Processo di Bologna: mai una partita alla pari? – Quando nell’aula del Tribunale gli avvocati incrociano i rispettivi talenti per difendere o per far condannare gli imputati per la Strage di Bologna, la sensazione che provano gli osservatori è identica a quella dei tifosi rossoblù quando al Dall’Ara scende la Juventus: non puoi aspettarti mai nulla dall’arbitro. Per di più, a Palazzo Baciocchi non c’è neanche il Var.
Inversione a 180°
Come si temeva, dovendo assumere una decisione che avrebbe avuto una diretta ricaduta sul processo di appello per la condanna di Gilberto Cavallini – come la stampa aveva rilevato con inevitabile e giusto clamore -, la Prima sezione della Suprema corte non ha avuto problemi a invertire di 180° l’orientamento giuridico sulla questione sollevata dalla Procura di Palermo. Da oggi, considerati i tempi della Giustizia, in Italia potranno partecipare alle udienze ed emettere sentenze anche gli ottuagenari.
Infatti, contrariamente a quanto deciso per tante altre analoghe eccezioni sollevate al suo cospetto, la Cassazione ha deciso che il limite dei 65 anni di età per sedere legittimamente in una corte, per il giudice “popolare” vale e varrà solo al momento della nomina, ottenuta la quale potrà continuare a seguire il processo fino a conclusione dello stesso e della sua stessa esistenza.
Quando una partita alla “pari”
Curiosamente, il metro di misura cambia per i giudici “togati”, i quali, invece, al preciso, esatto scadere dei termini di quiescenza, che per loro scattano al compimento del 70° anno, non possono più nemmeno prendere in mano un foglio del processo che, magari, stanno seguendo da anni.
Da un certo punto di vista, poco male: gli avvocati Alessandro Pellegrini e Gabriele Bordoni, coi quali collabora anche Mattia Finarelli, hanno ben altre pallottole nella cartucciera per combattere la battaglia tesa a ribaltare un verdetto che è stato al centro di aspre polemiche e motivate censure da più parti.
In primo luogo, la questione della 86esima vittima, ma anche gli elementi che potrebbero emergere dalla desecretazione – promessa da Giorgia Meloni quando era a capo dell’opposizione – dei documenti del Sismi di agosto e settembre 1980, con particolare riferimento a quelli del Centro di Beirut.
Però, al di là della fiducia che si può nutrire sulle ragioni storiche e giuridiche che si conoscono, sulle proprie capacità e sulla propria preparazione, anche a chi è chiamato a difendere gli imputati in questi processi, almeno una volta ogni tanto, non dispiacerebbe giocare una partita “alla pari”.