La versione di Maria Pia Paravia sulla morte di Claretta Petacci – Don Pollarolo arrivò a Piazzale Loreto verso le ore 11:00, quando c’era già molta folla e Claretta Petacci era stata completamente denudata. Il parroco avanzò quando vide quello scempio urlando: “Largo, largo, lasciatemi passare. Questo scempio non si deve vedere”
Un gesto di civiltà
Tutti lo lasciarono passare. Don Pollarolo era conosciuto. Poi, davanti alla folla sorpresa e per un attimo ammutolita, si tolse di dosso una specie di spolverino coprendo così la Petacci. Era vestito da prete, non aveva l’abito militare da partigiano o altro. Aveva una specie di spolverino nero, abbottonato davanti. Se lo tolse davanti a tutti e fu con quello che ricoprì alla meglio il corpo della Petacci.
Tutti rispettarono il gesto.
Don Pollarolo si trattenne nelle vicinanze ancora un bel po’ di tempo, perché conosceva molti partigiani e parlava un po’ con tutti. Di quei cadaveri esposti la Petacci era l’unica donna.
Un amore oltre tutte le difficoltà
La colpa della giovane trentatreenne che la portò a una fine così oltraggiosa e infame? Aver amato l’uomo sbagliato, perché sposato. Sbagliato perché fascista. Sbagliato perché il Duce. Un uomo che amerà fino alla morte, nonostante tutto e tutti inclusa la notevole differenza di età, i suoi 20 anni contro i 50 di Benito Mussolini.
Il primo incontro a 20 anni
Ben, questo era il modo con cui la giovane donna si rivolgeva al suo amato nella fitta e costante corrispondenza epistolare. Lettere che la Petacci aveva iniziato a scrivere dall’età di 14 anni.
La sua prima lettera fu dopo l’attentato al Duce compiuto da Violet Gibson. La ragazza provava un profondo senso di ammirazione verso il Duce. Ma per incontrarlo dovrà aspettare altri sei anni , precisamente il 24 aprile 1932, quando Claretta con la madre, la sorella e il fidanzato stavano andando a Ostia.
La loro auto venne superata dall’Alfa Romeo di Benito Mussolini e lui si fermò per salutare i passeggeri delle auto che, avendolo riconosciuto, si era sbracciati in saluti frenetici e acclamazioni.
Claretta non esitò un attimo per farsi notare dall’uomo che aveva sempre ammirato. La ventenne scambiò qualche parola col Duce che, da grande ammiratore di bellezze femminili, la chiamò pochi giorni dopo dandole appuntamento a Palazzo Venezia per conoscerla meglio. Non si sa quando i due divennero amanti, si sa però che Claretta andava spesso dal Duce e la cosa venne notata.
Chi la conobbe la descrive come bella anche se truccata troppo pesantemente, ma lamentosa di carattere, ipocondriaca e soggetta a furie improvvise quando contraddetta.
Il 27 giugno 1934 Claretta sposò Federici, ma questo non mise fine agli incontri di Palazzo Venezia.
Non per nulla, il matrimonio naufragò nel 1936 quando la donna si separò dal marito. Nel 1941 la donna e il marito ottennero l’annullamento del matrimonio dalla Sacra Rota, o meglio il riconoscimento di nullità col quale, abbastanza ipocritamente, il matrimonio veniva considerato come mai avvenuto.
La lettera a Vittorio Mussolini
Claretta si interessò sempre del lavoro di Mussolini, dando consigli, parlando e sparlando di questo e di quello. L’amante però non chiese mai al suo amato di scegliere tra lei e la moglie donna Rachele che pur gelosa della giovane donna continuava la sua vita semplice crescendo i figli. “Io non chiedo nulla a suo padre e sappia che per lui darei tutto, anche la mia vita”.
Così scriveva la Petacci a Vittorio Mussolini, una volta che mamma Rachele era venuta a conoscenza della relazione tra il Duce e la Petacci. “Claretta mi scrisse una lettera commovente, con la quale mi convinse che il suo amore per papà era davvero grande e sincero”. E’ così che Vittorio Mussolini ricorda l’amante del padre.
“Ci eravamo appena trasferiti a Villa Feltrinelli, a Gargnano sul Garda – racconta Vittorio – Mamma Rachele aveva scoperto la relazione di papà con Claretta Petacci. Era scoppiato il finimondo. Io, che ero diventato il migliore amico e confidente di mio padre, cercai di convincerlo a lasciare la sua amante, ma accadde un fatto imprevisto“. Il “fatto imprevisto” è proprio la lettera sopra citata riuscendo infatti a fare breccia nel muro di ostilità e diffidenza di Vittorio.
1943
La relazione non era neppure ben vista dai gerarchi, che temevano un’eccessiva influenza di Claretta su Mussolini e lo esponevano a critiche sulla moralità della doppia vita fra moglie e figlie e amante. Tutto cambiò il 25 luglio 1943. Mussolini fu arrestato, imprigionato sul Gran Sasso, liberato dai tedeschi e portato a Monaco, dove si riunì con la sua famiglia compreso Galeazzo Ciano.
I Petacci scapparono da Roma rifugiandosi a Meina (NO)
La stampa, ora senza censure, poteva parlare liberamente della storia di Claretta e dei traffici dei Petacci, che ora erano in pericolo. Il 12 agosto 1943 i Petacci furono arrestati con pretesto di un mancato pagamento di tappeti e vennero liberati solo il 18 settembre, Mussolini rientrò in Italia il 23 settembre.
I Petacci si trasferirono a Villa Fiordaliso a Gardone mentre Mussolini risiedeva a Villa Feltrinelli a Gargnano con Donna Rachele e i figli. Claretta e Mussolini erano in costante contatto epistolare e telefonico, con Claretta che continuava a dare consigli e a tener su il morale di un Mussolini ormai ombra di sé stesso, ma Rachele, che aveva ascoltato una telefonata, non rendeva la vita facile al marito.
Una fitta corrispondenza epistolare
Tra Claretta e il suo Ben ci fu sempre una fitta e costante corrispondenza epistolare.
Una corrispondenza da cui emerge una donna ben lontana dall’amante che pende dalle labbra del Duce, devota e passiva anzi le risposte alle lettere tratteggiano invece una donna risoluta, che fa di tutto per pungolare il suo amato “Ben” a tornare a esser il Duce che aveva conosciuto appena ventenne. Prima di un incontro con Hitler, si spinge addirittura a dargli dei consigli su cosa dire quando si troverà di fronte il dittatore. “Tu devi sostenere il tuo diritto assoluto di decidere senza sindacare delle questioni interne italiane, nonché degli uomini che tu ritieni più adatti alla tua grandiosa e faticosa opera di ricostruzione”.
Ma è tutto inutile. Il 29 settembre 1944 gli scrive: “Caro bellissimo, la tua debolezza di fronte a uomini a te inferiori mi brucia e mi umilia. Ricordati, Ben, tu sei il Duce, il Capo, anche se di pochi, anche su di un metro quadrato di territorio, sei e sarai sempre Mussolini e per te si vive e si muore!”.
C’è un unico sussulto, dopo l’ultimo discorso del dittatore al Teatro Lirico di Milano del 16 dicembre 1944: “Finalmente! Tu non credevi più in te stesso e il popolo, pur credendo in te, non ti sentiva. Ora ti sei ritrovato in te e nel tuo popolo”.
L’ultima lettera del Duce per Claretta
Ma sono solo illusioni. Tutto precipita e nell’ultima lettera che Mussolini invia a Claretta, datata 18 aprile 1945, non si fa nessun accenno alla tragedia incombente, ma solo alla gelosia dell’amata: “Vedo che sei sempre bene informata. Ieri sera ho ricevuto la signorina Pia Piazzi e naturalmente sono accadute tremende cose. Non è accaduto assolutamente niente”.
Un Mussolini ormai stanco tenta di esorcizzare la fine indossando per l’ultima volta i panni del Don Giovanni, dell’uomo virile e risoluto che per vent’anni aveva ammaliato una nazione intera. Solo undici giorni dopo i corpi dei due amanti saranno uniti nello scempio di piazzale Loreto.
La versione di Maria Pia Paravia
Uno scempio però preceduto da ben altro da quanto emerge dalla versione fornita nel libro di Maria Pia Paravia: “Claretta e il fratello viaggiano in macchina insieme alla compagna di lui, Zita Ritossa, e ai loro due figli. Non è vero che sono nella stessa colonna di mezzi, tra i quali c’è la camionetta col Duce, come è stato sempre detto. Lungo il lago di Como l’auto dei Petacci viene fermata a un posto di blocco: Marcello si presenta come un diplomatico spagnolo, ma non viene creduto. I partigiani anzi riconoscono Claretta e la scaraventano fuori dall’auto.
Il massacro
Si compie allora il massacro: la Petacci viene malmenata, violentata e seviziata, coi carnefici che le urinano e le defecano addosso, prima di fucilarla. Intanto suo fratello Marcello si tuffa nel lago per salvarsi, ma viene crivellato di colpi, mentre la sua compagna viene a sua volta stuprata, e i due figli assistono attoniti alla violenza. Nessuno da allora, né la Ritossa né i suoi figli, uno dei quali ancora vivo, hanno mai pronunciato alcunché su quella vicenda, forse perché costretti al silenzio”.
Mussolini, sempre nella ricostruzione della Paravia, viene fatto prigioniero a Dongo il 27 aprile da un gruppo di partigiani, poi prelevato da un altro gruppo che decide di fucilarlo. L’esecuzione dei due a Giulino di Mezzegra sarebbe stata dunque solo una macabra messinscena. “Mussolini e Petacci erano già cadaveri: i loro corpi sarebbero stati crivellati di proiettili uguali solo per rendere più credibile quella versione. La Paravia ritiene anche che siano falsi i diari della Petacci conservati presso l’Archivio centrale dello Stato.
“Una donna di pura emotività, amava Mussolini in quanto uomo e non in quanto simbolo di potere”
Questo è quanto sostenuto dalla Paravia e quanto dimostrato dai fatti.