Omicidio Jessica Malaj: un quadro familiare di abusi e degrado – Uccisa per aver fatto da scudo alla madre: così è morta Jessica Malaj, la sedicenne accoltellata dal padre, Taulant Malaj un panettiere di 45 anni, che ha ucciso sia la figlia che il presunto amante della moglie.
L’orrore si è consumato qualche giorno fa a Torremaggiore, in provincia di Foggia.
Una mattanza che è stata addirittura filmata dal suo stesso autore con un video postato su WhatsApp “Vedete, li ho uccisi tutti”.
Nel video l’assassino, un uomo di origine albanese, dopo essersi presentato, indica il corpo del cinquantunenne Massimo De Santis, titolare di un bar del paese, ucciso da poco: “Vedete questo qua, lui è l’italiano. Ho perdonato già una volta mia moglie, lui è il secondo. Ho tagliato lui, li ho ammazzati tutti i tre, anche mia figlia, vedete qui”, racconta mentre insulta la moglie trentanovenne, Tefta, che si trova vicino al corpo della sedicenne.
Poi, urlando, l’uomo chiede dov’è il suo figlioletto, sostenendo di “Non avere ancora finito”.
I militari al loro arrivo hanno trovato il quarantacinquenne vagare nelle vicinanze, intento a cercare l’altro figlio, un bambino di soli 5 anni. Una carneficina dalla quale stanno venendo fuori dettagli sempre più inquietanti, come quelli emersi dall’intervista fatta alla madre della giovane vittima su canale News 24 Albania. “Mio marito era un mostro: aveva abusato di Jessica e lei non parlava più al padre da due anni. Non solo le ha rovinato la vita ma l’ha anche uccisa”.
Parla la madre sopravvissuta
“Jessica – riporta la donna dal letto d’ospedale – da due anni non comunicava col padre e se non l’ha denunciato è solo per non avere una brutta nomea: si sa com’è”.
Un’intervista dalla quale è emerso il progetto diabolico del marito che “aveva pianificato tutto”, al punto da riprendere le coltellate e i calci dati alla moglie mentre cercava di salvare il figlio.
Un’aggressione che ha portato Jessica a svegliarsi e a intervenire contro quel padre che “non l’ha mai voluta”. Una figlia abusata e mai voluta dall’uomo che avrebbe dovuto proteggerla a costo della sua stessa vita.
Questo è quanto emerge dalle parole della madre della vittima, ma c’è un altro dettaglio che lascia perplessi ossia la mancata denuncia “per non avere una brutta nomea: si sa com’è”.
L’omertà
Un orrore nell’orrore perché, ancora una volta, a vincere sulla dignità della vittima e sulla sua vita è l’omertà.
Quell’omertà che porta la donna abusata a tacere altrimenti scatta “la brutta nomea”.
Quell’omertà che ha condannato a morte una sedicenne.
Quell’omertà dove, in fondo, se vieni abusata “te la sei cercata”
Quell’omertà tipica di una mentalità dove la figlia abusata dal padre deve tacere altrimenti oltre alla violenza fisica le tocca anche quella psicologica e verbale.
Ha donato la vita per difendere la madre
Quell’omertà che ha condannato a morte una ragazza di 16 anni, abusata, mai voluta dal suo carnefice ma che, nonostante queste ferite, era sempre “col sorriso sulle labbra” e molto dedita allo studio. Una ragazza modello che frequentava il liceo classico, ma soprattutto una figlia molto legata alla madre.
Un legame così forte che l’ha portata a difendere chi le ha dato le vita a costo della sua.
Una vita spezzata con “assoluta insensibilità verso la vita umana” come sostenuto dal gip di Foggia Roberta Di Maria che, per questo motivo, ha convalidato il fermo dell’uomo che si trova in carcere con l’accusa di duplice omicidio e tentato omicidio.
Rita Lazzaro