NATIVITATE DOMINI: GESU’ LUCE E SOLE PER IL MONDO.
Teologia, arte ed iconologia sul mistero del Natale in un capolavoro di Gherardo delle Notti.
“L’adorazione dei pastori “ di Gerad van Honthorst più comunemente soprannominato Gherardo delle Notti, fu commissionata nel 1617 da Piero Guicciardini per la cappella di famiglia nella chiesa di Santa Felicita a Firenze. La tela di oltre tre metri per due, fece grande scalpore in città. Colpì a tal puto Cosimo II de Medici che questi ordino a Honthorts quattro opere. La pala rimase sull’altare fino al 1863 per poi passare alla Galleria degli Uffizi.Un’autobomba scoppiata nel maggio del 1993 presso la vicina Accademia dei Georgofili ha irreparabilmente danneggiato l’Adorazione.
GESU’ LUCE E SOLE PER IL MONDO
Quando l’occhio incontra l’ Adorazione dipinta da Gherardo, quasi per reazione a quell’improvviso fascio di luce, accade uno sbattere di ciglia. Non si è preparati a tanta intensità luminosa soprattutto nelle chiese ancora illuminate a candele e torce.
Nella mente qualcosa si mette in moto ed arriva la risposta. E’ in apertura della Bibbia
“ In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: “sia la luce!” E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamo la luce giorno e le tenebre notte: e fu sera e fu mattina: primo giorno.”
Dal nulla la creazione muove i primi passi; dalla culla il bambino appena nato illumina la notte santa. Chi gli sta intorno diventa riconoscibile perchè c’è lui, diversamente niente prenderebbe forma ne avrebbe una fisionomia in quel buio cupo. Oggetti e persone non apparirebbero, quasi non esistessero. Non avevano detto gli antichi filosofi che la luce rientra negli elementi fondamentali e primordiali dopo l’acqua, l’aria la terra, il fuoco?
E il vescovo scienziato Roberto Grossatesta, docente a Oxford in pieno Medioevo, non ha forse elaborato la metafisica delle luce sostenendo che “la luce non è una forma posteriore alla corporeità, ma è la corporeità stessa”.
Basilica di San Marco Venezia, Cupola della Genesi.
Così nell’inno delle lodi mattutine musica e canto affidano alla poesia eterne verità:
“E noi che di notte vegliammo, or verso la luce guardiamo. O cristo, splendore del Padre , vivissima luce divina, in te ci vestiam di speranza, viviamo di gioia e d’amore”.
Honthorst affida alla forza evocativa del colore di mostrare la nuova origine dell’uomo.
Il vecchio mondo scompare nelle tenebre della notte per per rigenerarsi nella luce che il bambino irradia con il suo corpo. Non proviene da nessun altro luogo se non dalla culla.
La vita nello scorcio di Betlemme ritorna al momento primordiale del tempo.
Si ripete: “Sia la luce! E la luce fu!”ma con una nuova corporeità, quella di un bambino che guarda la madre e dà chiarore al piccolo universo che gli sta intorno, lo dà dalla nuda terra quasi fosse un fuoco acceso e un sole che sorge.
Il quadro, in controtendenza rispetto alla pittura che imponeva la corrispondenza dell’arte con il vero della natura, inverte la logica della fonte di luce. Honthorst preferisce la via forte del simbolismo. La scena potrebbe sembrare ingenua e irrealistica, ma il significato non da luogo a equivoci: Cristo è la luce del mondo!
Per le medesime ragioni simboliche, la Chiesa stabilì di far coincidere ma nascita di Gesù con la data del 25 dicembre. Se sulla veridicità storica dell’evento non si sono dubbi, è invece impossibile risalire al giorno e al mese. Per la Chiesa d’Oriente, il 25 dicembre va sostituito con il 6 gennaio. Le poche notizie disponibili dicono che nell’anno 138, al tempo di papa Telesforo, viene istituita la messa di mezzanotte per celebrare la nascita di Gesù. Ma occorre attendere l’anno 354 per vedere ufficializzato nel calendario il 25 dicembre come la data in cui “natus es Christus in betleem Judaeae”.
Nell’antichità riteneva coincidere con il solstizio d’inverno, il giorno finiva di accorciarsi e il sole ricominciava a proiettare il suo dominio che lo avrebbe condotto ai trionfi dell’estate.
L’imperatore Aureliano (270-275 d.C.) aveva dedicato quel giorno ai festeggiamenti del “natale del sol invictus”, in onore del dio Mitra, riconosciuto fonte della luce.
La festività pagana venne trasformata in solennità cristiana: Cristo che si incarna diventa il vero sole in grado di illuminare le profondità dell’uomo.
LA PARTECIPAZIONE E’ STUPORE
Abbagliati, i pastori di Gherardo delle Notti portano la mano alla fronte per attenuare il fascio di luce che li investe. Vogliono vedere e tenere giochi spalancati sul bambino che reclina il capo rivolgendosi a Maria e Giuseppe. Lui stesso sembra stupito di tanta festa intorno alla mangiatoia. Sente le voci di quegli uomini semplici che bisbigliano, sorridono. Che sorpresa hanno trovato. Il Salvatore è proprio un bambino, grande come un neonato, nudo e indifeso come chi ha da poco varcato la soglia dell’esistenza.
Eppure qualcosa lo differenza da tutti gli altri bimbi. Occorre contemplare per rendersene conto. Honthorst offre un campionario incredibile di sguardi, l’uno diverso dall’altro.
Di ciascuno si leggono stati d’animo e intensità diverse, quasi a mostrare la gradazione della meraviglia che si approssima alla condivisione piena del miracolo di Cristo-uomo.
In un clima di contemplazione parlano il silenzio e la gioia che si muovono nell’animo dei presenti.
L’espressione dei volti, il moto delle labbra, i gesti delle mani, l’inalarsi delle sopracciglia, la posizione del capo, raccontano quanto sta accadendo dentro le persone.
La luce ha risvegliato la coscienza e il cuore batte di commozione, già pensa che cosa fare: gridare la gioia provata ed annunciare che a Betlemme è nato il Salvatore.
Anche Maria e Giuseppe vengono trascinati nello stupore generale. Essi, che sapevano quale disegno di Dio avrebbero dovuto compiere, appaiono i più stupefatti.La preghiera e l’adorazione che molti quadri sottolineano con l’austera posizione dei genitori inginocchiati, qui vengono espresse con il sorriso della tenerezza e della meraviglia.
Maria apre il lenzuolo che avvolge Gesù per mostrare l’Emanuele, il Dio con noi, ma anche per ringraziare quel bambino.
L’annuncio ha trovato compimento: “le grandi cose dell’onnipotente” ora riposano sulla terra. Maria fissa Gesù e gli parla nel segreto, Gesù l’ascolta e sembra dire: “Grazie”.
Immediatamente gli occhi cadono su di Lui. Si viene rapiti.
Il resto scompare per affiorare a cerchi concentrici in un secondo momento.
Ad una meraviglia improvvisa subentra una pacificazione che cresce man mano che lo sguardo si lascia attrarre da Gesù.
E’ la serenità che trasmette “l’incarnazione”.
LA CHIAMATA ALLA TENEREZZA DEL MISTERO
Cristo è nato, ma il mondo ancora non lo sa. Il mistero corre nelle parole di Maria e Giuseppe. Attraversa gli sguardi, freme in ogni movimento. Madre di Dio: solo il pensiero fa tremare e avvolge nella vertigine. Attimi di intensa intimità e così personali da restare segreti. Tacciono infatti gli evangelisti. “Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose mediandole in cui suo” scrive Luca, nulla di più. L’impensabile è realtà.
Il mondo attendeva ignaro che l’antica promessa vedesse il compimento. Nessuno l’avrebbe scoperto se non fosse intervenuta una chiamata.
Ecco, “in quella stessa regione c’erano dei pastori che vegliavano all’aperto per fare la guarda al loro gregge. L’angelo del Signore si presento a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce: essi furono presi da grande spavento. Ma l’angelo disse loro: non temete, perchè io vi annuncio una grande gioia per tutto il popolo: oggi nella città di Davide, è nato per voi un salvatore che è il Cristo, il Signore. Questo vi servirà da segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia (..) Andarono dunque in fretta e trovarono Giuseppe Maria e il bambino. Dopo averlo veduto riferirono quello che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si meravigliavano delle cose che i pastori dicevano loro”.
Avevano conosciuto di persona il Figlio di Dio, Come restare estranei?
In quelle ore di silenzio, governate dalla serenità notturna avevano vissuto l’incontro della loro vita. Giunto inaspettato avevano vissuto l’incontro della loro vita.
Giunto inaspettato, avevano immediatamente aderito all’invito celeste.potevano temporeggiare, non l’hanno fatto. Anzi, il loro “SI” li ha portati davanti a un bambino: una persona reale, non un’illusione.
Nell’adorazione dei pastori Dio insegna una pedagogia: Cristo si condivide.
E’ un rapporto di comunione stretta; da qui prende forma la conversione che genera una compagnia ed anima la comunità della Chiesa.
Andiamo con ordine. Innanzitutto quando Gesù nasce, qualcuno sta vegliando insieme alla Vergine e a Giuseppe. Mentre tutti dormono i pastori hanno occhi ed orecchie all’erta, vigilano sul gregge. Ogni piccolo segnale attira la loro attenzione. Non tutto è insidia.
Può accadere dell’altro e chi è desto sa distinguere. I pastori, che aspettano il mattino, odono un richiamo e non rifuggono la chiamata. Sanno accogliere la novità, ne sono incuriositi al punto di volere vedere, Non perdono tempo, non rinviano l’appuntamento:
raggiungono il “fatto”.
L’uomo vive l’attesa anche se non ne ha piena coscienza. Desidera la felicità. Quando non sa darle un nome, chiama inquietudine” lo stato d’animo di ricerca.
E’ l’esistenza che rivendica un significato pieno. I Pastori interpretano questa tensione e la traducono i risposta immediata. Non solo, essi diventano metafora della condizione umana: c’è chi lavora aspettando il cambiamento e chi trascorre il tempo nella sonnolenza.
La vigilanza contrapposta all’insensibilità all’indifferenza.
Chi vive il ritmo della storia arriva a distinguere i segni delle novità.
Altri odono la chiamata di Dio e non la rifiutano, ma neppure la prendono in considerazione. In loro lavora la distrazione da sé. Il “fatto” sta davanti a noi ma non lo vediamo, ci parla ma non ne sentiamo la voce, tanto siamo presi in altri pensieri lontani dal desiderio di trovare la verità di noi stessi.
Chi risponde “si” partecipa ad una grande gioia.
Il Si di Maria, il Si di Giuseppe, il Si dei Pastori, il Si dei Magi..
Scrive Edith Stein: “ Dio si fece figlio dell’uomo, perchè i figli degli uomini potessero divenire figli di Dio. Egli si è fatto una cosa sola con noi.
Questo è il mistero mirabile del genere umano: che tutti siamo una cosa sola.
Egli venne per essere un Corpus mysticum: Egli è il capo, noi le sue membra.
Poniamo le nostre mani nelle mani del Santo Bambino, rispondiamo il nostro “ Si “al suo seguimi e saremo suoi e sarà fatta sgombra la via per la quale la sua vita divina da lui può fluire a noi. Ecco l’esordio della vita eterna in noi. Non è ancora la visione beatifica di Dio nella sua gloria, è ancora la notte oscura della fede, ma già è qualcosa che non è più di questo mondo, già è partecipare del Regno.”
EccoVi il capolavoro di Gherardo delle Notti, come era e come è stato ridotto dalla violenza disumana di uomini senza Dio.
Buon Santo Natale.
Alessandro Prof. Dott. Tamborini
*Plenipotenziario per le politiche di tutela e promozione del patrimonio storico-artistico-demo-etno-antropologico. Professore di Scienze Religiose, Storia e Simbolismo dell’Arte Antica e Medievale.
Testo tratto da: “ I colori del Natale “ di Giovanni Santambrogio.
Nella prima esibizione monografica su Gherardo delle Notti (Gerrit van Honthorst 1592 – 1656) è stato elaborato un particolare allestimento che vede protagonista la pala che si pensò perduta nell’attentato mafioso degli Uffizi nel 1993: l’Adorazione dei pastori. Quei frammenti e le polveri di colore abrase dalla tela, ritrovate dopo la violenza della bomba terroristica, furono ricollocate in un paziente restauro che fu presentato nella decennale ricorrenza del 27 maggio 1993, nel Salone dei 500 alla presenza del Presidente della Repubblica Italiana Carlo Alberto Ciampi. L’opera oggi è un monito morale “s’è fatta memoria di quella stagione buia, assurgendo però nel contempo a simbolo anche d’una rinascita orgogliosa” (A. Natali). Era l’1:04 del 27 maggio 1993 quando Cosa Nostra fece esplodere in Via dei Georgofili un Fiat Fiorino carico di 277 kg di tritolo, rubato poche ore prima in Via della Scala. L’esplosione fece crollare la Torre di Pulci, sede dell’omonima Accademia, dove abitavano la trentunenne Angela Fiume, custode dell’Accademia, suo marito Fabrizio Nencioni di 39 anni, ispettore dei vigili urbani, e le loro due figlie, Nadia di 9 anni e la piccola Caterina, di appena 50 giorni. Nell’attentato morì anche uno studente, Dario Capolicchio, arso vivo nell’incendio che si propagò dopo la deflagrazione nelle case circostanti l’Accademia. L’attentato – commesso sulla scia degli atti terroristici esplosi all’indomani della chiusura il 30 gennaio 1992 del maxi processo di Palermo – non solo uccise innocenti ma distrusse per sempre anche opere di inestimabile valore nella vicina Galleria degli Uffizi, tra le tante: l’Adorazione di Pastori, capolavoro di Gerrit Van Honthorst, il Concerto musicale e i Giocatori di Carte di Bartolomeo Manfredi.
La scelta di piazzare il furgoncino carico di tritolo nei pressi dell’Accademia dei Georgofili e della Galleria degli Uffizi non fu affatto casuale: Cosa Nostra colpì non solo la sacralità della vita umana ma anche l’arte, la cultura, la bellezza, tutto ciò che rende gli uomini diversi dalle bestie. Cosa Nostra non voleva solo punire lo Stato per aver stroncato l’organizzazione mafiosa di cui era a capo, decise di alzare il tiro, uccidere degli innocenti non era più sufficiente, lo Stato doveva essere colpito al cuore, distruggendo e cancellando quella parte indissolubile e coesiva di una società civile: il suo patrimonio culturale. Cosa Nostra voleva farci diventare come loro.