Utero in affitto: La fabbrica di giocattoli viventi – Eppure, non è difficile risolvere il problema una volta per tutte: è sufficiente modificare una norma del codice penale.
Sempre che s’intenda veramente mettere la parola fine all’indecente e vergognosa pratica dell’utero in affitto, della compravendita di bambini.
Quanti sono, infatti, i reati commessi i quali e le “condizioni sociali” in cui ci si può trovare, in base ai quali un bambino può essere sottratto dal giudice alla famiglia d’origine e dato in affidamento o in adozione a una nuova famiglia?
Non pochi e lo sanno bene specialmente i politici della Sinistra che, dal Forteto e Bibbiano, abusando di queste norme – grazie anche a servizi sociali pubblici e magistrati tutelari compiacenti -, hanno permesso o non si sono accorti quante volte i bambini siano stati strappati a famiglie che non meritavano un tale “vulnus” esistenziale, per favorire i desideri di qualche amico.
Soluzione semplice
Dunque, la soluzione è semplicissima, se si vuole davvero stroncare la sfruttamento delle donne, ridotte a fabbrica di “giocattoli viventi” per famiglie facoltose e viziate: basta prevedere nella norma che punisce il ricorso all’utero in affitto la pena accessoria della perdita dei diritti genitoriali con l’affidamento del bambino ad altra famiglia, tra quelle che onestamente – non potendone avere naturalmente – si mettono in fila per adottare un bambino, sottoponendosi a un iter burocratico spesso odioso che, quello sì, meriterebbe l’attenzione di un governo “nuovo” quale pretende di dimostrare d’essere quello in carica.
Tra l’altro, data la presumibile piccolissima età dei minori da tutelare, il rischio di traumi psicologici sarebbe ridotta pressoché, anzi, sicuramente a zero.
Di più: accolti in una famiglia dove il desiderio di genitorialità è vissuto e coltivato nel rispetto delle leggi, è probabile che i bambini crescano in un ambiente più sano, rispetto a quello che caratterizza coloro che i bambini li considerano alla stregua di un costoso “cadeaux”, di un “benefit” o comunque un “oggetto di lusso” che ci si può permettere perché c’è qualche disperata nel mondo che è disposta, per quattro soldi, a generarli e venderli.
Mercimonio diabolico
Per “quattro soldi” – è bene insistere su questo concetto -, dato che la parte più consistente, in questo mercimonio, è riservata a chi organizza questo commercio diabolico, lasciando alle gestanti solo una parte residuale del “bottino”.
Insomma, poche righe in un articolo da inserire nel codice penale, possibilmente così chiare e “tranchant” da non lasciare spazio d’interpretazione all’operatore al magistrato chiamato ad applicarlo. Se i “riccastri” annoiati, gay o eterosessuali che siano, fossero messi così, con le spalle al muro, nella consapevolezza che i loro soldi, tutt’al più, andrebbero a coronare il sogno di chi sa veramente accogliere in famiglia un bimbo apparentemente meno fortunato di altri, il traffico ignobile di bambini perderebbe ogni appetibilità: sia per chi fosse intenzionato a ricorrervi sia per chi lo organizza e ci lucra sopra.
Ripetere giova: a chi dovesse scandalizzarsi, gridando quanto sia ignobile sottrarre un bambino alla “famiglia” in cui è inserito, si ricordino quante siano le situazioni in cui questo già accade in nome della legge e – giusto perché non è mai opportuno farsi fare la morale dagli “scriba” d’ogni risma – quanto si sia abusato, in un recente passato, di queste norme, sopra a tutto da parte di chi oggi si fa paladino dei diritti dei bambini.
Non potendo più mangiarli, evidentemente.
Massimiliano Mazzanti