Il MES spiegato bene – Il 30 giugno il parlamento italiano è chiamato a ratificare il trattato di revisione sul MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, il tutto senza che gran parte del paese (e probabilmente del parlamento stesso) abbia una chiara idea di cosa il MES sia né di cosa sia la riforma che lo riguarda.
Il MES, come dice il nome stesso, è in primo luogo un meccanismo, ovvero un sistema di automatismi per gestire le crisi finanziarie nell’area euro senza margini di manovra e spazi di libertà decisionali di natura politica.
Si struttura come un fondo di investimento, con sede in Lussemburgo, con una dotazione di equity per circa 80 miliardi di euro (generosamente versati a fondo perduto dagli Stati Membri della UE), di cui l’Italia ha già versato la bellezza di 15 miliardi di euro (poco meno di un punto di PIL), e una dotazione a debito (circa 10 volte tanto) costituita da titoli obbligazionari che emette in conto proprio sui mercati.
Come vengono impiegate tali risorse finanziarie?
Principalmente per prestare danari agli stati sovrani dell’eurozona che abbiano difficoltà a rifinanziare il proprio debito pubblico sui mercati.
Il maggior caso di impiego di fondi del MES (e caso scuola base) è stata la crisi greca (che ha determinato la nascita stessa del MES).
In quel frangente la Grecia non fu in grado di ripagare il proprio debito pubblico e non ricevette garanzie in tal senso dalla BCE, dal momento che, nonostante le forzature successivamente intervenute con il quantitative easing, teoricamente la BCE non dovrebbe garantire il debito pubblico di nessun Stato Membro (ormai solo teoricamente perché, in particolare post crisi Covid, ogni Stato Membro, inclusi i più “virtuosi”, sarebbe insolvente senza gli acquisti della BCE).
I primi furono i greci con il vecchio MES
La Grecia, quindi, fu indotta a chiedere i fondi del MES, fondi che furono impiegati, principalmente, per ridurre le perdite causate dal default di Atene degli investitori finanziari istituzionali (leggi banche tedesche e francesi), senza, quindi, alcun beneficio per i risparmiatori greci e, attenzione, impiegando i soldi dei contribuenti di tutti gli Stati Membri (italiani inclusi).
A seguito di tutto ciò, il MES, congiuntamente con la Commissione Europea, la BCE, il Fondo Monetario Internazionale (la “Troika”), diviene il padrone, con diritto di vita e di morte (è un meccanismo), sul paese che accettando di prendere i suoi fondi si è assoggettato ai suoi voleri, dal momento che l’istituzione creditrice ha la facoltà di imporre programmi di austerità fiscale, aumento delle imposte, taglio delle spese (anche sanitarie e pensionistiche, come appunto accaduto in Grecia) e di privatizzazioni dell’industria pubblica (vedi il destino del porto del Pireo), per effettuare un “consolidamento fiscale”, che possa garantire il ripagamento a favore del MES del debito emesso da questo a favore degli investitori internazionali e questo, come visto, costi quel che costi, a prescindere dagli impatti recessivi sull’economia sottostante (e anzi, magari, approfittandone per svenderne i beni).
La ratifica del nuovo MES
Questo il vecchio MES. Il nuovo MES, da cui il trattato di modifica che l’Italia dovrebbe ratificare, è essenzialmente uguale, con l’aggiunta che i fondi raccolti dal MES possono essere impiegati anche a servizio del progetto di Unione Bancaria, in particolare del Single Resolution Fund, ovvero il nuovo Fondo europeo per la risoluzione delle crisi bancarie; in buona sostanza stesso meccanismo ma facoltà estesa di impiego dei fondi a favore delle banche europee che versano in difficoltà finanziarie, con gli stessi effetti potenziali per gli Stati.
Un’ingerenza inaccettabile
Il tutto portandosi dietro un’applicazione ancora più stringente delle famigerate CACs ovvero le “Collective Action Clause”, clausole che gli Stati sono stati obbligati a adottare per regolare un’eventuale insolvenza sul debito sovrano; che così, si spera, cessa di essere sovrano, dal momento che i titoli detti “sovrani” lo sono proprio perché l’ente emittente (lo Stato) ha la facoltà di deciderne i termini di pagamento.
Per inciso: le CAC statuiscono che uno Stato non dovrebbe avere la facoltà di ridenominare il debito in altra valuta (della serie “uscire dall’Euro è impossibile, però, visto che non ci crediamo neanche noi, scriviamo una clausola proprio per quell’eventualità).
Il rischio per l’Italia
Detto tutto ciò, perché mai l’Italia, che è chiaramente la prima nazione, visto l’importanza del suo debito pubblico, ad essere costantemente attenzionata dai mercati per un eventuale rischio di insolvenza, dovrebbe ratificare tale strumento che, dovesse essere impiegata, potrebbe avere effetti per noi “lacrime e sangue”? Perché gli altri lo hanno ratificato e noi no?
Dobbiamo forse rinunciare al nostro interesse sovrano, così, per una carineria? Forse che Francia, Germania, Olanda e qualunque altra nazione non hanno difeso (legittimamente), di volta in volta, i propri interessi nazionali?
Ci è mai stato riconosciuto qualcosa per i 15 miliardi, sostanzialmente già buttati dalla finestra? Forse che i rapporti tra gli Stati si fondano sulla cortesia? Lo ratifichiamo per non usarlo?
Come detto dal Senatore Borghi: “benissimo, è come aggiungere un altro proiettile nella roulette russa, dicendo che tanto non si premerà il grilletto”.
Vi piace il gioco?
Filippo Deidda