I nonni degli stupratori erano partigiani – A proposito di stupri, oggi più che mai è un dovere ricordare quelli dimenticati.
Sono state ben 2365 le donne torturate, stuprate e uccise dai partigiani dopo il 25 aprile perché considerate cooperatrici dei fascisti.
La storia di Giuseppina Ghersi
Tra queste anche giovanissime come Giuseppina Ghersi: “erano terribili le condizioni in cui l’avevano ridotta, evidentemente avevano infierito in maniera brutale su di lei, senza riuscire a cancellare la sua giovane età. Una mano pietosa aveva steso su di lei una sudicia coperta grigia che parzialmente la ricopriva dal collo alle ginocchia. (…)L’orrore era rimasto impresso sul suo viso, una maschera di sangue, con un occhio bluastro, tumefatto e l’altro spalancato sull’inferno. (:..)Un braccio irrigidito verso l’ alto, come a proteggere la fronte, mentre un dito spezzato era piegato verso il dorso della mano”.
Questa la testimonianza agghiacciante di Stelvio Murialdo al riconoscimento della ragazza.
Un calvario lungo 5 giorni
La mattina del 25 aprile 1945, la Ghersi fu sequestrata da tre partigiani e portata nei locali della Scuola Media “Guidobono” a Legino, adibito a Campo di Concentramento per i fascisti.
I partigiani le ricoprirono la testa di vernice rossa e le stilarono la emme di Mussolini sulla fronte per essere poi esibita in pubblico come fosse un bottino di guerra.
Fu torturata per giorni tra pestaggi e stupri. Un martirio che finirà il 30 aprile con un colpo di pistola alla nuca.
Il tema scomodo
Il suo corpo fu gettato, insieme ad altri, su un cumulo di cadaveri davanti al cimitero di Zinola.
Ma perché commettere un tale scempio sul corpo di una giovane donna?
Giuseppina era una studentessa delle magistrali alla “Rossello” di Savona e ahimè commise un “errore imperdonabile”: scrivere un tema che la maestra inviò al Duce, il quale si congratulò.
Un tema, un semplicissimo tema segnò la condanna a morte di una ragazzina di 13 anni che nulla c’entrava col fascismo e nulla c’entrava con la guerra civile nata tra fascisti e partigiani.
Un agnello sacrificale per mero valore simbolico per gridare la sconfitta del fascismo mentre, in realtà, si verificava il fallimento del senso di umanità.
Anna Maria Araldo a soli 13 anni
Barbarie di cui resterà vittima un’altra tredicenne, Anna Maria Araldo, il cui corpo fu trovato il 30 aprile 1945.
Tutto successe in frazione Croce nei pressi di Stevagni a Castelnuovo di Ceva. Dalle zolle di terra rimosse dalle zampe di un cane pastore, in presenza della sua padroncina, emersero dei capelli neri, poi un capo e a seguire un visetto cereo di una adolescente.
E da quella macabra scoperta ecco che il corpo della ragazzina fu rimosso con delicatezza, poco per volta, da un gruppo di uomini chiamati dalla pastorella Dalmira ancora incredula.
Un corpo diafano di una ragazzina, all’apparenza di non più di tredici anni, gli occhi chiusi, con un foro di pallottola alla nuca, completamente nuda.
È così che fu trovato il cadavere di Anna Maria Araldo, di appena tredici anni e che avrebbe compiuto 14 il mese successivo alla sua morte. Sul cadavere della adolescente c’erano evidenti segni di violenza sessuale.
Da quanto emerso dalle testimonianze sembra fosse tutto premeditato dallo stupro alla morte
Diverse le tesi che spiegano il motivo di quella infamia.
Secondo alcuni la ragazzina servendo alla mensa del piccolo presidio repubblichino avrebbe suscitato l’ira dei partigiani, secondo altri invece qualcuno voleva approfittarsi di lei ma davanti al suo rifiuto decise di assassinarla dopo averla presa con la forza.
Diverse le tesi sul perché di una fine così atroce ma una sola certezza ed è quella riportata sulla targa dedicata alla giovane vittima “Araldo Anna Maria di anni 13 qui violentata e uccisa dal branco il 25 aprile 1945”.
Gli oltraggi anche dopo la morte
Una targa dedicata ad anni di distanza dalla morte di Anna Maria per via del clima d’odio che aleggiava in quel periodo. Un odio che aveva portato a seppellire la ragazza all’interno del cimitero di Castelnuovo sotto una croce senza nome, proprio per non essere oltraggiata anche una volta morta.