Colosseo sfregiato, atto sacrilego – Dal cimitero di Père-Lachaise all’anfiteatro Flavio: il sacro e il patrimonio profanati dagli amanti
Il cimitero monumentale parigino di Père-Lachaise è un luogo unico nel suo genere: immensamente dispersivo, maestoso e profondamente umano.
Mi è capitato di visitarlo di recente durante una delle rare giornate torride che sfiancano una città come Parigi, abituata a temperature più lievi e a correnti d’aria che ti tengono in vita.
Ma quel giorno era veramente caldo, la terra era dura, le piante erano stanche e piegate dalla calura chiedevano un sorso d’acqua. E così imploravano i corvi, che alternavano il loro gracchiare a fasi silenziose, sofferenti com’erano verso l’afa, fermi con il becco aperto rivolto al cielo, forse in attesa di qualche goccia d’acqua.
Un paesaggio sospeso
Le tombe, le lapidi e i mausolei, incollati l’uno accanto all’altro, talmente serrati da ostacolare il passaggio per raggiungere gli altri tumuli, bruciavano, mentre le statue e i busti dei morti gloriosi erano roventi. E l’idea di ritrovarsi al posto di quelle figure di generali e di illustri personaggi vestiti di tutto punto e impettiti sotto quel sole infernale suscitava malessere.
Quello che colpisce di Père-Lachaise è la sua vastità, file di tombe che si rincorrono in un sali e scendi perdendosi a vista d’occhio. Tombe addossate e rinchiuse in tanti appezzamenti ripartiti e separati da strade di pietre lisce e levigate, che ricordano i basolati degli antichi insediamenti di epoca romana; qualche volta si aveva la vera sensazione di camminare lungo le antiche vie di Pompei.
Quel pomeriggio, districandomi tra tombe delle più svariate dimensioni, svoltai un angolo cieco sommerso da rami in fiore e alla mia sinistra scorsi la parete di un mausoleo: la sua superficie era completamente segnata da scritte e disegni “rupestri”, frutto dell’incuria e della posizione nascosta di quella tomba.
Una vegetazione aggressiva
Qualcuno aveva deciso di lasciarsi trasportare dall’ispirazione di Eros per incidere goffamente nomi di amanti e cuori dedicatori, approfittando della posizione celata da una vegetazione aggressivamente prolifica, che le stesse autorità cimiteriali invitavano a non rovinare in quanto flora (e fauna) erano diventate parte integrante del sepolcreto.
Una natura diventata elemento di completezza, una natura sacrosanta che ha ricevuto questo crisma in virtù della sua presenza all’interno di un luogo sacro (sacer), ovvero ciò che è riservato alla divinità, entità superiore, dimensione altra, tentazione perenne di raggiungimento per l’uomo.
Dunque, una natura inviolabile e intoccabile, pena il marchio della dannazione, pena la morte, la stessa sorte che, per esempio, spettava a chiunque avesse attentato alla vita dei tribuni della plebe di epoca romana, dotati dell’inviolabilità personale, la sacrosanctitas: chiunque avesse usato violenza contro questi rappresentanti del popolo veniva consacrato alla divinità, ovvero ucciso impunemente.
E mentre vedevo quelle scritte dissacranti quella tomba, oltralpe, a Roma, un turista incauto si faceva riprendere mentre scolpiva in imperitura memoria il nome della sua amata. Niente di strano e niente di male se non fosse che il laterizio destinato ad essere scalfito altro non era che uno dei monumenti per antonomasia: il Colosseo.
Il Colosseo
Edificato sotto l’autorità imperatoria di Vespasiano, che scelse simbolicamente il luogo dove un tempo sorgevano le proprietà di Nerone, la Domus Aurea, restituendo così alla cittadinanza l’uso pubblico di un terreno che era stato riservato a un uso proprio, l’anfiteatro Flavio rappresenta esattamente il bene pubblico che sottintende un approccio accurato, corretto e rispettoso proprio in virtù dell’essere destinato a chiunque voglia goderne la bellezza, la magnificenza e la storia che rappresenta. E pur non essendo originariamente un luogo destinato a funzioni cultuali, lo scorrere dei secoli lo ha ammantato di un’aurea di sacralità giunta sino a noi umili eredi.
Un tempio sacralizzato dal tempo, che non ha avuto bisogno di una classe sacerdotale che officiasse la ritualità necessaria affinché quel luogo fosse ufficialmente riservato alla divinità.
Eppure, quel luogo è stato non solo deturpato ma anche dissacrato dal gesto esecrabile dello sventurato (nel senso di sfortunato nell’essere stato beccato!), la cui condanna è solamente l’effetto logico.
Come i lanzichenecchi nel 1500
Un gesto profanatorio, azione in stile lanzichenecco, come accadde nel 1527, quando la città di Roma venne colpita, spogliata e ferita da un esercito di lanzichenecchi, in prevalenza protestanti, che non ebbero nessun riguardo nei confronti di quella che già allora era considerata la culla di una civiltà e motivo di ispirazione. Allora, i danni alla città pontificia furono incalcolabili: chiese e luoghi di culto distrutti, sacramenti e reliquie trafugate e disperse e spogliazioni materiali e umane in generale.
Due luoghi, lo stesso sacrilegio
Tuttavia, questo gesto fa capire perfettamente che innanzitutto è inesistente il concetto di patrimonio, che presuppone semplicemente il rispetto per due motivi molto semplici anche se non sono gli unici: primo, per il suo valore sul piano architettonico-artistico; secondo, per la sua unicità, nessuno potrà eguagliarlo né tantomeno riprodurlo.
Il Colosseo, come l’area che lo ospita, non è un parco giochi tematico, né tantomeno è stato studiato per essere ‘consumato’ da questo turismo becero.
Poi, per concludere, dall’incisione di quelle lettere emerge anche la mancanza di una consapevolezza del sacro in generale, di quella forma di rispetto verso quanto richiede un piccolo sforzo di umile sottomissione a ciò o a chi è più in alto di noi.
La stessa consapevolezza che è mancata a chi ha profanato quella tomba a Père-Lachaise, il cui gesto equivale a sacrilegio.
Tuttavia, non si tratta di atti che saranno gli ultimi di una serie di gesti analoghi passati, ma purtroppo sono l’intermezzo di una sfilza che si ripeterà.
Riccardo Giovannetti