Giuseppe Girolamo l’eroe di Alberobello – Sono passati undici anni da quel terribile giorno, quando, per i passeggeri del Costa Concordia, il viaggio dei sogni si trasformò nel viaggio da incubo. Il 13 gennaio 2012 naufragava davanti all’Isola del Giglio con 4.229 persone a bordo la nave da Crociera della compagnia “Costa Crociere”.
La nave, troppo vicina all’isola, si incagliò su alcuni scogli sommersi, In quel momento, il comandante Francesco Schettino e i suoi sottoposti stavano effettuando il cosiddetto “inchino”, una serie di manovre che vengono compiute nelle vicinanze di insediamenti costieri come forma di saluto verso chi osserva da terra. Non si trattava di un evento eccezionale. Come poi dichiarò l’allora ministro dell’Ambiente Corrado Clini, l’inchino era una pericolosa “consuetudine” della tradizione marinara.
La famosa registrazione
Quella sera una serie di valutazioni sbagliate e incomprensioni portarono la nave a urtare gli scogli, causando un grosso squarcio sullo scafo. “Sono passato sotto qua, ho preso con la poppa un basso fondale”, dice Schettino nella registrazione di una chiamata poi ripresa dai giornali. “Ci stava questo piccolo scoglietto qui”. La Concordia, a quel punto, iniziò a imbarcare un enorme quantità di acqua che causò un blackout su tutta la nave. Il fragore, provocato dall’urto, i turisti nel panico. Qualche minuto dopo, dagli altoparlanti arrivarono le prime rassicurazioni.
C’era stato un problema tecnico, si diceva, ma gli addetti stavano lavorando per risolverlo e la situazione era sotto controllo. L’ordine di indossare i giubbotti di salvataggio e dirigersi alle cosiddette “muster station” arrivò solo tre quarti d’ora dopo l’impatto, alle 22:33.
Qualche minuto prima, dopo una serie di tentennamenti, Schettino aveva anche ammesso alla Capitaneria di porto che la nave aveva una falla e aveva chiesto un rimorchiatore. A questo segnale di emergenza, non seguì subito l’ordine di abbandonare la nave: un ritardo che rese più difficili le operazioni di evacuazione.
Fu allora che avvenne il “famoso” dialogo tra il Comandante Schettino e l’allora Comandante della Capitaneria di Porto Gregorio De Falco. Schettino era venuto meno all’obbligo più importante per un comandante, ovvero quello di abbandonare la nave per ultimo in caso di naufragio per poter coordinare le operazioni di salvataggio. Invece Schettino abbandonò la nave senza aspettare che tutti i passeggeri della nave scatenando l’ira di De Falco “Vada a bordo c….!!!”.
Iniziarono le operazioni di soccorso, molti passeggeri si lanciarono in acqua visto che la nave si inclinava sempre più, il ritardo nel dare l’allarme e i danni rilevati ad alcune scialuppe di salvataggio resero più difficile i soccorsi.
La storia di Giuseppe Girolamo
E proprio a causa di questa situazione, che Giuseppe Girolamo, un giovane musicista di Alberobello (il paese dei Trulli) si trasformò da semplice dipendente di Costa Crociere in un eroe. Giuseppe era già sulla scialuppa di salvataggio, sarebbe mancato poco e sarebbe stato fuori pericolo, si sarebbe salvato, sarebbe tornato presto dalla sua famiglia ad Alberobello, ma il suo destino era un altro, era quello di essere ricordato per sempre come “l’angelo della Costa Crociera”.
Tutto accadde in un attimo, alla scialuppa si avvicinò una famiglia, un padre ed una madre con i loro gemellini di tre anni in braccio, ma non c’era posto per tutti, gli fu detto di dividersi, ma come avrebbero potuto dividersi, chi dei due bambini sarebbe stato sacrificato, chi sarebbe rimasto su quella maledetta nave con la consapevolezza che probabilmente non avrebbe più visto il resto della famiglia?
E fu in quel drammatico momento che Giuseppe si fece avanti, non ci pensò a lungo, non poteva lasciare che quella famiglia si dividesse e lasciò il suo posto e scese dalla scialuppa.
Gesto eroico
Non ci è dato sapere se Giuseppe era consapevole che il suo gesto eroico gli sarebbe costato la vita, ma sicuramente era in grado di capire che il suo gesto era altamente pericoloso per la sua vita, ma non esitò e oggi una famiglia vive felice grazie a lui.
Un ragazzo di cuore, un simbolo di coraggio, un ragazzo buono che, quella notte, dimostrò al mondo intero cosa significava essere un eroe. Quella notte, oltre a Giuseppe morirono altre 32 persone e 157 rimasero ferite, ma per tutti i passeggeri quel maledetto 13 gennaio rimarrà per sempre impresso come un incubo che torna ogni notte a tormentarti.
Tutta Italia si unì al dolore che aveva colpito le famiglie delle vittime ed in particolare a quella di Giuseppe che divenne il figlio di tutti, eppure, dopo pochi anni, come spesso accade in Italia, Giuseppe fu dimenticato dalle Istituzioni. Nonostante le continue richieste da parte dell’amministrazione di Alberobello, per Giuseppe non era arrivata nessuna medagli al valore, nessun riconoscimento per l’angelo della Concordia.
Incredibile reazione della politica
Perfino un Militare della Marina Italiana, insignito al valore, scrisse a Mattarella per chiedere di trasferire la sua onorificenza a Giuseppe in quanto lo riteneva più giusto, ma nemmeno il suo gesto servì a convincere il Quirinale a consegnare una medaglia alla famiglia del musicista eroe. E non servì nemmeno l’appello della mamma dei gemellini a cui Giuseppe lasciò il posto sulla scialuppa.
Solo nel 2022, dopo dieci lunghi anni dalla tragedia, si sono decisi a ricordare degnamente Giuseppe. Certo, una medaglia non restituirà Giuseppe alla sua famiglia e ai suoi amici di Alberobello, nulla potrebbe farlo, ma almeno così il suo sacrificio verrà ricordato a lungo. Ad Alberobello hanno gioito per il giusto riconoscimento ma resta l’amarezza per l’attesa di 10 anni quando invece sarebbe stato logico e giusto un riconoscimento immediato.
Figlio di Puglia
Ma in Italia non funziona così, Giuseppe non era politicamente schierato, era figlio della Puglia e non di un paese straniero, era un giovane bello e solare e non appartenente ad un genere “diverso” da quelli canonici; in sostanza non un eroe da rivendersi da questo o quel partito politico, associazione, sindacato, lobby.
Giuseppe era un semplice ragazzo di paese che amava la musica e la vita e che un giorno decise che salvare la vita di una famiglia valeva il prezzo di rischiare la sua. Non so realmente cosa ha pensato in quel momento, ma so cosa sto pensando io scrivendo queste righe per ricordarlo: penso che fosse un grand uomo, penso che i politici Italiani dovrebbero chiedere scusa per questi 10 anni di attesa, penso che ricordando il suo gesto in me si scatenano tantissimi stati d’animo diversi ma, soprattutto, mi rendono orgoglioso di essere Italiano perché questo paese, amato ed ammirato un tempo, deriso ed umiliato ora, è il paese dove è nato un grande eroe che rispondeva al nome di Giuseppe Girolamo, l’angelo della Costa Crociera.