La fiction RAI sull’omicidio La Torre – Quando il PCI gli remava contro
Questo 2022 segna, tra le sue ricorrenze, l’anniversario della morte dell’On. Pio La Torre materialmente assassinato dalla mafia a Palermo il 30 aprile 1982 insieme al suo autista e collaboratore Rosario Di Salvo. Nel ricordo di questo martire, militante e dirigente del Pci, Walter Veltroni ha realizzato un film documentario, andato in onda sulla Rai, dal titolo “Ora tocca a noi”.
La fiction segue uno schema classico, descrivendo la vita dell’On. La Torre fin dalla giovane età, narrandone lotte e battaglie, il tutto impreziosito dalla testimonianza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha sottolineato l’importanza della legge, volta a contrastare la mafia, che porta proprio il suo nome accanto a quello dell’allora ministro di Grazia e Giustizia, il democristiano Virginio Rognoni.
La legge Rognoni-La Torre
La legge Rognoni-La Torre, per l’appunto, previde il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e la confisca dei beni delle cosche. La sua approvazione e l’opposizione alla base missilistica Nato di Comiso costituirono i motivi dell’eliminazione di La Torre.
Si può dire che dal punto di vista del resoconto storico-politico e della vita del deputato comunista, Veltroni abbia svolto un lavoro diligente, utilizzando gli archivi ufficiali. È nell’esposizione degli eventi di maggior rilievo legati alla condotta politica di Pio La Torre, che il documentario non ha saputo andare al di là della ricostruzione conosciuta, rimanendo ancora nascosti nell’ombra alcuni aspetti legati al delitto, che avrebbero potuto, ove esplorati fino in fondo, far emergere, oltre la matrice mafiosa, anche motivazioni di carattere diverso.
La fiction non è comunque riuscita nell’impresa di beatificazione del Partito comunista siciliano che tutto era tranne che un baluardo di autentica lotta alle consorterie criminali, come lo stesso Pio la Torre finì per scoprire.
Intrecci criminali
In quell’anno 1982, egli possedeva una visione completa del territorio e conosceva perfettamente l’esistenza d’imperi finanziari controllati da strutture di livello superiore della mafia stessa. Nei mesi precedenti il suo assassinio stava componendo un puzzle con pezzi che trovavano collocazione ed incastro perfetti in un contesto criminale coordinato da menti raffinatissime e senza scrupoli.
Ebbe incontri segreti e particolari, parlò con agenti di servizi segreti americani, precisamente dell’Eir che gli rilasciarono dichiarazioni che l’onorevole comunista non sottovalutò. Gli parlarono di un’operazione chiamata in codice “Operazione Incubo”, ossia una sorta di colpo di Stato separatista in Sicilia. La Torre annotava tutto e indagava. Vicende, queste, ormai di dominio pubblico, riportate anche in un libro scritto a quattro mani dal giornalista Paolo Mondani e dall’avvocato Armando Sorrentino.
Cadaveri eccellenti
Ma c’è qualcosa che al racconto televisivo sfugge. Il Partito di Berlinguer in Sicilia non era affatto schierato a fianco di Pio La Torre. In quegli anni, in Italia, avvennero fatti di sangue drammatici e misteriosi, come il sequestro e l’uccisione del presidente della DC Aldo Moro e, due anni più tardi, l’omicidio del presidente della regione Siciliana Piersanti Mattarella.
E poi, qualche mese dopo l’omicidio La Torre, nel settembre del 1982 l’assassinio del Generale Dalla Chiesa e della moglie. Una strana curiosità lega i due uomini: entrambi, al momento dell’agguato mortale, stavano ricoprendo i loro incarichi, rispettivamente prefetto di Palermo e segretario regionale del Pci in Sicilia, da 100 giorni. E’ noto quanto mafia e massoneria amino simbologie e date.
La Torre arrivò alla segreteria dopo una pesante debacle elettorale del Pci, Fu il suo predecessore, Giovanni Parisi, ad assumersi la responsabilità politica della sconfitta e a suggerire alla segreteria nazionale il nome di La Torre, collocato nell’ala di “destra” del partito, quale guida siciliana.
La sua designazione avvenne non senza forti contrasti. Quando Giorgio Napolitano, allora responsabile organizzativo del partito, avviò la discussione interna, si scoprì che quel nome era osteggiato tanto sull’isola quanto nel continente. La Torre riuscì comunque a spuntarla e in quei successivi cento giorni da segretario regionale iniziò a indagare su molti versanti, scoperchiando diversi altarini.
Collusioni del Pci con la mafia
Venne così a conoscenza di stretti rapporti tra esponenti del Pci, cooperative rosse e imprese collegate a mafiosi, in particolare a imprenditori quali i Cavalieri del lavoro di Catania. Gli affari tra Pci e consorterie criminali proliferavano da tempo nelle zone di Bagheria e Villabate, e La Torre era intenzionato a interrompere l’andazzo e a troncare i contatti del suo partito con quegli ambienti. Dirigenti di primo piano del Pci sapevano quanto scomoda e ingombrante fosse la presenza di uno come lui.
La Torre aveva già dimostrato solerzia e pulizia morale in diverse occasioni, come nel 1972, quando aveva preteso l’allontanamento dalla Commissione parlamentare anti-mafia di Giovanni Matta, persona, pur in assenza d’indagini e condanne, di dubbia moralità e con frequentazioni discutibili, caso di cui si occupò lo stesso generale Dalla Chiesa. Anche allora la spuntò, nonostante l’establishment del partito gli remasse contro.
Siamo quindi lontani dalla descrizione romantica di un Pci paladino della legalità, anzi. I nemici di La Torre non erano solo nella mafia e in apparati americani, ma si annidavano anche nel suo stesso partito. Ne è prova l’esclusione di esponenti vicini alle sue idee dal comitato regionale e la mancata espulsione di membri del partito collusi con la mafia.
La ricostruzione storiografica andata in ora sulla Rai soffre, quindi, di una visuale limitata dei fatti e ha finito per tradursi nella solita vulgata che ci consegna un Pci campione di moralità. In realtà, in quegli anni La Torre fu l’unico a capire che in Sicilia la mafia stava operando un salto di qualità, prestandosi a divenire il braccio armato di centrali di potere molto più elevate.
Politica, affari e cosche mafiose
Il deputato comunista lo comprese attraverso l’analisi e lo studio della politica internazionale. Aveva fiutato che dietro l’installazione dei missili americani a Comiso non era solo la mafia a guadagnarci ma anche e soprattutto altre potenti strutture. Quello di Pio La Torre non può e non deve quindi essere semplicemente liquidato come un delitto di stampo mafioso. Lo fu, certamente, ma la mano dei sicari di quel 30 aprile 1982 non fu armata solo dai corleonesi.
Ci sono omicidi che sono prettamente di stampo politico, perché eccellenti, perché indispensabili alla realizzazione di piani ideologici, militari ed economici, elaborati da menti raffinate e spesso connessi tra loro. Conclusioni a cui erano arrivati magistrati di alto valore quale Falcone e Borsellino oggi celebrati da un’antimafia autoreferenziale, priva della capacità di cogliere la vera posta in gioco e di attuare concretamente i propositi che martiri e vittime innocenti di quel sistema di potere politico-massonico-mafioso intendevano realizzare, come appunto Pio La Torre.
Di Igor Colombo