12 DICEMBRE 1969: Gli inglesi inventano la “Strategia della tensione”. Che ha fatto comodo anche all’URSS.
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Strategia della tensione. Quest’espressione ha accompagnato per decenni fatti e cronache degli anni di piombo, fino a diventare un marchio indelebile iscritto col fuoco nella storia della repubblica.
Il significato sta nelle sue parole: una strategia messa in opera da soggetti istituzionali per gestire, a proprio favore, il disordine. Anche attraverso il compimento di attentati e stragi, utilizzando canali e mezzi occulti.
Paolo Emilio Taviani
Torna in mente quanto scrisse Piero Buscaroli in un articolo apparso sul Giornale a metà degli anni novanta, quando rivelò che in un colloquio avvenuto una ventina d’anni prima col ministro degli Interni, Paolo Emilio Taviani, questi gli disse apertamente che “certe bombette le mettiamo noi”.
Le attività di provocazione poliziesca, soprattutto ai danni di gruppi estremistici, ci sono sempre state e la confessione del capo del Viminale può meravigliare soltanto gli ingenui.
Meraviglierebbe, invece, che lo Stato e le sue istituzioni abbiano scientemente pianificato e favorito un programma terroristico così esteso e sanguinoso per attribuirlo a gruppi radicali, allo scopo di compattare la popolazione attorno ai governi in carica o, magari, giustificare una svolta autoritaria.
The Observer
È quanto sostenne, dopo la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, un giornale inglese, The Observer.
Cinque giorni prima dell’attentato, il quotidiano aveva pubblicato un articolo, a firma del corrispondente in Italia Leslie Finner. Questi aveva svelato l’esistenza di un presunto rapporto dell’ambasciata greca in Italia inviato al ministero degli Esteri ellenico dove si affermava che tutti gli attentati avvenuti in Italia erano opera di neofascisti, e ciò al fine di favorire, con la complicità del regime dei Colonnelli, un golpe militare in Italia.
Giangiacomo Feltrinelli
Tra gli attentati attribuiti all’estrema destra vi erano quelli del 25 aprile 1969, che la magistratura aveva invece imputato a elementi anarchici e dove risultava pure il coinvolgimento, per falsa testimonianza, di Giangiacomo Feltrinelli il quale, proprio il giorno precedente la pubblicazione dell’articolo, si era dato alla macchia sparendo dalla circolazione, pur non essendo raggiunto da alcuna misura cautelare. Muovendosi con cinque identità diverse fino alla notte della sua morte, fra il 14 e il 15 marzo 1972, dilaniato da una bomba che stava collocando accanto a un traliccio di Segrate.
Il documento si rivelò palesemente un falso e lo scoop una vera e propria bufala.
Solo una bufala o qualcosa di più?
Il 14 dicembre, The Observer pubblicava un ampio servizio dedicato alla strage di Milano. La bomba era esplosa alle 16 e 35 di venerdì e la domenica mattina il quotidiano inglese usciva in edicola con un pezzo dettagliatissimo, contenente dati, informazioni e particolari anche in esclusiva, tutti raccolti nello spazio di ventiquattr’ore. Di che stupirsi.
Lì, fu utilizzata per la prima volta l’espressione “strategia della tensione”. Attribuita all’allora nostro presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat il quale, secondo The Observer, sarebbe stato il punto di riferimento di un complotto politico-militare volto a scatenare, attraverso stragi e attentati, lo scontro sociale interno per provocare una svolta reazionaria.
Fondatore del PSU, Saragat si era staccato dal PSI per le sue posizioni massimaliste, entrando a pieno titolo nell’area decisamente anticomunista.
La Pravda
Il giorno successivo, da Mosca, la Pravda scriveva che “… era evidente che l’attentato può fare solo il gioco della reazione, di coloro che cercano di far girare indietro la ruota della storia, di privare le masse lavoratrici delle conquiste da esse fatte in passato…” mentre la Izvestia, riprendendo gli argomenti del falso scoop di The Observer, denunciava i legami fra Nato, colonnelli greci e neofascisti italiani.
Mettendo da parte il defunto regime militare ellenico e al netto della non ancora, allora, costituita P2, è lo schema su cui hanno puntato il PCI e la magistratura rossa per una ricostruzione ideologicamente orientata delle stragi, da quella di Piazza Fontana in poi.
Vale però la pena soffermarsi su un dato. Se può apparire comprensibile l’atteggiamento sovietico nell’accusare fascisti e Stati Uniti, meno chiaro risulta il perché un giornale di una nazione alleata si sia dedicato a un attacco così pesante – tale da coinvolgere addirittura un capo di Stato – verso l’Italia.
Il colonnello Gheddafi
Non va a questo proposito dimenticato che il primo settembre di quello stesso anno era avvenuto un fatto che aveva stravolto l’area mediterranea rovesciando i rapporti di forza al suo interno. Il colonnello Mu’ammar Gheddafi, con l’aiuto dei servizi di sicurezza italiani, rovesciava Re Idris I°, il quale era protetto da Londra. Ciò provocava un duro colpo ai danni dei Britannici, espulsi dal nuovo governo di Tripoli e privati delle loro importanti basi militari e l’avvio di una vera e propria alleanza strategica ed economica fra Italia e Libia.
Né si deve scordare che nel nostro paese – il tradimento dei vertici della Marina durante la seconda guerra lo dimostra ampiamente – ha operato un vero e proprio partito inglese. Anzi, si afferma anche che, al di là dell’utilizzo del nostro territorio per le basi militari statunitensi, il controllo politico ed economico del nostro paese, in virtù di segreti accordi postbellici di spartizione di aree di influenza fra i vincitori, sia stato affidato alla Corona britannica. E questo partito ebbe una sua influenza nella redazione di un libretto, apparso pochi mesi dopo l’attentato di Milano, intitolato significativamente “La strage di Stato”.
“La strage di Stato”
Scritto da persone appartenenti all’area di Lotta Continua, fra cui Marco Ligini, in una prospettiva di contro-informazione rispetto all’ipotesi anarchica, accusava dell’attentato gruppi neofascisti in combutta con apparati e uomini dello Stato – in particolare, Federico Umberto D’Amato, responsabile dell’Ufficio Affari Riservati, ritenuto uomo vicino alla CIA – anticipando l’inaugurazione della pista che un paio d’anni dopo avrebbe portato all’accusa contro Giorgio Freda e Giovanni Ventura. Tralasciando il ruolo ambiguo di quest’ultimo (Ventura collaborò alla redazione di quel libro, che divenne la base ideologica per la pista neofascista in cui egli stesso fu coinvolto), a fornire le informazioni agli autori furono uomini dei Servizi.
Alla morte di Marco Ligini, si scoprirono nel suo archivio originali di fascicoli del Servizio segreto militare, evidentemente trafugati, e si riferisce che egli era in contatto “con ogni probabilità” così scrive un rapporto dei Ros, con l’allora colonnello del SID, Nicola Falde. Questi era considerato, secondo alcune informative, di “simpatie marxiste” e aveva diretto, fra gli anni ’67 e ’69 l’ufficio Rei del SID (che si occupava dei rapporti con le grandi imprese), sottoposto a una forte influenza dei servizi segreti britannici.
La Commissione stragi
Secondo la relazione di minoranza della Commissione stragi, redatta dagli onorevoli Fragalà e Mantica, “ il libro La strage di Stato può essere considerato il frutto di uno scontro apertosi non solo all’interno delle nostre strutture di intelligence ma anche tra le fazioni dei servizi occidentali che potremmo definire d’influenza britannica e quelli d’influenza americana”.
E sarebbe ingenuo ritenere che gli interessi di Londra e quelli di Washington, solo in virtù della comune appartenenza al patto atlantico, debbano per forza coincidere.
Allo stesso modo, è del tutto normale che Stati in apparente conflitto convergano su una comune linea tattica per ottenere un medesimo risultato che giova ad entrambi, sia pur con una diversa finalità.
Depistaggio
The Observer pochi giorni prima della strage ebbe a realizzare un vero e proprio depistaggio, proseguito con un pesante attacco allo Stato italiano nell’ipotizzare una matrice fascista–istituzionale dell’attentato, tesi che seppur con sfumature diverse (matrice fascista-Usa) fu ripresa anche da Mosca. Il quotidiano inglese è tutt’altro che un giornaletto trash essendo vicino agli ambienti governativi, soprattutto laburisti. “Ma l’Observer – così hanno scritto gli on.Fragalà e Mantica nella loro relazione – è anche il giornale occidentale in cui l’infiltrazione del Kgb ha raggiunto, forse, i livelli più alti. Sotto la copertura di corrispondente da Beirut agiva Kim Philby, ex vicecapo del controspionaggio britannico, prima di fuggire nel ’63 a Mosca”.
Interessi di Regno Unito e Cremlino
L’indebolimento del nostro Stato attraverso l’attacco ai suoi governi faceva comodo sia al Regno Unito sia, per motivi diversi, al Cremlino. L’incolpazione di elementi anarchici non sarebbe stata funzionale ai loro scopi. Quella di elementi neofascisti in combutta con centrali interne “reazionarie” e anticomuniste invece sì. Rispettivamente, per colpire la politica italiana che aveva appena piazzato un duro colpo agli interessi di Sua Maestà e per accusarla di voler sopprimere le conquiste della classe lavoratrice.
E tralasciando, per ora, ogni considerazione circa la possibile strumentalizzazione di gruppuscoli che praticavano abitualmente l’uso di esplosivi, da parte di entità non italiane, ci limitiamo a osservare che la “strategia della tensione” si rivela nient’altro che un depistaggio ideologico.