Il patriarcato è innocente – Dedicato a Giulia Cecchettin uccisa da un giovanissimo uomo, in una modernissima società senza patriarcato e senza padri.
Così raramente mi capita di concordare con la maggioranza che la mia adesione, oggi, al sentire dei più non solo mi sorprende, ma quasi mi preoccupa. Motivo di consolazione è che questa vicinanza all’opinione “di moda”, è solo parziale.
Concordo, incredibile dictu, con gli estimatori del film “femminista” della Cortellesi e trovo ingenerose le rarissime critiche che descrivono la sua denuncia come vuota esagerazione.
Sciocche, vane, ingiuste le altrettanto rare considerazioni per le quali le donne dell’epoca (anni Cinquanta del secolo scorso) sarebbero state delle privilegiate che non lavoravano per sollazzo, facevano figli per convinzione, godevano di lunghe vacanze estive perché un marito premuroso pensava a tutto.
Recuperare la società tradizionale
Verità è che un eden popolato di donne fortunate non è mai esistito, ma sono esistite ottime famiglie ed ottimi mariti.
Ce ne erano, ce ne sono!
È sufficiente questo per ignorare o negare l’inferno delle donne abusate? Erano tante (ed io qualcuna l’ho conosciuta) quelle picchiate, sottomesse, costrette a rimanere nel patimento domestico a causa della strettissima prigione della dipendenza economica.
Nessuna poteva permettersi la fuga e perciò la fuga era scandalo. Solo nel confessionale c’era riparo, ma insufficiente. Anche il prete le supplicava di tollerare.
Posto, al di fuori della famiglia, anche cattiva, anche pessima, per loro non ce n’era.
E così accadeva che tra i doveri della moglie rientrasse la sopportazione dell’insopportabile e l’accettazione dell’inaccettabile come le frequentazioni extraconiugali del marito o qualche più o meno limitato atto di violenza.
Nel patriarcato, contro il quale oggi tutte puntano il dito, c’era anche questo, ma il patriarcato non ne era, se non marginalmente, la causa, anzi…
Le cause hanno radici profonde
Il patriarcato, tra le persone decenti, fu difesa della donna, piena realizzazione della virilità e quindi della femminilità, guida sicura nella famiglia, nascite numerose e protezione dei figli, sottomissione a Dio e cura dello spirito.
Non è il patriarcato il calvario delle donne, ma l’industrializzazione, l’emigrazione nelle città dove un esercito di nuove schiave si trovano lontane dai familiari, sole con il marito ed i figli, sfruttate in un lavoro alienante.
In famiglie borghesi ed operaie, negli appartamenti di una metropoli, la donna è esposta alla bestialità che esiste in ogni essere umano in ogni epoca e che nel maschio si esprime, molto più spesso che nella donna, con la violenza fisica; sola ed isolata non ha riparo contro il delinquente che, inevitabilmente, da sempre, ogni società genera.
L’esperienza delle famiglie allargate
Era negli immensi casolari delle campagne che veniva protetta; era la famiglia allargata nella quale viveva da ragazza e andava a vivere da sposata la sua assicurazione sulla vita e sulla dignità.
La vicinanza di una pletora di parenti che convivevano nella stessa abitazione, che condividevano gli stessi lavori, era uno “scudo sociale” che avrebbe impensierito anche il peggiore dei mariti.
È ciò che accade ancora in molte società tradizionali in cui il clan, unito da legami familiari, vive e lavora insieme: società primitive spesso dedite anche all’uso di bevande naturali stordenti nelle quali, però, la violenza contro le donne è quasi inesistente.
Ce lo vedete, cari lettori, all’interno di questi ristrettissimi clan, un marito che picchia la moglie e che vive a pochi passi dai propri parenti e dal padre, dai fratelli, dagli zii di lei?
Rispetto e religione
La crescita esponenziale di omicidi e di violenze nelle società occidentali prova senza dubbio alcuno che il “patriarcato” non è la radice del male; stuprano molto di più gli immigrati islamici, è verissimo, ma picchiano come matti anche i mariti lituani, svedesi, finlandesi dove del patriarcato non è rimasta nemmeno la memoria.
Schiavizzano le donne le società dominate da un Dio violento così come le società senza Dio quali quelle del nord Europa e purtroppo la nostra.
Non è il patriarcato il gran colpevole, ma la solitudine e l’assenza di Dio o l’adesione ad una falsa religione.
Che differenza c’è, allora, tra un cattivo marito svedese ed un cattivo marito islamico? Il primo picchia a causa della propria instabilità mentale, il secondo a causa del Corano.
Un buon psicoterapeuta si trova, care congeneri che ancora dovete scegliere, ma la conversione di un musulmano a Cristo è faccenda un tantino più complessa.
Irma Trombetta
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