Occorre preliminarmente sgomberare il campo da un equivoco: l’insistenza con cui si marchia la condotta di Israele come genocida (con tutto il corollario evocativo che questo lessico specifico comporta) porta acqua proprio al mulino di Tel Aviv.
Evitarlo, per converso, nulla toglierebbe alla sacrosanta esecrazione dei vili delitti seriali ordinati da Netanyahu, semplicemente e logicamente sostituendolo con un uso semantico più appropriato (oggettivamente coincidente per vastità, crudeltà ed assenza di attenuanti o giustificazioni): strage di massa, massacro di inermi, sterminio di civili ingiustificato, omicidio volontario plurimo, continuato ed aggravato.
Quello è; sempre sono e restano inammissibili, da qualunque prospettiva le si guardi, le quasi 50.000 vite umane stroncate. Il dibattito linguistico e puro e sterile sofisma.
Scegliete voi come qualificarlo, e potremo limpidamente chiamare ed inchiodare il governo di Israele alle sue conclamate gravissime responsabilità.
Gaza e Cisgiordania
La conferma più evidente delle “praterie” lasciate aperte a IDF, sono le insperate ed inattese possibilità di chiudere varie partite aperte, sconfinando nella illegalità internazionale più sfacciata ed impunita, che affianca i crimini più gravi commessi a Gaza e Cisgiordania negli ultimi 13 mesi.
Molti hanno una origine genetica storica: la occupazione della striscia di Gaza (poi trasformata in una inumana galera a cielo aperto per oltre 2 milioni di persone) risale alla guerra dei 6 giorni (1967); quella di Cisgiordania, delle alture del Golan, e del Sinai (poi scambiata con l’Egitto a seguito della pace dopo la guerra del Kippur), al settennio che porta fino al 1974.
Oggi, nella impotente inerzia della comunità internazionale, hanno debordato in modo incontinente su 5 fronti: presidi militari e bombardamenti nelle aree formalmente controllate dalla Autorità Palestinese in Cisgiordania, armamento di squadre della morte e protezione degli insediamenti illegali a macchia di leopardo (con relativo corollario di omicidi, vessazioni, violenze ed espropri) dei coloni per lo più ultra ortodossi (da Nablus a Hebron sulla direttrice nord-sud); invasione e martellamento con missili di una parte meridionale dello Stato Sovrano del Libano, aggressione alle postazioni Sciite (e non solo) in Iran, per allargarsi poi senza remore, approfittando della sostituzione del regime laico di Assad con quello integralista della Jihad salafita, alle infrastrutture logistiche dei un altro Stato sovrano, ovvero la Siria.
ONU deriso
Non dimentichiamo poi gli avvertimenti di stampo mafioso (neppure tanto velati) nei confronti delle truppe Onu di interposizione autorizzate dal consesso internazionale.
Un consesso internazionale che assiste imbelle (ahimè nonostante la facciata ipocrita delle condanne formali) alla impunità arrogante del regime Israeliano.
Da sempre Tel Avi sfida e deride le Nazioni Unite e gli alti organi di giustizia internazionali, considerandone le risoluzioni di prescrizione e condanna come vuoti ed inutili proclami, anzi, vera e propria carta straccia.
Analizziamo solo le ultime e più recenti che pongono il sigillo su uno status di illegalità permanente che si procrastina senza soluzione di continuità da decenni facendosi beffe di regole e stato di diritto.
La risoluzione ONU
Nel dicembre 2022 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione A/RES/77/247 per chiedere alla Corte internazionale di giustizia di esprimersi: 1) sulle conseguenze giuridiche derivanti dalle pratiche di Israele in quanto potenza occupante in una situazione di occupazione belligerante dal 1967; 2) sul modo in cui tali politiche influenzano lo status giuridico dell’occupazione alla dei principi del diritto internazionale
La pronuncia ha constatato (condannandola) la posizione di Israele che considera la Cisgiordania un territorio conteso, e per questo vi ha trasferito popolazioni nelle colonie al fine di consolidare “sul campo” la propria posizione. In aggiunta ha annesso illegalmente Gerusalemme est con una procedura non riconosciuta a livello internazionale, si (rectius: era) è ritirato da Gaza nel 2005 pur mantenendo il blocco del territorio a seguito della presa di potere di Hamas nel 2007.
In altre parole: Israele NON HA ALCUN diritto alla sovranità o all’esercizio di poteri sovrani in nessuna parte dei Territori Palestinesi Occupati
Inoltre, le restrizioni globali adottate nei confronti dei palestinesi, costituiscono patenti misure discriminatorie sistematiche, in oggettiva ed incontestabile violazione del diritto internazionale.
In sintesi, estrema e finale la Corte ritiene che l’occupazione non possa essere utilizzata in modo tale da lasciare indefinitamente la popolazione occupata in uno stato di sospensione e incertezza e impone (purtroppo virtualmente) a tutti gli Stati e le organizzazioni internazionali non riconoscere “la situazione creata dalla presenza illegale dello Stato israeliano nei territori palestinesi” e di non inviare “aiuti o assistenza” che possano garantire la sopravvivenza degli insediamenti.
Sulla carta ….
Luca Armaroli
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