Woke all’italiana – Dall’America arriva di tutto. Non poteva mancare l’ideologia woke. Un impasto di sinistrismo, di politicamente corretto e di cancel culture.
L’Italia già patisce gli strali di una cultura di sinistra sempre più pervasiva. La sua egemonia ha prodotto effetti deleteri nella gioventù e nella società.
L’onda del ‘68
L’ideologia woke fa scopa con il nostro “sinistrismo“. Stessa protervia dogmatica, eguale spirito intollerante.
Col Sessantotto la contestazione marxista trovò un incredibile amalgama con le subculture giovanili d’oltreoceano e d’oltremanica: la beat generation, la cultura hippies, la Swinging London. A fungere da cerniera la Frankfurte Schule che fondeva Marx e Freud, ovvero, lotta di classe ed emancipazione sessuale.
Si ebbe che già all’epoca i sinistri iniziarono seriamente a voltare le spalle alla Cortina di ferro per guardare “trozkianamente” ad Occidente e ai suoi finti miti libertari.
La sinistra attuale è diretta figlia di quella stagione. Quella che aveva ridato fiato ad un antifascismo che sembrava ormai logoro e ammuffito.
La Schlein impone le nuove parole d’ordine
Il woke in salsa italica ha oggi nella Schlein la vera espressione apicale. Le sue parole d’ordine entrano nelle grazie del parterre mediatico, che le fa proprie e le amplifica. Ed è disarmante la boria con la quale i Gruber, gli Scanzi, i Floris, i Fazio cercano di inculcarle alla platea.
Vuoi che si parli di immigrati, di gender o di allarme climatico. Nulla di nuovo, si direbbe. La gramsciana egemonia della sinistra perdura da decenni: però con una sostanziale differenza.
Gramscismo mainstream
Prima era elitaria, destinata a un pubblico selezionato, alle vette della loro cerchia intellettuale. Pochi operai si curavano di leggere Marcuse, Sartre o Pasolini. Restavano confinati nei limiti della loro “coscienza di classe”.
Oggi, invece, questo dominio trova ulteriori varchi nella cultura di massa fino all’involgarimento, Recluta nei propri ranghi personaggi comunissimi ed improbabili del livello di un Fedez, di una Elodie o di una Paola Egonu.
Grazie alle semplificazioni in stile “wokeness”, ogni genere di assurdità prodotta lievita a rango di dogma.
Con i suoi esponenti trova difficile snodo anche un normale confronto socratico. Perché alla sovrana logica rinculerebbero in men che si dica, contrapponendo ad essa l’incongruenza di base delle loro tesi.
Trasformano in “verità ” anche ciò che, in tutta oggettività, non ha minimo riscontro nel mondo reale.
Arrivano a sostenere che i neri siano più intelligenti dei bianchi (in barba alla stessa uguaglianza). E non attraverso fatti, ma provando a far tabula rasa di tutte quelle verità storiche e scientifiche che avvallerebbero l’esatto contrario.
Il genere sessuale
Stesso discorso vale per il concetto di genere sessuale. A loro dire, determinato da una condizione interiore, non dai connotati fisici e naturali.
Al cospetto di tali castronerie non c’è replica che tenga. E se provi a farlo, caschi nel loro calderone inquisitorio. Lo sprovveduto Lollobrigida, in allusione alla sostituzione etnica, finisce bersagliato da tutte le direzioni. Anche dai suoi alleati.
Avesse detto un‘enormità il richiamo sarebbe cosa comprensibile. La sostituzione etnica, viceversa, obbedisce ad un dato reale. Le cifre del nostro spopolamento parlano da sé.
E parlano anche quelle in ordine alla massiccia presenza migratoria. Invece Il mainstream addomesticato ai poteri globali minimizza e sentenzia che non c’è allarme. Che sarebbe tutto frutto di una errata percezione. Ma se uno avverte il dolore è noto che vada dal medico affinché gli scopra il malanno. Non lo biasima per le proprie lamentele.
Negare ogni logica
La negazione in stile woke, dunque, è sempre aprioristica, come pure l’affermazione di una tesi.
Non si curano di comprovarla o controdedurla con fatti inconfutabili, ammesso che ne abbiano.
A priori negano un pericolo evidente come l’invasione straniera. Sempre a priori, ne affermano uno immaginario o quantomeno non provato.
Il mantra climatico della siccità nelle ultime settimane vacilla per le piogge cadute abbondanti su tutta la penisola. Costoro capovolgono subito il concetto, associando le precipitazioni in atto ad una “tropicalizzazione del quadro climatico”.
In elusione, però, ad un altro dato: che le montagne risultano troppo innevate e le temperature di gran lunga sotto la media affinché possa darsi suffragio ad una tale ipotesi.
La suggestione da cui trae vigore diventa l’evento disastroso in Emilia-Romagna. Dimenticano però che frane, straripamenti e alluvioni rappresentano una costante per un paese idrogeologicamente cagionevole come il nostro.
E tuttalpiù derivano dall’incuria amministrativa di quelle regioni.
Il supporto mediatico, anche in fattispecie, non è casuale. Rappresenta il bollettino dei dominanti. Basti pensare che a Davos l’agenda globalista si arricchisce ogni giorno di suggestioni “green” e di intelligenza artificiale.
Senonché il diavolo fa le pentole e non i coperchi. Soprattutto quando, in nome del woke o delle sue paranoie politically correct, questi vellica il mai sopito desiderio di sovvertire l’ordine naturale delle cose.
Mario Pucciarelli