di altri documenti investigativi su ciò si fondò il processo a Giuseppe Pelosi. Leggendo quegli atti e memorizzando i luoghi, le persone e gli orari che giocarono un ruolo quella maledetta notte del 1975, anche il lettore meno esperto si può facilmente rendere conto di come, negli anni successivi, nessuno sia stato in grado di produrre elementi in grado di smentire ciò che è scritto in quelle carte.
Interessi politici
Per altro, si tratta di “scogli” che non possono essere aggirati da chi naviga con la fantasia – o con strumentale interesse politico -, chiamando in causa oscuri e misteriosi “attori” che, dopo aver agito all’Idroscalo, avrebbero fatto perdere le loro tracce o sarebbero stati occultati da qualche “potere occulto”, poiché sono costituiti dalle parole chiare e inequivocabili – e mai smentite nei decenni successivi – di amici personali del poeta assassinato, di persone che lo amavano e lo ammiravano e che politicamente ne condividevano la fede comunista.
Primi tra gli altri, Ninetto Davoli e Vincenzo Panzironi.
L’allora giovane attore – il quale sarà il primo teste ascoltato dalla Polizia – raccontò della cena al “Pommidoro”, locale di San Lorenzo, iniziata alla 20.30 del 1° novembre, durante la quale illustrò a Pasolini la sceneggiatura di un film da realizzare.
A un certo punto, finito di cenare (a tavola erano in quattro: Pasolini, Davoli, la moglie di quest’ultimo e il loro figlioletto) e di parlare del progetto, i due si lasciarono senza che Pasolini avesse o manifestasse la fretta di raggiungere qualcuno o qualche posto in particolare.
Pasolini e Davoli si lasciarono, queste le quasi testuali parole dell’attore pronunciate agli investigatori la mattina stessa del 2 novembre, quando la conversazione non aveva motivo di protrarsi più a lungo.
Chi poteva organizzare un agguato a Pasolini?
Dunque, se Pasolini non aveva appuntamento con nessuno e non aveva percorsi prestabiliti da fare, chi mai avrebbe potuto organizzare un agguato ai suoi danni?
Il ristoratore Panzironi, invece, amico di Pasolini, sempre dopo solo una manciata di ore dall’assassinio, non solo riconobbe nel Pelosi il ragazzo che era con lui, quando Pasolini giunse nel suo locale, “al Biondo Tevere”, verso le 23, ma raccontò cosa mangiarono e bevvero i due; come Pasolini pagò il conto e a quale ora uscirono dal ristorante.
Quando fu interrogato Pelosi per la prima volta, sempre a poche ore dal delitto e ammettendo le sue responsabilità, raccontò esattamente gli stessi particolari riportati da Panzironi, a dimostrazione che i fatti antecedenti la morte di Pasolini si erano svolti in quel modo.
Inoltre, un motociclista testimoniò – con un particolare anche in questo caso inequivocabile e coerente con le testimonianze suddette – di aver visto Pasolini fare rifornimento a un distributore di benzina poco dopo la mezzanotte e grosso modo nei pressi del “Biondo Tevere”.
Quel motociclista non notò alcun mezzo che stesse seguendo la macchina del poeta.
Così come Panzironi, vedendo Pasolini allontanarsi dal locale, non notò altre auto o moto dietro alla sua automobile.
Pelosi e chi altri?
Pelosi venne fermato dai Carabinieri per il modo in cui guidava – e poi arrestato quando si scoprì che l’auto era di Pasolini, quindi quanto meno rubata – alle 01.30 del 2 novembre.
Dunque, la tragedia di Pasolini si consumò nell’arco di meno di 90 minuti, compreso il tempo necessario per arrivare all’Idroscalo di Ostia e quello speso da Pelosi per ritornare dalle parti di Roma città, quando venne intercettato dalla “Gazzella”.
Chi altri, se non il solo Pelosi che era con lui, avrebbe potuto usare violenza a Pasolini?
Per altro – e concludendo – non ostante un libro di memorie falso come una patacca e per di più non scritto materialmente da lui – libro in cui, smentendo se stesso a oltre 30 anni dai fatti, Pelosi dice quello del 2 novembre non fu l’unico appuntamento con Pasolini -, l’assassino e la vittima non si erano mai visti prima e, quindi, Pelosi non avrebbe mai potuto indicare a nessuno l’Idroscalo di Ostia come luogo dove tendere l’agguato al poeta, dal momento che neanche lui sapeva che quella sarebbe stata la sua destinazione di quella notte?
La sinistra e la favoletta grottesca
Questi sono solo alcuni dei passaggi dell’inchiesta che nessuno, giornalista o politico che sia, è mai riuscito seriamente a mettere in discussione, anzi, nessuno ci ha mai provato proprio. Passaggi che cadono come una pietra tombale sui “complottisti rossi”.
L’unico mistero del delitto Pasolini è la pervicacia che una certa Sinistra, dopo averlo anche parzialmente odiato in vita, mostra nel tentativo di appropriarsi della sua morte, per iscriverla in una narrazione degli anni ’70 funzionale evidentemente alle sue strategie politiche di lungo corso. Strategia che prevede la riscrittura della storia recente del Paese come una sequela di atti criminali volti a impedire a quella stessa Sinistra di conquistare democraticamente il potere.
Una favoletta grottesca, per scrivere la quale non ci si fa scrupolo a mistificare, anche sperperando pubblico denaro, anche le poche verità acclarate della storia giudiziaria italiana.