Schiaffo alla figlia: madre rischia 3 anni di carcere – Un anno e sette mesi, è questa la condanna per maltrattamenti in famiglia inflitta a una madre per aver dato uno schiaffo alla figlia, dopo aver scoperto che questa inviava foto osé su Instagram ad uno sconosciuto, ma i giudici hanno deciso di sospendere la pena per un percorso di recupero che dovrebbe iniziare nei prossimi mesi.
La clamorosa richiesta del PM
Il pubblico ministero aveva chiesto addirittura tre anni di carcere.
Tre anni di carcere da infliggere a una madre che ha osato mollare una pizza alla figlia per aver adottato una condotta che, sicuramente, non si addice a una bambina di 12 anni.
Abbiamo perso la bussola
Una richiesta che infatti avalla quanto sostenuto dall’ avvocato della donna nella sua arringa difensiva, il quale infatti si era chiesto se uno schiaffo alla figlia per aver inviato foto esplicite ad uno sconosciuto fosse da far rientrare nel reato di maltrattamenti.
Una domanda che trova maggior fondamento se si pensa all’epoca in cui versa la nostra gioventù.
Cosa succede alla nostra gioventù?
Un’epoca dove ragazzine si comportano da donne vissute tra linguaggio sboccato e abbigliamento che non lascia spazio all’immaginazione.
Il tutto reso oggetto di video sui social da Instagram a Tik Tok, dove piccole donne diventano mera merce da dare in pasto agli squali del web.
Gli influencer sbagliati
Un’ epoca dove i simboli sono le Sofia Federico che lottano per l’emancipazione della donna dedicandosi al porno e dove star di Onlyfans con milioni di follower, come Martina Vismara, decantano il loro ricco guadagno mentre i comuni mortali si accontentano della loro dignità e dei “quattro spicci” come 1800 euro al mese.
E a proposito di dignità, la stacanovista dei contenuti piccanti ha le idee chiare a riguardo “a chi mi accusa di non avere dignità rispondo che non è con quella che si pagano le varie spese”.
Simboli per ragazzine dove i soldi facili sono la priorità, non importa come li fai purché tu li faccia.
E’ un mondo al contrario
Ma a questo dramma socioculturale, in cui il web funge da cassa di risonanza, se ne aggiunge un altro: le famiglie abbandonate a loro stesse.
Infatti, la storia della dodicenne, “vittima” di maltrattamenti in famiglia, avviene in un contesto di povertà e abbandono.
La denuncia dello schiaffo è stata fatta dalla ragazzina durante un colloquio con gli assistenti sociali nel 2019
Ma non è finita qui, si parla anche di “umiliazioni” subite dalla dodicenne per il mancato aiuto con la pulizia della casa.
Uno sfogo dal quale è stata aperta l’inchiesta per poi arrivare al rinvio a giudizio.
La gabbia degli assistenti sociali
I giudici, oltre allo schiaffo, hanno considerato di far valere il peso psicologico provocato sulla ragazzina che, secondo la madre, oltre che della casa, si sarebbe dovuta occupare anche dei fratellini e della nonna mentre lei si trovava al lavoro essendo una madre che stava crescendo i figli senza poter fare affidamento sul padre.
Una famiglia disastrata dove il PM ha pensato bene di chiedere tre anni di reclusione ad una madre che “ha osato” fare la madre, ad una madre sola, che da sola manda avanti l’intera baracca, ad una madre che ha osato riprendere sua figlia da condotte che ledono la sua dignità e la sua libertà.
La condanna ad un genitore per maltrattamenti in famiglia per via di uno schiaffo conferma il perché la gioventù sia sempre più sbandata, senza valori, senza ideali, senza etica, dove a far da padrone è il Dio denaro, accompagnato dalla visibilità dettata dai follower e dai like, anziché la famiglia e l’autorevolezza dei genitori.
Cosa dice lo psichiatra Crepet
Uno scenario squallido che sa di fallimento e che conferma amaramente quanto sostenuto dallo psichiatra Crepet:“Siamo arrivati all’apice degli effetti negativi di un uso smodato e incontrollato dei social. Se una ragazzina si fa un selfie e lo posta perché il mondo lo veda, a contare è solo la sua rappresentazione visiva, tutto il resto passa in secondo piano. Il punto è che si è perso il senso del limite. Si sta assecondando il cinismo di certe aziende che fatturano trilioni di dollari sfruttando l’immagine dei nostri figli. È ora di mettere un argine. I social in realtà dovrebbero chiamarsi a-social, visto che predicano assoluta solitudine”.
Nemes Sicari