Sudafrica post-apartheid e possibili parallelismi con l’Europa – Le parole di Paola Egonu servono per calamitare l’attenzione su un presunto razzismo nei confronti degli immigrati di colore.
Italiani razzisti?
Stando ai fatti tale ostilità è meno accentuata di quanto certa pubblicistica faziosa lasci immaginare. Non fosse altro che, chiacchiere e idee e parte, gli italiani appaiono anche troppo tolleranti o addirittura arrendevoli di fronte a un’immigrazione di massa dai contorni ormai sempre più insostenibili.
Il rischio è di trovarsi irrimediabilmente sopraffatti di qui a qualche decennio. Mai lezione più esemplare, a simile riguardo, ci viene offerta dalla storia del Sudafrica.
L’insegnamento del Sudafrica
Gli Europei giunsero nel XVI sec presso il Capo di Buona Speranza e qui fondarono la prima colonia che più tardi darà sviluppo alla Repubblica Sudafricana.
Inizialmente queste terre, a parte sporadiche presenze di gruppi nomadi boscimanoidi, erano pressoché disabitate e vergini.
Il clima temperato e la regione impervia rendevano refrattarie le etnie africane a insediarsi in quelle terre.
Succede poi che per merito dei laboriosi contadini boeri il Sudafrica progredì in modo miracoloso.
Tutto ciò attirò gli appetiti delle popolazioni bantu che dal Mozambico piombarono in massa nella nuova colonia contenendo ai bianchi la sovranità dei territori in prossimità dell’Orange.
Conflitto che nel lungo termine sfocerà da un lato in iniziative di autotutela del governo “afrikaner” come il regime di sviluppi separati (apartheid) e dall’ altro in rivolte e azioni di guerriglia anti-bianca fomentate tra gli altri da Nelson Mandela, dai comunisti e dai vari circoli antirazzisti mondiali.
Si giunse così agli anni Novanta con la fine dell’apartheid e il trionfo di Nelson Mandela da cui consegue l’ascesa dei neri al governo nazionale sudafricano.
Disfatta boera
I bianchi da civilizzatori e padroni si ritrovarono presto ridotti a minoranza discriminata e completamente emarginata dal consesso pubblico. I Governi Mandela e poi Zuma hanno fin da subito adottato misure “egualizzartici” che impediscono di fatto l’ingresso degli afrikaner nelle amministrazioni pubbliche.
Tale impedimento concerne perfino quei posti riservati a personale qualificato e preparato.
Che pur di non destinarli ai bianchi, unici in grado di svolgere meritoriamente tali mansioni, il ministero preferisce lasciarli vacanti con pesanti ricadute sul funzionamento dell’intera macchina amministrativa.
Oggi il Sudafrica, dopo trent’anni di governo nero (ANC), è sull’orlo della bancarotta, con delinquenza dilagante ed enormi squilibri sociali malgrado le promesse paradisiache di un paese giusto, prosperoso e armonico fatte da Mandela a suo tempo.
Al disagio cronico dei neri e dei coloured delle township si aggiunge anche quello di circa 100.000 bianchi immiseriti delle aree urbane, costretti a vivacchiare di vari espedienti in estemporanee baracche e roulotte di periferia.
Resistono invece nei loro poderi, gli agricoltori discendenti dei boeri, i quali però devono difendersi continuamente dagli assalti dei neri.
Continue aggressioni alla popolazione europea
La cronaca degli ultimi anni abbonda di eccidi di bianchi compiuti in corrispondenza delle fattorie agricole. Alcuni dei quali con risvolti a dir poco macabri, con corpi di donne squartati, croci infilzate in petto e membra devastate.
Da siffatti particolari di efferatezza si comprende in toto la natura razziale e prevaricatrice di tali delitti.
Ad alimentare la campagna d’odio bantu contro i bianchi provvedono movimenti come il BLF (Black First Land First), che conciliano il marxismo-leninismo con il razzismo anti-bianco.
All’uopo ripescano un vecchio inno mandeliano risalente ai tempi della lotta antiapartheid: “kill the boer” (ammazza il boero).
Il BLF è sulla stessa lunghezza d’onda del Black Live Matter statunitense.
È provata, inoltre, la concordanza tra questi due movimenti, anche nei metodi vocati apertamente alla violenza.
La condizione dei 4 milioni di bianchi sudafricani sfiora il dramma e se alcuni, come ad Orania, scelgono di compaginarsi in piccole comunità identitarie cristiane quali ultimi avamposti di resistenza e di sopravvivenza, altri invece rimangono sempre più orientati lasciare il paese.
Più di 800.000 “europei” sono emigrati dal Sudafrica dopo il 1994. Molti di essi hanno trovato riparo in Australia, ben accolti dagli agricoltori locali.
Il pericolo per l’Europa
Ora è evidente che in Europa il quadro differisce da quello sudafricano per proporzioni numeriche e retaggio storico.
Esistono da noi ancora margini di riscatto per non finire soverchiati dal processo migratorio in corso. Certo che se tale tendenza dovesse perpetuarsi unitamente a quella relativa al declino demografico dei popoli europei, si aprirebbero scenari terrificanti davanti ai nostri occhi.
Le menate antirazziste della Egonu appaiono al cospetto generale come patetiche e banali, ma sono la certificazione di un dato di fatto.
Che la propaganda antirazzista cresce, è volutamente alimentata e può in futuro aprire il varco a possibili sommovimenti neri sulla falsariga di quelli sudafricani e afroamericani.
Non è improbabile una presa di coscienza da parte loro, sorretta anche dalla consapevolezza di un nostro infiacchimento morale e fisico.
A quel punto sarà sufficiente che un caporione più carismatico della stessa Egonu o di un Soumahoro raccolga appieno una tale istanza da complicarci ulteriormente l’esistenza e rendere sempre più arduo un auspicabile cammino di riconquista identitaria.