La storia de El Capitani – El capitani, la storia di uno dei tanti signor nessuno che vi voglio raccontare
Chi era “El capitani”? non era famoso, non ha scritto libri, nessuna canzone, nessun atto eroico, allora perché ne raccontiamo la storia? Perché, malgrado fosse un semplice “nessuno”, nella Milano di fine Ottocento, tutti sapevano chi fosse e, nei decenni a venire, divenne una delle tante storie da raccontare.
El Capitani, era un omino magro magro, avanti con l’età, che girava ininterrottamente, dall’alba al tramonto, tutta la città, con un grosso bastone di legno tra i denti, tipo cane da riporto e mugugnando una tristissima marcia funebre.
Si muoveva anche a ritmo della marcia, cioè con passo lento e strascicato.
L’elemosina davanti ai negozi
El Capitani viveva di elemosina, di croste di formaggio e tazze di zuppa che gli offrivano i negozianti della città, quando sostava davanti alla loro vetrina, più per farlo andare via, temendo che fosse un menagramo, che per reale pietà.
Nel dicembre del 1887 El Capitani sparì dalle vie di Milano e in breve tempo si diffuse la voce che fosse morto, probabilmente caduto dentro un naviglio o un canale.
Era invece stato ricoverato d’urgenza all’Ospizio di San Marco, dove era arrivato denutrito e malato di polmonite; l’Ospizio di San Marco era celebre per raccogliere tutti i derelitti della città, garantire loro pasti caldi, letti caldi e cure amorevoli e di rimetterli spesso in forma e pronti ad altre scorribande per le vie della città.
Ma a El Capitani accadde l’esatto opposto, continuando a dimagrire sempre più, tanto che iniziò ad essere soprannominato dal personale dell’Ospizio “el San Bartolomeo”, facendo riferimento alla celebre statua nel Duomo che ritrae il santo scuoiato vivo e con la sua pelle sulla spalla.
Salvato da una milanese generosa
Quando ormai i medici disperavano, pur guarito dalla polmonite, la salvezza per El Capitani si materializzò all’Ospizio di San Marco nei panni di una ricca e nobile signora, che riconobbe l’anziano e decise di provare a salvarlo.
Parlarono a lungo e dopo un paio di giorni la dama tornò dal Capitani con una grossa cesta di vimini con dentro centinaia di pacchetti di fiammiferi e decine di scatolette di “patina”, come era chiamato allora il lucido da scarpe.
El Capitani riprese colorito e sorriso, riniziò a mangiare e nel giro di pochi giorni, quando ormai era giugno del 1888 lasciò l’ospizio, recando con sè l’enorme cesto e iniziò a fare “el neguziant”, vendendo per le strade di Milano fiammiferi e “patina”, senza più cantare quelle tristi marce funebri.
La fine tra il tragico e il comico
La dama aveva anche garantito e pagato un letto per El Capitani all’Ospizio di San Marco per il successivo inverno.
Quando però El Capitanì ebbe venduto tutti i fiammiferi e la “patina”, si bevette l’incasso e riniziò a vagare per la città col bastone in bocca e le marce funebri come compagnia.
Morì nell’autunno del 1891
Valerio Arenare