Calcio italiano. Orgoglio e rilancio – Il buio di risultati che sta attraversando il calcio italiano a livello internazionale da una quindicina d’anni a questa parte – se si esclude il formidabile lampo dell’Europeo 2021 – è frutto dello scadimento qualitativo dei nostri giocatori o altre sono le ragioni?
Dopo il vittorioso mondiale del 2006, sono seguite due eliminazioni al primo turno (Sudafrica 2010 e Brasile 2014, rispettivamente da parte di Slovacchia e Costarica) e due mancate qualificazioni (estromessi da Svezia e poi da Svizzera e Macedonia).
La nostra nazionale under 20
Tutto potrebbe far pensare a una involuzione del nostro livello tecnico, da sempre uno dei migliori al mondo.
Ma è davvero così?
Chi ha visto domenica sera la partita inaugurale della nostra nazionale under 20 che, ai mondiali argentini ha sconfitto, e con merito, la favoritissima nazionale brasiliana si sarà sicuramente ricreduto.
Un gioco spumeggiante, verticale, all’italiana – difesa, contropiede, velocità, scambi stretti – da far rimanere a bocca aperta. Con dei giovani talenti di 18/20 anni capaci di tener il campo come dei professionisti.
Già. Ma quanti di questi giocano nelle prime squadre del campionato maggiore?
Messi da parte
Tommaso Baldanzi, che nell’Empoli ha collezionato 26 presenze, è un caso isolato. A parte altri tre/quattro che hanno collezionato pochi minuti di gioco, la maggioranza milita nelle squadre primavera o in serie C; un cenno a parte merita Cesare Casadei il quale gioca all’estero, nella squadra di seconda divisione inglese del Reading, presente in 15 partite di quel campionato; con un cartellino di proprietà del Chelsea che l’ha strappato all’Inter per 15 milioni.
E li vale tutti, vista la qualità dimostrata nella partita contro la nazionale verde-oro dove il giovane ravennate ha fatto da mattatore, segnando due reti e propiziando la terza.
Allora, perché simili potenziali talenti sono ridotti, quasi tutti, ai margini?
Ce lo chiede l’Europa
Le ragioni stanno in primis nei minori costi dei giocatori stranieri, sia nell’acquisto sia nell’ingaggio. A ciò si deve aggiungere il fatto che la nostra federazione deve sottostare alle regole europee in tema di diritti lavorativi dei cittadini comunitari, il che significa che il nostro massimo organo calcistico non potrebbe imporre limiti all’ingaggio di giocatori con un passaporto rilasciato da un membro della UE, fossero anche d’origine africana o asiatica.
E sappiamo la facilità con cui le cittadinanze sono concesse da certi paesi ex colonialisti.
Ciò determina la necessità economica per i club di spingere al massimo al fine di valorizzare questi acquisti, nella speranza di farne aumentare la quotazione e ottenere, all’atto della loro futura eventuale vendita, un lauto margine di guadagno.
Il che significa, in termini d’investimento, farli giocare il più possibile; e, così, a rimetterci è la visibilità e la formazione delle giovani promesse che, seppur talentuose, per il business del calcio promesse rimangono.
Farli giocare
Dovrebbero allora essere le società a investire su questi ragazzi, dando loro spazio, facendoli giocare; perché solo in questo modo, attraverso l’agonismo, la prova sul campo e la sfida importante si forma il carattere, prima qualità, al pari della tecnica, per la costruzione di un campione.
Nelle squadre sudamericane, vere e propri fornaci di talenti, in prima squadra nei campionati di prima serie giocano regolarmente ragazzi di 18/20 anni.
Anche l’Italia ha i suoi campioni, il nostro calcio non è morto e l’ha appena dimostrato.
Oggi giochiamo contro la Nigeria, una delle migliori squadre africane, anch’essa dotata di un ottimo vivaio. E se pure l’esito dell’incontro non dovesse essere positivo, il giudizio non cambierebbe di un millimetro.
Forza!
Gianni Correggiari