Al Sistema va bene così – La decisione francese sulle estradizioni
La decisione della Cassazione francese, che ha confermato il diniego all’estradizione di dieci membri della variegata lotta armata comunista, autori negli anni settanta di delitti terroristici, omicidi inclusi, non stupisce nelle sue conclusioni.
In fondo ci si era già abituati alle decisioni che, in forza della c.d. “dottrina Mitterand”, escludevano la consegna di persone imputate, o condannate, per fatti che rientravano nella – assai larga, in verità – accezione di “delitto politico”.
Oggi, sepolti Mitterand e la sua prassi, il no si è fondato su motivazioni diverse, processuali e socio-politiche.
Le motivazioni processuali
Le valutazioni processuali si fondano sul non-riconoscimento da parte della giustizia francese delle pronunce contumaciali, ossia rese in assenza/latitanza degli imputati dalle corti italiane, e l’impossibilità da parte italiana, in quanto esclusa dal nostro ordinamento, di disporre un nuovo processo.
La suprema corte francese ha osservato, ricalcando la precedente motivazione della Corte d’Appello parigina, che “diversi ricorrenti sono stati giudicati in contumacia, senza aver avuto la possibilità di difendersi in un nuovo processo”; come se nei vecchi processi celebrati nei loro confronti in Italia non fossero stati garantiti i diritti difensivi.
Una valutazione speciosa
È l”ordinamento francese, in realtà, a prevedere nel caso in cui l’imputato, già detenuto o in libertà, si sottragga alla presenza in aula, procedura e decisione sommarie, in certi casi anche senza l’intervento del legale; salvo poi, una volta catturato o presentatosi l’imputato, questi richieda il giudizio che, revocata la precedente decisione, è celebrato con un rito regolare.
Una simile procedura in Italia non esiste e il processo contumaciale previsto dal nostro ordinamento già contempla tutte le garanzie difensive a tutela dell’imputato; tanto più che quasi tutti i soggetti per cui era stata richiesta l’estradizione si erano sottratti volontariamente al processo, per non finire dietro le sbarre.
La decisione francese appare, quindi, dal punto di vista garantistico-processuale un vero e proprio insulto all’intelligenza; semplicemente, una fregnaccia.
I garantisti col sangue degli altri
Ma non è tutto: i giudici francesi scrivono che “la quasi totalità dei richiedenti hanno vissuto in Francia per circa 25-40 anni, un paese in cui hanno una situazione familiare stabile, sono inseriti professionalmente e socialmente, senza più nessun legame con l’Italia, cosicché la loro estradizione causerebbe un danno sproporzionato al loro diritto al rispetto della vita privata e familiare”.
Queste parole meritano alcune considerazioni.
La prima riguarda la prospettiva francese; sotto questo punto di vista, la motivazione appare degna di finire in una latrina; considerare meritevole di rilievo la circostanza del “nessun legame con l’Italia”, è valutazione di un’indecenza inaudita, nella forma e nella sostanza.
Perché il legame, quegli individui, con il nostro paese non lo perderanno mai visto il sangue i lutti e le lacerazioni che tutti costoro hanno sparso impunemente qui da noi.
Occasioni perdute
E quindi, caso mai, spetta all’Italia e solo ad essa stabilirne la sorte.
E qui subentra la seconda considerazione, che riguarda la prospettiva nostra.
Chi scrive ha più volte espresso una mancata opportunità: quella di chiudere i conti con quel passato che si chiama anni di piombo; difficile negare che eseguire una pena dopo quarant’anni dai fatti rischia di sommare a un’ingiustizia – il dolore delle vittime, l’impunità degli assassini – un’altra ingiustizia – far scontare lunghi anni di carcere a un uomo che magari, col tempo, si è ravveduto. La prima è un’ingiustizia senz’altro assai maggiore ma non cancella per questo la minore.
Contemperare le due esigenze si presentava quindi difficile ma una decente soluzione – come quella di prevedere una pena alternativa che non significasse necessariamente detenzione e isolamento ma che prevedesse anche una riparazione per le vittime – sarebbe stata alla portata delle umane possibilità.
Troppo tardi, però. Un simile percorso andava affrontato già vent’anni fa, col rispetto di alcune indispensabili condizioni.
Non s’ha da fare
E proprio qui s’innesta una ultima considerazione.
Il punto è che proprio il rispetto di certe condizioni avrebbe reso, e rende, impraticabile quel percorso di riappacificazione; che, per essere onesto, avrebbe dovuto passare per la strada della chiarezza e della verità.
Che, per quanto riguarda il terrorismo di sinistra, non ha mai goduto di semafori verdi.
Una vera e propria riflessione politica e storica sul terrorismo e sulla lotta armata comunista non è stata mai affrontata in termini di visione globale e comprensione strategica, ma sempre in maniera spezzettata.
Perché ciò avrebbe significato scoperchiare tanti altarini, scomodi, che avrebbero riguardato dinamiche internazionali, apparati dello stato e dei partiti, primo fra tutti il Pci, e le mene del KGB e degli altri servizi satelliti in Italia che solo molto parzialmente la commissione Mitrokhin ha disvelato.
E significherebbe anche ribaltare certe verità storico-giudiziarie che costituiscono, non da oggi, la marcia impalcatura di un sistema di potere che continua a fondarsi sulla menzogna, non ultima quella proclamata nei tribunali di Bologna.
A quel sistema, dunque, va benissimo così; e gli schiaffi francesi li ha messi nel conto già da tempo.