Lepore, il capo (stinto) degli ultimi Comunisti – La scena è celeberrima: a Brescello bisogna seppellire la maestra Cristina, passata a miglior vita con un ultimo desiderio: essere accompagnata al cimitero con la bara avvolta nella bandiera con lo stemma sabaudo.
La questione è politica e approda in consiglio comunale, dove Peppone, zittendo “i reazionari”, chiede il parere solo alla maggioranza.
Parlano in tre e, pur con toni diversi, si oppongono a che in paese si possa celebrare un tale rito, per quanto funebre e di una persona “venerata” da tutti.
Cosa ne pensa don Camillo? L’erculeo parroco chiede di ascoltare il sindaco.
E qui Peppone – cioè, Giovannino Guareschi – regala alla letteratura italiana e non solo una memorabile, semplice e profondissima, battuta: <In qualità di sindaco, io non posso che approvare le vostre decisioni> – risponde ai consiglieri suoi compagni – <siccome, però, in questo paese non è il sindaco che comanda, ma i comunisti, in qualità di capo dei comunisti, io vi dirò che me ne infischio del vostro parere: la signora Cristina andrà al cimitero con la bandiera che ha voluto, perché vi dirò che io, personalmente, rispetto più lei morta che voi tutti vivi. E se qualcuno ha qualcosa da obiettare lo faccio volare giù̀ dalla finestra>.
E don Camillo, ben soddisfatto, <cede alla violenza>.
Ecco, Matteo Lepore è un novello Peppone – ma in sedicesimo, visto che il suo profilo e il copione che recita sono stati scritti in qualche grigio ufficio di Legacoop, mica nella solare e affettuosa bassa padana, sulle rive del Grande fiume -, il quale si comporta, al contempo, sullo Ius Soli, in modo uguale e contrario al suo collega immaginario.
Infatti, oltrepassando disinvoltamente il sottile confine che divide le responsabilità istituzionali dall’attivismo partitico – forse anche per cercare di rimediare alla figuraccia sui toponimi cittadini -, s’intrufola in una scuola grazie al “pass” di “primo cittadino” per parlare d’immigrazione; poi, una volta dentro, non illustra ciò che le leggi prevedono in materia o sulle norme che regolano la cittadinanza; ma, ricordandosi di essere il Capo dei comunisti, veste la maglia del provetto “Agit-prop” e sproloquia su quanto farà o farebbe se fosse addirittura alla guida del governo, propagandando le tesi del Pd tra i minorenni impossibilitati anche a distrarsi mentre “quel vecchio” parla.
Lo stile stalinian-culatello
Certo, Lepore non comanda i comunisti, ma solo i “democratici” – o “pidioti”, come preferiscono dire i più -, ma lo stile è esattamente quello “stalinian-culatello” immortalato in <Mondo piccolo>. Anzi, quasi esattamente: perché in Peppone la bonomia e il buon senso prevalgono sulla fede politica; in Lepore, invece, il livore ideologico soffoca ogni ragionevolezza e il rispetto per il ruolo che svolge. Lepore non si ricorda d’essere il <capo della banda> per soffocare gli eccessi verbali e temperamentali dei suoi gregari più accesi; fa il bullo del branco per interpretarne proprio la faziosità più estrema e viscerale e bastonare quegli avversari che, però, sarebbero comunque anche suoi “amministrati” di cui aver cura. Bologna non più la Dotta, ma Ri-dotta: un recinto delle manifestazioni peggiori della residua “volontà di sopraffazione” della Sinistra italiana.
Ricerca del consenso tra i bambini
Poi, è chiaro, Lepore va anche capito: riducendosi al lumicino gli elettori del Pd tra gli italiani che – magari più per sviluppo anagrafico che per studio – hanno maggior consapevolezza delle cose del mondo; è normale che provi a cercare nuove leve di consenso tra i bambini ancora inconsapevoli di gran parte della realtà e ancor privi dei mezzi critici per afferrare l’indecenza dell’operazione mediatica del sindaco.
Anche questo è un segno dell’evoluzione politica, da Lenin alla Schlein: se i bambini non si possono più mangiare, almeno li si indottrini ben benino. Non resta da vedere, quindi, come cederà alla violenza, in questo caso, il don Camillo di turno, cioè, il governo: si limiterà a dichiarazioni per la stampa, rivendicando solo sul palcoscenico del teatrino della politica i diritti dello Stato nell’organizzazione e nella Didattica della Scuola pubblica e privata; oppure, finalmente, richiamerà chi di dovere affinché sia sbarrato il portone degli istituti d’istruzione a chi pensa che tutte le elementari, le medie e le superiori di Bologna e del Paese non siano altro che differenti e molteplici sezioni delle Frattocchie?
Succubi della sub-cultura sinistra
A breve, ricorrerà l’anniversario del barbaro assassinio di Sergio Ramelli e vale la pena ricordare come, prima ancora che dalla mano che impugnava l’Hazen 36, quel ragazzo venne ucciso dall’ignavia dei suoi professori, dal conformismo comunista che regnava nella scuola italiana, dalla vigliaccheria di una Pubblica istruzione succube della sub-cultura della Sinistra.
E ricordando a quali eccessi si possa arrivare facilmente – quando si trasforma la Scuola da luogo di studio, come la immaginò e la plasmò, per esempio, Giovanni Gentile, a campo di addestramento militante per future “Guardie rosse” di un’auspicata “rivoluzione culturale” dei figli contro i padri, come la preferì Mao-Zedong -, è auspicabile che il ministro Valditara, facendosi forza proprio del suo nome, faccia capire a Lepore come, nelle aule e nei laboratori, il Peppone sia lui o, meglio ancora, le istituzioni e le leggi della Repubblica; come nelle aule e nei laboratori s’insegni secondo la programmazione ministeriale, non i programmi o i desideri o le farneticazioni del Nazareno. Ed è auspicabile che lo faccia immediatamente, prima che qualcuno individui e trasformi i luoghi di concentrazione dei ragazzi italiani nel terreno di scontro su cui trascinare il governo e le sue strutture esecutive.
La generosità e l’entusiasmo dei ragazzi – come ben ricordano chi quella qualifica l’ha persa da tre o quattro decenni – sono immensi e forieri di straordinari e imprevedibili risultati; ma anche fonte di immani e incalcolabili rischi e sciagure, se manipolati con malizia e diabolicità.