Saharawi: il Popolo che non c’è – Hitler aveva promesso mille anni di pace se le potenze dell’Asse fossero uscite vittoriose dal secondo conflitto mondiale. Non potremo mai sapere come sarebbe andata a finire ma, di certo, sappiamo quanto effimera sia stata l’illusione di assicurare un mondo migliore affidandolo agli accordi di Yalta ed allo sguardo “interessato” delle Nazioni Unite.
Il mondo di Yalta
Si erano da poco diradate le nubi radioattive su Hiroshima e Nagasaky che già nuovi venti di guerra spazzavano la Palestina; l’Indocina; la Corea; Berlino; Budapest; il Kenia; la Malesia; l’Algeria; Israele; Cipro; Zanzibar; il Congo; il Vietnam; la Cambogia; l’Irlanda del Nord; l’Angola; il Mozambico; la Rhodesia; l’Africa del Sud Ovest; il Libano; il conflitto Iran-Iraq; il Nicaragua; il Sud Africa…per poi finire ai giorni d’oggi con la guerra del Golfo; l’Intifada; l’attacco Nato fratricida alla Serbia; l’aggressione all’Iraq; l’Afghanistan e per finire la guerra civile in corso in in Ucraina.
Pax democratica
È come se una diabolica mano, impugnando un enorme pennarello rosso, si fosse sbizzarrita a disegnare gabbie di orrore sull’intero cartellone, raffigurante il globo terrestre per poi firmare il tutto con lo pseudonimo di “pax democratica”.
Ma anche gli orrori, al pari delle sfilate di moda, hanno le loro stagioni e subiscono il gioco dei riflettori che mani esperte manovrano da lontano, fondendo luci ed ombre con consumata sapienza.
Ecco quindi prender forma il palcoscenico di Soweto, con le sue strade desolate, coperte di polvere e rifiuti ove migliaia di anime di colore si agitano furiose contro le forze che indossano la divisa del potere dei Bianchi per poi scendere d’intensità quando altre anime dannate, armate di sassi e fionde, cadono sotto i colpi delle armi automatiche dei soldati israeliani; sullo sfondo la complicità di un’informazione che sa alternare commenti duri a toni comprensivi.
Chiari e scuri, ampie coperture giornalistiche e silenzi studiati, sono gli elementi selezionati da chi fabbrica l’opinione pubblica per pilotarne gli umori nella direzione prestabilita.
Nel gioco delle luci rientrano gli attacchi spettacolari contro Bagdad e Belgrado da parte degli aerei americani, a sottolineare il loro ruolo d’invincibili gendarmi del pianeta: in quello delle ombre il conflitto nel Sahara Occidentale: sedici anni di guerra mai raccontati, con decine di migliaia di vittime e 32 di pace surrogata non sono ancora riusciti a sciogliere il nodo di un contenzioso che non avrebbe avuto ragione di esistere se la più grande potenza al mondo si fosse limitata ad accettare la volontà del governo spagnolo di allora sul suo possedimento d’oltremare, conosciuto come Sahara Spagnolo.
Autodeterminazione
Il diritto all’autodeterminazione, garantito da Francisco Franco, avrebbe dovuto concretizzarsi nel 1975, attraverso un referendum da tenersi fra gli aventi diritto al voto, regolarmente censiti, un anno prima, nell’ambito dei componenti delle tribù Saharawi residenti.
Con questo atto il Caudillo, giunto al tramonto della sua vita, intendeva saldare un vecchio debito d’onore verso un popolo che aveva contribuito alla sua vittoria, nella sanguinosa guerra civile spagnola (1936-1939), fornendo volontari di prim’ordine all’armata che, provenendo dal Marocco, sbarcò nella penisola iberica, affrontando i miliziani anarco-comunisti del Governo Repubblicano. Un desiderio che Franco porterà inesaudito nella tomba poiché, approfittando della sua agonia, un accordo segreto venne siglato a Madrid, il14 novembre 1975, fra Spagna, Marocco e Mauritania, per dividere il Sahara Occidentali in due parti, la zona settentrionale a Rabat e quella meridionale a Nouvakchott, fermo restando il diritto di esclusività per Spagna e Marocco sullo sfruttamento degli ingenti giacimenti di fosfati ed uranio di Bu Craa. All’accordo seguì un attacco militare a tenaglia, da nord e da sud.
Per le armate di Rabat, fiancheggiate da quelle della Mauritania, avrebbe dovuto essere poco più di un’esercitazione militare, oltre 60.000 soldati contro 100.000 civili inermi e qualche centinaio di guerriglieri male armati; ne è invece scaturito un sanguinoso confronto militare che si è protratto fino al 1991, anno in cui è subentrato in cessate il fuoco, ispirato dall’ONU, dietro la garanzia solenne ma mai rispettata della tenuta, entro il gennaio dell’anno successivo, di un libero referendum sul desiderio o meno, del popolo Saharawi all’indipendenza.
Kissinger, ancora lui
Artefice dell’accordo sotterraneo di Madrid fu l’onnipresente Segretario di Stato americano Henry Kissinger che ravvedeva, nel rafforzamento politico del Marocco, un’ulteriore possibilità espansionistica della sfera d’influenza USA nel Mediterraneo, mirante a sottrarre l’Egitto, stato cardine nel contesto strategico dello scacchiere Medio Orientale, dalla tentazione di farsi contagiare dalla politica di non allineamento, praticata da Algeria e Libia.
Con l’accordo di Madrid venne essenzialmente premiata l’ambizione, coltivata dal re marocchino Hassan II, di presentarsi come “monarca illuminato” ed affidabile, pronto ad aprire le frontiere del proprio paese al libero mercato ed alla CIA che farà di Rabat la principale stazione operativa del nord Africa. A questo affresco di facciata si contrapponeva la realtà di un comportamento assolutistico nei confronti del suo popolo manovrato, nella fedeltà al regime, da un esasperato nazionalismo che immaginava, con il ritorno al Grande Marocco, un passato lontano, la cui sovranità si sarebbe estesa anche sul territorio algerino e mauritano.
Da questo atteggiamento megalomane scaturì uno scontro armato con Algeri (1963) e l’occupazione militare del Sahara Occidentale (1975 ad oggi), appoggiandosi però su truppe dallo scarso spirito combattivo che, infatti, a migliaia saranno i primi clandestini a sbarcare sulle nostre coste, su barchini improvvisati, pur di non fare il servizio militare.
Saranno i nostri “vu cumprà” e lava vetri degli anni 90, di fatto disertori di un esercito che non li rappresentava o di cui forse, più semplicemente, non avevano il coraggio di servire. Più facile vagabondare per un’Italia “tollerante” che indossare una divisa intrisa di sabbia e sangue.
Il ruolo di Israele
Al momento di ottenere l’indipendenza dalla Francia (1956), nel Marocco risiedevano 350.000 ebrei, raccolti in una vasta ed influente comunità commerciale. Nell’arco di venti anni, la maggior parte di essi, verrà fatta emigrare verso Israele a seguito di un accordo “segreto” fra i due stati; re Hassan II utilizzerà quanti resteranno per scaltro interesse economico e politico, stimolando all’estero l’immagine di un regno arabo aperto al pluralismo ed alla tolleranza raziale e religiosa e così ingraziarsi i favori della Casa Bianca.
Vinto il supporto d’Israele, fu di logica conseguenzialità la nascita di uno stretto rapporto di collaborazione fra i rispettivi servizi segreti, non tanto per il raggiungimento di obiettivi pacifici ma per l’eliminazione dei nemici comuni. Al Mossad spetterà il merito principale del rapimento e della successiva uccisione di Mehdi Ben Barka, già insegnante di matematica di Hassan II, poi diventato suo oppositore. Sempre da Israele verranno le pressioni per forzare Washington ad appoggiare le mire espansionistiche del Marocco.
Il popolo Saharawi resiste
Saranno sempre Israele e gli USA a fornire la maggior parte degli istruttori militari e del materiale bellico per consentire al governo di Rabat di tentare di annientare la resistenza della popolazione Saharawi, organizzata militarmente e politicamente nel Fronte Polisario.
Fallita questa operazione, per l’imprevista resistenza opposta dai Saharawi, da Israele e dal governo americano verrà l’idea ed i materiali per realizzare la costruzione di quel muro fortificato che, per oltre 2.000 km, taglia trasversalmente il Sahara Occidentale a protezione degli interessi economici legati allo sfruttamento dei giacimenti di fosfati, di una delle coste più pescose al mondo e della presenza accertata di uranio, terre rare e petrolio nel sottosuolo.
Muro fortificato eretto sulla stessa geometria della Linea Bar Lev che, un tempo, schermava Israele dai possibili attacchi egiziani.
Re Hassan II
Re Hassan II ha contraccambiato i favori ricevuti accordando trattati economici di favore ed impegnandosi ad ammorbidire le posizioni antioccidentali dell’allora Gheddafi, arrivando a consentire agli agenti israeliani di monitorizzare le conversazioni di un summit arabo, tenuto a Tripoli alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni.
Il monarca di Rabat amò talmente il suo Paese da costituirsi un patrimonio personale stimato in 60 miliardi di dollari, interamente depositato su conti esteri. Patrimonio accresciuto dal possesso di circa un sesto delle terre coltivabili e di una tangente fissa sullo sfruttamento delle risorse minerari nei territori occupati. Un vero Re Mida, ben pagato dai suoi sponsor internazionali, Francia ed Italia inclusi, entrambe interessate nella vendita di armi.
Al momento della sua morte, nel 1999, erano stati costruiti 10 campi da golf, per uso personale, di cui uno, a Fez, con illuminazione notturna e poi la moschea regale di Casablanca, a lui dedicata, del valore di svariati miliardi.
Hassan II è certamente stato un sovrano buon amico d’Israele e del governo statunitense ma non del popolo arabo e, meno che mai, di quello Saharawi di cui ha usurpato la terra ed ha tentato il genocidio affinché i morti non potessero più rivendicare il diritto a parlare. Un genocidio attuato con mezzi brutali quali l’utilizzo di bombe al napalm ed a frammentazione o l’internamento senza processo, accompagnato dalla tortura che vedrà migliaia di dissidenti smarrirsi nel vortice di un vento che saprà di morte; oppure usando strumenti più sottili, quali favorire i giovani Saharawi, dei territori occupati, nell’accesso alle università marocchine al fine di allontanarli dalle loro radici etniche, proprie dei territori e delle tradizioni in cui erano cresciuti.
Un conflitto ignorato dall’occidente
La tragedia, ancora presente, del Sahara Occidentale è volutamente ignorata dai mass media per negarne l’esistenza, poiché ciò che non è documentabile, di fatto, non esiste.
I corpi dei caduti saharawi o marocchini, fra le sabbie di un deserto impietoso, non esistono; sono lì a marcire nel nulla di un conflitto scomodo, con cui l’Occidente non ha tempo di pensare ma solo di fare affari. I fosfati servono per l’agricoltura, così l’uranio ed il nuovo scoperto Coltan senza il quale non hai il telefonino di ultima generazione o la batteria per la macchina elettrica. Le migliaia di scheletri disseminati fra le dune non influiscono su What’s up, sono morti di una guerra che non fa notizia perché non interessa fare i conti con quel consumismo che riteniamo, a torto, essere civiltà. Vi è stata una guerra che ha dilaniato una regione arida ma piena di vita, per 16 anni per poi semplicemente cancellarla per mancanza di “convenienza democratica”, poiché alle cancellerie occidentali dava fastidio.
L’epopea dei guerrieri del deserto
Di un popolo del deserto che aveva osato opporsi ad un’armata “imperiale”, foraggiata da aiuti militari sofisticati, con la sola forza del proprio coraggio e determinazione oltre alle poche armi rimediate…Era meglio non parlarne, troppo scomodo, troppo imbarazzante; avrebbe voluto ammettere un conflitto che non doveva esistere sui tabloid del mondo che conta e riconoscere l’esistenza di un popolo condannato a rimanere senza nome. Una guerra anomala; combattuta senza testimoni, senza telecamere, senza fotografie se non le poche scattate da giornalisti che non amavano avere padroni e che, quindi, non contavano. Non vi erano i Tim Page od i Max Hastings o le Oriana Fallaci ad attivare le loro Leica o Nikon, non era il Vietnam ma solo un conflitto di periferia che non doveva interessare il New York Times od il Daily Telegraph; pochi i fotografi presenti ma senza seguito. Nel Sahara Occidentale la morte non aveva paga.
Lo sconosciuto viaggio della Meloni
Io vi ero ma per caso, non contavo nulla, un visionario nel territorio di nessuno; riuscirò a far uscire i miei articoli e le mie foto ma solo su giornali di frontiera, quelli che li leggono in pochi.
Avrò invece successo nello svegliare il mondo della Destra sul tema dell’autodeterminazione del popolo Saharawi ed ad avere spazio su di un campo Hobbit ed alcuni eventi organizzati da Alemanno per poi, nell’anno 2000, costruire un viaggio per Giorgia Meloni nei territori liberati dal Fronte Polisario che costituiscono la RASD, Repubblica Democratica del Sahara Occidentale.
Sempre senza clamore si sta ora svolgendo la farsa dell’accordo di pace, negoziato dall’ONU, fra le parti avverse nel 1991, per sottrarre il Marocco dalla pressione dei continui attacchi devastanti dei combattenti saharawi. Una pace ipocrita, volutamente lunga nell’attuarsi in maniera compiuta, emblematica per il modo usurante di come viene gestita. La tattica è chiara. Bisogna ammaestrare i ribelli, logorandoli nell’attesa con concessioni di circostanza per condizionare la vita di un popolo austero ma stanco di subire il ricatto di un futuro che è stato prefabbricato altrove.
L’ultima carica
Da qui la rivolta del 2005 nei territori occupati dall’esercito marocchino, conosciuta come “intifada per l’indipendenza” ed a seguire quella, più sanguinosa, del 2010 nel campo profughi di Gdeim Izik con decine di morti. Ma di che futuro parliamo? Un futuro drogato di aria condizionata, di uffici ben ammobiliati e tangenti, in un ambiente normalmente infernale: in cambio? Poca roba, solo spegnere l’anima della rivolta su tende destinate a diventare prefabbricati con tanto di parabolica. Persa l’anima …i Saharawi avranno anche il Mac Donald’s, magari con carne di cammello dello chef di turno…ed i giochi saranno chiusi per sempre.
Restano i rimpianti di chi, come me, ha vissuto l’avventura della vita ma saranno solo ricordi di un tempo antico in cui gli uomini combattevano per essere liberi. Io vivo di questi ricordi amari, mai digeriti; di sogni incompiuti; di avventure interrotte da giochi politici che non ho mai capito; frutto di un’ingenuità congenita che mi è servita solo ad assaporare il fango della disfatta.
Cosa resta oggi?
Così è stato in Rhodesia, così è stato in Sud Africa; così sarà nel Sahara Occidentale. Dicono che i sogni muoiono all’alba…è vero, anche se quelle albe erano talmente piene di colori e sfumature cromatiche intense da illudermi su di un finale diverso.
Ad oggi, larghe parti del Sahara Occidentale sono sotto il controllo militare di Rabat e conosciute come “province meridionali, quelle ovviamente più ricche, mentre un 20% rimane sotto la gestione del Fronte Polisario; un 20% di nulla; di territorio arido, inospitale, privo di risorse ove solo a Rabouni, sul confine algerino, è possibile sopravvivere grazie alla presenza di alcune sorgenti d’acqua, è qui che si concentrano le tendopoli e le strutture base dei rifugiati del 1975 oltre ad un ospedale di Medici senza Frontiere; il resto è in mano ai nomadi, gli unici in grado di sopravvivere nell’inferno di sabbia, gli unici veramente liberi e non ricattabili, capaci vedere il sole sorgere e tramontare su territori lunari che non interessano ad alcuno. Il resto?
Saranno i soliti protocolli stesi nelle cancellerie di chi ha interesse a sfruttare il territorio a determinarlo. Le terre rare servono a molti e così l’uranio, i fosfati e le aragoste pescate al largo di coste che Franco aveva deciso appartenere ad un popolo amico, oggi declassato ad essere fantasma.
Enrico Maselli