La Russa politicamente corretto, ma all’Anpi non basta – La furibonda reazione dell’Anpi alle parole di Ignazio La Russa sull’attentato di via Rasella, accompagnate per di più da una cornice di affermazioni “politicamente correttissime”, dimostrano quanto sia urgente un ridimensionamento del ruolo pubblico di questa associazione privata e politica che si arroga il diritto di censurare anche le più alte cariche istituzionali.
Gli sproloqui dell’Anpi
Sia chiaro: non è in discussione il diritto dell’Anpi di sproloquiare a ogni piè sospinto, anzi, semmai è proprio quell’associazione a sognare poteri di veto verso chi ha idee differenti a quelle dei suoi adepti; è in discussione il fatto che l’Anpi esista sostanzialmente perché beneficiaria di una fiumana di finanziamenti pubblici, agevolazioni e convenzioni per l’uso di sedi e quanto altro, da parte dello Stato centrale e da innumerevoli articolazioni locali.
Ora, che la politica italiana debba scontrarsi sulla esatta natura militare del “reggimento di polizia Bozen” colpito dai gappisti romani nel 1944, causando in modo immediato e diretto la reazione che porterà all’eccidio delle Fosse Ardeatine, sfiora il ridicolo, nel 2023.
Custodi dell’ortodossia
Ciò premesso, è assolutamente indecente che i “custodi delle memorie resistenziali” pretendano che queste siano venerate e tramandate come un’intoccabile agiografia, considerando sacrilego, se non penalmente rilevante, esprimere giudizi differenti e valutazioni più aderenti alla realtà dei fatti, rispetto a quanto propalato dalla propaganda ufficiale.
Strillare che l’attentato in via Rasella fu elogiato dagli americani non nobilita quel gesto assassino e sconsiderato, ma squalifica semmai anche certi comandi alleati dell’epoca.
Sostenere che quella bomba fu l’atto più significativo della Resistenza in una capitale europea, dimostra solo quale fu la vera e miserevole funzione di gran parte della Resistenza stessa.
Il fatto che nell’Anpi nessuno abbia il coraggio che, nei decenni passati, ebbero tanti altri pur fieri antifascisti, che definirono, in sintesi, una porcata via Rasella, dimostra semplicemente che quell’associazione è un centro di provocazione politica, non un luogo per lo studio della Storia e la promozione di valori universali.
Chi la storia la conosce, ricorda bene le polemiche che suscitò l’inqualificabile decisione di decorare con la medaglia d’oro Carla Capponi e Rosario Bentivegna.
Memoria condivisa?
Come si può pensare di arrivare a una qualsiasi memoria condivisa e condivisibile, in questo Paese, se una fazione pretende, come l’Anpi pretende, che anche le più sconsiderate azioni compiute dai partigiani o le peggiori figure criminali di quel fronte continuino a essere oggetto di pubblica venerazione?
Che Otello Montanari abbia parlato invano, lo si è capito da tempo.
E non è bastata la “conversione” di Giampaolo Pansa – pochi lo ricordano: fu proprio lo scrittore destinato a scrivere poi libri di fuoco sulla Resistenza, nel 1990, ad attaccare ferocemente il politico comunista reggiano per il suo: Chi sa parli – a rendere più sereno e serio il dibattito sulla Resistenza.
Però, è venuto il momento di afferrare la bestia per le corna e pretendere che quanto la storiografia seria ha messo in luce abbia una conseguente considerazione nel dibattito pubblico. Ogni anno, giustamente, vengono ricordate le vittime delle Ardeatine ed è giusto, in quell’occasione, puntare il dito sui loro carnefici.
Di contro, non è certo meno giusto affermare che, se non ci fosse stato lo scellerato, inutile e abominevole attentato di via Rasella, quelle 335 sarebbero rimaste vive.
Le liste infami
E all’Anpi che, con sesquipedale e faziosa ignoranza strepita perché si sottolinei come ci furono italiani, nelle ore precedenti alla rappresaglia tedesca, che si diedero da fare per mettere insieme quelle centinaia di condannati a morte, bisognerebbe rispondere che altri si adoperarono e non poco, nelle stesse ore, affinché nella lista ci finissero prigionieri politici sgraditi al Pci e fossero risparmiati altri ben visti da Togliatti.
E che mentre le autorità italiane si spesero per almeno attenuare la rabbia tedesca – Hitler ordinò una rappresaglia 50 per 1, cioè, la fucilazione di 1500 ostaggi -, i comunisti si preoccuparono solo di salvare la pellaccia e di salvare quella dei loro compagni detenuti.
D’altro canto, per farla breve, una Nazione seria non può decorare e onorare allo stesso modo Salvo D’Acquisto e il duo Capponi-Bencivegna, perché il loro comportamento e il valore morale dei rispettivi gesti fu sideralmente e diametralmente opposto.
Non può esserci lo stesso giudizio positivo sia per chi ha sacrificato la sua vita per salvare quella degli altri sia per chi ha sacrificato l’esistenza di 335 persone all’altare della propria cieca ideologia.