La strage delle carceri: intervista a Elena Ricci – Nel 2022 il numero di suicidi in carcere è stato il più alto dal 1990.
In media si parla di un suicidio ogni quattro giorni e mezzo, con un’incidenza 20 volte più alta rispetto alla popolazione generale.
Nel 2023 l’Associazione Antigone ha parlato della necessità di dar vita ad “atti concreti”.
Una situazione disastrata che continua a non migliorare basti pensare ai tre suicidi avvenuti a distanza di poche ore nel mese di agosto in tre differenti istituti penitenziari.
Tra questi un detenuto di 44 anni di Lamezia Terme trovato morto nella sua cella del carcere di Rossano in Calabria e le due detenute morte nel carcere di Le Vallette a Torino: una è deceduta dopo aver rifiutato cibo, acqua e farmaci per 18 giorni e l’altra si è suicidata impiccandosi nella sua cella.
Prima della morte delle due donne e del detenuto a Lamezia, l’associazione Antigone aveva contato 42 suicidi nelle carceri italiane finora.
Tra i suicidi più recenti c’è quello della scorsa settimana avvenuto a Regina Coeli, dove un detenuto di 21 anni (con la scabbia) è stato trovato impiccato in cella.
“Lo Stato non abbandona nessuno, le due donne morte a Torino erano sotto strettissima sorveglianza” ha commentato il ministro al termine della visita nell’istituto penitenziario di Torino.
Abbiamo fatto qualche domanda sul tema a Elena Ricci: giornalista, pedagogista e criminologa clinica, esperta di forze dell’ordine, difesa e ordine pubblico.
Come si spiegano i 47 suicidi nei 189 penitenziari (spesso fatiscenti) del nostro Paese dall’inizio dell’anno?
Il suicidio è un evento imprevedibile che non va assolutamente politicizzato o utilizzato a fini propagandistici.
Il suicidio è la conseguenza di un disagio che andrebbe risolto a monte; nei casi specifici che Lei ha citato non è certamente la fatiscenza delle carceri la causa del suicidio dei detenuti, ma diverse problematiche che sicuramente meriterebbero una gestione più appropriata.
Le faccio un esempio: spesso tra i morti suicidi, abbiamo detenuti con problemi psichiatrici piuttosto gravi, ecco questa tipologia di soggetto, il cui agire criminale è dettato dal vizio di mente, dovrebbe trascorrere la detenzione in struttura idonea con personale idoneo alla sua trattazione. Gli agenti di polizia penitenziaria non sono psicologi, non sono psichiatri, non sono personale sanitario.
Abbandonati al loro destino
Il carcere non è il “fosso” nel quale buttare gli autori di reati e abbandonarli al proprio destino, ma l’istituzione deputata – mediante lo strumento della pena detentiva – alla riabilitazione, alla rieducazione del detenuto, finalizzata al suo reinserimento nella società.
Un tempo c’erano gli ospedali psichiatrici giudiziari con personale qualificato, ora tutto si demanda agli agenti di custodia che non hanno le competenze per fronteggiare un caso clinico e questo spesso sfocia anche in gravi aggressioni nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria.
Nel 2022 sono 72 le persone, tra tutte le divise, ad essersi tolte la vita, dopo le cinquantasette del 2021 e le cinquantuno del 2020.
Quanto ai suicidi tra le forze dell’ordine, con me sfonda una porta aperta, considerato che da anni oramai mi occupo della questione.
Anche in questo caso, il suicidio è una conseguenza di un disagio che può maturare nella sfera privata dell’appartenente (ad esempio la famiglia, una separazione in corso, problemi economici o di salute), ma anche nell’ambiente lavorativo, si pensi ad esempio al mobbing nei confronti di quegli uomini e donne in divisa che vengono demansionati o sollevati dall’incarico.
Mi risultano ad esempio, poliziotti spostati d’ufficio o demansionati perché durante la pandemia hanno liberamente scelto di non sottoporsi a vaccinazione anti Covid, preferendo la sospensione dal servizio (con le annesse e connesse conseguenze economiche) anziché sottoporsi al vaccino. Per carità, non entro nel merito di cosa sia stato giusto o sbagliato in quel caso, ma difendo la libertà di scelta.
Andando poi sul piano tecnico, il Decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 che ha introdotto l’obbligo vaccinale per le forze dell’ordine (e altre categorie di lavoratori) prevedeva per chi non lo avesse osservato, la conservazione del posto di lavoro senza alcuna conseguenza sul piano disciplinare.
Eppure, sul matricolare dei poliziotti all’epoca sospesi, è rimasta traccia di quella sospensione: questo si traduce in una “macchia” sul rapporto informativo e norme caratteristiche, dunque non prendiamoci in giro. Non sto dicendo che sia questa la causa dei suicidi, per carità, ma è un esempio per far capire come talvolta anche storture maturate nell’ambiente lavorativo, possano influire sul benessere psico fisico del personale che, in caso di disagio, mai e poi mai andrebbe ad esternare le proprie preoccupazioni alla sua Amministrazione.
Fino a quando il disagio sarà “etichettabile” e non considerato e trattato come la normale e comune fase che ognuno di noi nella vita potrà attraversare, non cambierà mai nulla. E questo giustifica il silenzio di politica e vertici”.
Come prevenire l’incremento dei suicidi sia nelle carceri che nella divisa? E di conseguenza che aspettative ha sul governo Meloni per quanto concerne queste stragi silenziose?
Per quanto riguarda le carceri, devono tornare ad assumere il compito per le quali sono deputate: rieducazione e reinserimento con il collocamento dei soggetti fragili da un punto di vista psichico in strutture idonee e con personale idoneo.
Il detenuto, al di là dei crimini commessi, ha comunque delle esigenze che andrebbero ascoltate, come ad esempio vedere il proprio figlio.
Per quanto riguarda uomini e donne in divisa invece, andrebbero innanzitutto puniti quei superiori che utilizzano la disciplina come strumento intimidatorio e poi andrebbero istituiti sportelli d’ascolto, con personale qualificato esterno alle Amministrazioni di appartenenza, cui il personale può rivolgersi senza il rischio di vedersi ritirare manette, pistola e tesserino solo perché magari è triste per la lontananza dalla propria famiglia o per un problema di salute scoperto a un congiunto.
Tutto parte dal sapere ascoltare. Le aspettative che ho sul governo Meloni relativamente all’argomento suicidi? Nessuno, come non ne ho mai avute dagli altri, del resto.
Nemes Sicari