Sindacalismo Rivoluzionario: intervista a Valerio Arenare parte 2 – Continuiamo l’Intervista con Valerio Arenare del Sindacato Sinlai parlando ancora di Sindacalismo Rivoluzionario e Sindacalismo Burocratico.
Tornando all’articolo del Fatto Quotidiano sulla manifestazione di San Ferdinando di Puglia che il giornale intitolò “La Battaglia del Grano” con chiari riferimenti al Ventennio, fosti definito il “Sindacalista Nero” evidenziando la tua appartenenza a movimenti di Estrema Destra
La mia appartenenza politica non è un segreto, basta cercare il mio nome su Google per trovare tutta la mia vita, i miei trent’anni di militanza politica sia quando risiedevo a Salerno sia da quando mi sono trasferito a Roma.
Non ho mai nascosto le mie simpatie politiche, ma il Sinlai è sempre stato apolitico e lontano dai partiti, all’interno ci sono collaboratori di diversi partiti che collaborano insieme per il bene dei lavoratori.
E’ normale che, un sindacato, scelga qualcuno con cui dialogare, e sappiamo benissimo che Cgil, Cisl e Uil per decenni sono stati la spalla, manco troppo invisibile, dei partiti di Governo, noi siamo scesi in piazza in maniera autonoma, specie negli ultimi anni, e ai nostri lati c’erano solo movimenti di estrema destra, mai visti i cari compagni difensori dei deboli e degli oppressi, mai visto nessuno di loro.
Mentre noi protestavamo per i diritti dei lavoratori, i compagni protestavano per i diritti dei trasgender e fluidi vari, per favorire l’immigrazione incontrollata, per contribuire alla distruzione del nostro paese.
Pertanto, se dobbiamo parlare con qualcuno per chiedere appoggi, se in piazza troviamo solo i movimenti di estrema destra, se gli argomenti che trattiamo li sostengono solo i movimenti di estrema destra, con chi dovremmo colloquiare?
Iniziassero a fare meno iniziative fatte solo per il ritorno pubblicitario o per moda e a fare più iniziative utili per i lavoratori e le famiglie Italiane e noi non avremmo nessun problema a dialogare anche con loro.
Successivamente destò scalpore un manifesto del Sinlai in cui si vedevano dei lavoratori extracomunitari con le bandiere della CGIL e la scritta sotto: “Noi facciamo il lavoro che la CGIL non vuole più fare”. In quell’occasione fusti accusato di razzismo e furono oscurate tutte le pagine del Sinlai.
Quel manifesto uscì poco dopo la rivolta di San Ferdinando di Puglia, fu un manifesto polemico in quanto, mentre i lavoratori delle aziende florovivaiste erano in piazza a protestare per l’innalzamento della paga giornaliera, la CGIL era in un paese vicino per una manifestazione a sostegno dei lavoratori extracomunitari per il diritto al permesso di soggiorno.
Semplicemente dicevamo la verità, noi facciamo ciò che la CGIL e le altre sigle non vogliono più fare ovvero difendere in primis i diritti dei lavoratori italiani.
Altra polemica fu scatenata durante una tua intervista su Radio Rai in cui, tra i vari argomenti, parlasti della necessità di ristabilire il requisito di cittadinanza italiana per concorsi, chiamate dirette al lavoro ed assegnazione case popolari.
Io ritengo che in un paese con difficoltà economiche e con un grosso problema di disoccupazione, specie per gli ultra-trentacinquenni, senza considerare il problema edilizia popolare, non possiamo non dare la precedenza ai nostri connazionali.
Uno stato che non riesce a garantire un lavoro dignitoso al proprio popolo, un tetto sulla testa e una speranza per il futuro, non può occuparsi anche di chi viene da altri paesi.
Bisogna essere obiettivi e, purtroppo, anche impopolari quando serve, oggi l’accoglienza è solo un business e uno strumento per accalappiare consensi politici e sindacali visto che oggi è di moda essere buonisti e benpensanti, ma poi bisogna fare i conti con la realtà e con le possibilità economiche e le capacità strategiche di un paese e nel nostro caso l’accoglienza senza se e senza ma diventa un danno per il paese e per il popolo, ma anche un’illusione per gli immigrati stessi che, una volta arrivati in Italia, vengono abbandonati a se stessi e quindi facile preda della malavita organizzata, specie in alcune aree dove la
La mafia nigeriana la fa da padrona e che, tra le principali attività, ha proprio lo sfruttamento dei lavoratori extracomunitari in agricoltura ed edilizia o l’utilizzo di extracomunitari nelle attività di spaccio, prostituzione ed estorsione.
Quindi, per il bene del popolo, del paese, ma anche degli stessi stranieri, bisogna adottare delle politiche serie ed anche impopolari impedendo l’ingresso incontrollato degli extracomunitari nel nostro paese e dando la precedenza nel lavoro e nell’assegnazione delle case popolari agli Italiani, questo non è razzismo ma sopravvivenza.
Gli altri sindacati ed i partiti politici, specialmente a sinistra, non la pensano come te
È normale, ma non illudetevi, non lo fanno perché sono i salvatori dei poveri degli oppressi, ma solo per motivi economici e per accrescere il loro potere.
Parlando di sindacati, l’arrivo degli extracomunitari è stato da sempre una grande fonte di guadagno, l’extracomutario porta più pratiche sindacali e di patronato rispetto ad un italiano, ha bisogno di maggiore assistenza specie se non capisce bene la nostra lingua, basti pensare che la stragrande maggioranza delle vertenze sindacali o tentativi di conciliazione nel nostro paese sono richieste per conto di extracomunitari.
Poi le tante pratiche per il rinnovo dei permessi di soggiorno, ricongiungimento familiare, corsi di Italiano, corsi di formazione sulle norme in tema di lavoro in Italia, pratiche per colf e badanti (in maggioranza sono stranieri), bonus e tanto altro ancora, tutti soldi che entrano nelle casse dei sindacati tramite operazioni diretto o per mezzo di CAF, Patronati ed Enti di Formazione costituiti da Sindacati ed associazioni di categoria, senza parlare del fatto che i sindacati sono anche proprietari di ONG o del fatto che spesso li utilizzano per le manifestazioni di questa o quella categoria a cui partecipano spesso senza nemmeno sapere bene il tema.
Quindi vi lascio immaginare il perché tanta bontà nei confronti degli extracomunitari e il perché di tanto poco interesse nei confronti degli Italiani. Pensate che sono arrivati, in alcune aziende, a chiedere tavoli delle trattative per discutere sul venerdì di preghiera o sul cibo multietnico in mensa fregandosene dei rinnovi di contratti o degli scatti di anzianità.
Al momento collaborate con qualche altro sindacato?
In passato abbiamo collaborato con diversi sindacati, in particolar modo con il SICEL, purtroppo avevamo vedute diverse sul come portare avanti le lotte sindacali e quindi si è conclusa la collaborazione dopo qualche anno.
Da alcuni anni collaboriamo con le federazioni Sanità e Metalmeccanici di Confintesa e ne siamo felici in quanto riteniamo che Confintesa sia l’unico sindacato realmente apolitico e che si avvicina più di tutti alla nostra idea di sindacalismo rivoluzionario.
Tra l’altro tra i dirigenti ci sono Giustino D’Uva, Alessio Minadeo e Sandra Di Blasio a cui sono legato anche da un rapporto di amicizia profondo e con i quali collaboro da anni in iniziative a sostegno dei lavoratori delle loro categorie.
Persone che stimo per il loro impegno sindacale che li ha portati ed essere in prima linea in grandi battaglie per la difesa dei lavoratori, basti pensare alla regolarizzazione dei precari dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma o negli stabilimenti Atlantis del Centro e Sud Italia.
E per il futuro?
Continueremo ad informare i lavoratori sulle varie norme e regolamenti in tema lavoro e previdenza sociale.
Siamo pronti a scendere in piazza per sostenere tutte le battaglie per i diritti dei lavoratori, come stiamo già facendo con la collaborazione di Confintesa Sanità e Confintesa Metalmeccanici per chiedere maggiore sicurezza sui posti di lavoro, altro tema dimenticato da sindacati e politici nonostante le centinaia di migliaia di infortuni denunciati, alcuni dei quali mortali, sono nel 2022. Ma soprattutto continueremo a chiedere che il tema lavoro diventi il tema principale della discussione politica.
Un augurio per il nuovo anno?
Che il 2023 sia un anno pieno di lotte e vittorie sindacali e che segni l’inizio della rinascita del nostro paese, ma questo potrà accadere solo se i lavoratori, capiranno che sono solo loro gli artefici del proprio destino e che possono diventare protagonisti del cambiamento.
Ma per fare questo devono anche avere il coraggio di ribellarsi, di scendere in piazza, di rifiutare i compromessi e, se necessario, ribellarsi anche ai sindacati tradizionali scegliendo una strada più difficile seguendo sindacati che, negli anni, hanno dimostrato di essere realmente dalla parte dei lavoratori composto da volontari e non da sindacalisti stipendiati, da sindacalisti rivoluzionari e non da burocrati, da lavoratori che lottano per i propri diritti e per i diritti degli altri lavoratori e non da ragionieri che vogliono solo accrescere le casse proprie e delle loro sigle, da uomini e donne di coraggio e non da speculatori in doppio petto.
Ecco! Io auguro a me stesso, al Sinlai e a tutti gli Italiani che il 2023 sia l’anno del ritorno al sindacalismo rivoluzionario!
Redazione