Siamo alle solite… Ora, che Ignazio La Russa sostituisca il busto del Duce con una foto di Paola Concia, fatti suoi. Degustibus…
Quel che non si capisce, è perché abbia mostrato alla televisione la scultura, ieri, e, oggi, faccia sapere al mondo di aver messo nella sua bella cornicina d’argento l’immaginetta della ex-deputata dei Dem.
O meglio, forse si capisce pure. Prima, dovendo conquistare belle poltrone, era necessario rastrellare il consenso elettorale, dimostrandosi “duri e puri”, rispetto al passato e in previsione dell’avvenire; adesso, ben accomodati, l’urgenza è vivere pienamente e senza troppi scossoni il presente, compiacendo quanto più possibile quanti potrebbero far oscillare la sedia.
Sforzo per altro inutile, visto che per una natica che si pensa di “tappare”, dieci altre continuano a rumoreggiare le stesse, strumentali accuse.
Il consenso contingente
D’altronde, la questione è sempre la stessa: se si ragiona sempre e solo per il consenso contingente, cambiando le contingenze, cambia anche il consenso da conquistare.
Ai “tempi d’oro”, era necessario, compiacendo Giorgio Almirante, far notare quanto più nera fosse la camicia indossata, accusando addirittura “mostri sacri” del partito di essere troppo “conservatori”, come Pino Romualdi, o eccessivamente “innovatori”, come Pino Rauti.
Mentre loro, di fronte al capo, non mancavano mai di salutare col mento stentoreo, di dare del tu o del voi, di saltare agilmente il “cerchio di fuoco”.
L’obbiettivo, all’epoca, erano i posti nel comitato centrale e, per i più agili, nella direzione nazionale, garanzie assolute di capolistati per la conquista delle preferenze.
Poi, venne Alleanza nazionale, o meglio: la seconda An, quella successiva alla morte di Pinuccio Tatarella.
Con Gianfranco Fini senza più contro altari, il gesto atletico venne soppiantato dalla genuflessione, dall’inchino, dalla riverenza: insomma, da tutto ciò che avrebbe potuto, in cambio della “fedeltà”, assicurare il posto nel “listino bloccato” o, per i meno fortunati, almeno il collegio blindato.
Fini, quando sciolse An in Forza Italia in un chiaro rapporto sfavorevole e a vantaggio del “Cavaliere”, dimostrò tutta la sua insipienza proprio da questo punto di vista: addestrata la sua classe dirigente all’ossequio pavloviano verso colui che riempie la ciotola, non comprese che, da lì in avanti, proprio i suoi apparentemente più fidati avrebbero rivolto a Berlusconi il loro affetto e le loro attenzioni.
Dal Partito al Governo
Ora che tanta parte di quella classe dirigente di partito si è trovata a essere classe dirigente della Nazione, non c’è da sorprendersi se, fin dalle ore successive all’insediamento, cerchino smaniosamente l’approvazione dell’establishment: non hanno più bisogno di voti, adesso, ma di “legittimazione”.
Nella loro evidentemente confusa concezione della famiglia, anche dal punto di vista politico, molti, troppi uomini del Centrodestra, pur sapendo di essere “figli naturali” della “sovranità popolare”, agognano solo alla “adozione legale” da parte di chi possiede le chiavi di un potere che è evidentemente più reale di quello politico.
La “cartina tornasole” di questo ragionamento, del resto, è il malcelato “tifo” per la nomina “in pectore” di Mario Draghi al vertice della Commissione europea.
Un’ascesa ai vertici della Ue che spiegherebbe fin troppo bene chi ha fatto salire a Palazzo Chigi Giorgia Meloni e chi, in realtà, comanda in Italia.
Altrimenti, non si capirebbe come sia possibile che l’uomo contestato duramente quando era alla guida della sola Italia – e contestato formalmente solo da Fratelli d’Italia – sarebbe adesso ottimale per guidare addirittura l’Europa, specialmente per volere proprio della “destra di governo”.
Si tratta sempre e solo di una questione di fotografie, da togliere o da appendere alla parete al momento giusto.
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