Nella Praga magica, una delle culle della Mitteleuropa, citando Angelo Maria Ripellino e Friedrich Naumann, ho avuto il piacere di partecipare al festival cinematografico in lingua tedesca Das Fülmfeste vedere in anteprima L’amore secondo Kafka, pellicola diretta da Judith Kaufmann e Georg Maas e tratta dall’omonimo romanzo di Michael Kumpfmüller. La bellezza di un evento come il Das Fülmfest è la sua umile bellezza e la possibilità che offre al suo pubblico: introdurlo a una filmografia culturalmente valida ma che purtroppo avrebbe molte difficoltà ad approdare sui grandi schermi, destinata quasi sicuramente a una limitata distribuzione.
Le sequenze di questa pellicola sono letteralmente struggenti, gioia e felicità di un Kafka affascinante, dallo sguardo di malinconica felicità, un ragazzo molto più alto della sua amata Dora, così magro e così esile, dall’aspetto debole ma forte in un sorriso che nasce alla vista e nella compagnia di Dora ogni qual volta che possono trascorrere il tempo insieme.
Lei, invece, Dora Diamant, si mostra al pubblico come donna determinata, robusta nel carattere e dal fascino magnetico, una donna che emana un forte senso di ribellione anche soltanto attraverso un abbigliamento che vuole rompere con le regole del suo tempo, ma al tempo stesso fermamente legata alla sua tradizione e alla Legge del suo popolo in quanto ebrea. La vitalità che emerge dalla compatibilità tra i due amanti è di una forza invidiabile, e dalla bravura attoriale lo spettatore sente molto bene la bellezza della qualità e della rarità del tempo che entrambi si dedicano l’un l’altro.
La donna di Kafka
È un Kafka vivo che vuole vivere, lontanamente distante dal tipico Kafka piccolo dentro e debole fuori, non è il sofferente Gregor Samsa che si lascia morire, al quale la scuola ci ha abituati; la figura che prorompe dal film è quella di un giovane uomo rapito nell’anima e nello sguardo incantato dal fascino e dalla bellezza marmorea di Dora, che possiamo definire la donna della sua vita. Tra i due esplode un amore detonante che convince Franz a prendere quell’atto di coraggio: la tanto agognata decisione di staccarsi dalla chioccia familiare opprimente e trasferirsi da Praga a Berlino, dove egli stesso ebbe a dire che «i fantasmi l’avevano perduto di vista: “questo trasloco a Berlino è stato una cosa meravigliosa, adesso mi cercano ma non mi trovano, almeno per il momento”. “Vorrei sapere” ripeteva ansiosamente a Dora “se sono sfuggito ai fantasmi”»[1].
Tuttavia, nonostante l’entusiasmo di Franz per aver seminato quei fantasmi, sarà proprio il suo caro amico Max Brod a scrivere: «Siamo nel 1923. Credo che a uccidere Franz sia stato proprio quell’inverno»[2]. Probabilmente, pur ritrovandosi accanto a Dora, la sua nuova vita a Berlino sarà per Franz l’inizio della fine, l’inevitabile aggravamento della sua malattia, non risparmiandosi nemmeno dal freddo berlinese nel suo piccolo appartamento riscaldato da una stufa a legna, dove è certo che, come riferì Dora, «per ordine di Kafka […] diede alle fiamme manoscritti di lui»[3]. Anni dopo si pentì di quella scelta, ma quello era il volere del suo Franz, un desiderio che però non venne rispettato dall’amico Max, il quale non mantenne la promessa di bruciare tutti i manoscritti di Kafka una volta che quest’ultimo sarebbe morto. E ancora oggi dobbiamo ringraziare il suo amico per aver disatteso a quella parola data.
La famiglia
Franz è un giovane uomo intollerante verso quanto può arrivare dalla sua famiglia in termini di aiuti, ha elaborato una vera repellenza nei confronti di quell’estrema ed eccessiva premura verso la quale non può fare altro che rispondere con una contro reazione negativamente percepita dai suoi familiari, tanto è che l’amico Max Brod, quando racconta a proposito del soggiorno del suo amico Franz a Berlino, quest’ultimo «si ostina infatti a vivere con la piccola pensione e soltanto nei casi estremi e con grande riluttanza accetta denaro e pacchi di viveri dalla famiglia»[4]; un sentimento di profondo disagio quello che Franz prova di fronte all’atteggiamento di eccessiva cura e sollecite preoccupazioni nei suoi riguardi.
Una condizione incomoda che percepiamo in modo nitido nella scena che ritrae Franz chiedere spiegazioni a Dora dopo che questa ha chiamato la famiglia di lui per chiedere un prestito affinché i due amanti potessero sostenere le cure mediche per Kafka, il quale non accetta il gesto di Dora e ne respinge immediatamente le benevole intenzioni proprio in virtù di quella personale necessità di mantenere la distanza dai familiari, le cui intrusioni sono percepite da Franz come un vero attentato alla sua necessità di sentirsi finalmente autonomo e indipendente, anche a costo di pagarne le gravi conseguenze a danno della propria salute; è sempre Brod a scrivere che «vede minacciata la sua indipendenza»[5]. Per Franz è un punto inamovibile e imprescindibile, sopra il quale non può accettare dei compromessi. Nemmeno quando vediamo il peggioramento delle sue condizioni.
Dora
Dora è lì, lo sostiene e lo aiuta, anche quando Franz le chiede di allontanarsi da lui perché è consapevole che il tempo a sua disposizione sarà breve. Ma lei è ostinata, lei lo vuole, e restare con lui fino alla fine è il suo desiderio, non vuole separarvisi, nonostante sappia quanto sarebbe doloroso se dovesse arrivare il momento del distacco.
Un distacco al quale Franz non vuole pensare quando è acceso dalla fiamma della vita, non vuole far pesare la sua salute gracile, vuole vivere con reale e positivo disincanto: «Franz parlava delle se preoccupazioni soltanto in forma scherzosa»[6]. Quando le sue condizioni peggiorano non demorde e arriva a scrivere che «“È una felicità regalare ciò che all’altro reca certissimamente e onestamente piacere”, “Bisognerebbe anche provvedere a che i fiori più bassi nel punto dove vengono pigiati nei vasi non abbiano a soffrire. Come si potrebbe fare? Meglio di tutto sarebbe usare coppe larghe”»[7]. Questa sua semplice, puerile e innocente premura sono disarmanti.
Se Franz «avesse conosciuto Dora qualche tempo prima, la sua volontà di vivere sarebbe stata più intensa e lo avrebbe salvato. […] Come le cure di Dora per il malato erano commoventi, così era commovente il tardo risveglio della vitalità di lui»[8].
Il sanatorio di Kierling
Quando la vita dei due amanti si sposta all’interno delle fredde e anonime stanze del sanatorio di Kierling presso Klosterneuburg, Franz e Dora sono proiettati in un limbo di insicurezza e paura, il timore che l’amato Franz non possa farcela è nitido, le sue condizioni non migliorano, la malattia risale i polmoni fino ad arrivare alla trachea che viene compromessa, impedendogli quasi irrimediabilmente la degustazione, tanto che nelle ultime settimane gli viene prescritto, se non ordinato di parlare il meno possibile. Di fronte alla sua sofferenza quando viene sottoposto a interventi chirurgici per alleviare i dolori, lo spettatore non può che percepire una scia di brividi lungo la schiena. È veramente commovente la scena che immortala l’esanime Franz nello sforzo di parlare per rivolgersi a Dora, che veglia sopra la sua esistenza come un angelo custode, con abnegazione struggente.
Uno dei migliori film di questi anni
La vita di Kafka è segnata da una tubercolosi che non gli lascia scampo, purtuttavia non è riuscita a impedirli di fare la conoscenza della sua amata Dora, la quale ha il merito di aver potuto tirare fuori il meglio di Franz, da quel corpo tanto alto quanto martoriato nell’anima, inquieta e agitata dai rapporti difficili con la famiglia e da un’esistenza difficile, in primis nel rapporto con sé stesso, in una lotta continua.
L’amore secondo Kafka è una pellicola Sentimentale, di un Amore che noi stessi fatichiamo a sentire, a vedere e a concepire; questa pellicola rimane una delle migliori mai andate in scena negli ultimi anni, ed è un peccato che, come di solito capita, non abbia ricevuto le giuste attenzioni per una meritata diffusione nelle sale.
Semplicemente parlando, ne vale la pena, è un film che vi farà sentire la vita e non potrete fare a meno di bagnarvi il viso di lacrime.
«Franz “Vive con tale intensità” dice Dora “che nella sua vita è morto di mille morti”»[9].
Riccardo Giovannetti
[1] P. Citati, Kafka, Milano, Adelphi, 2007, p.356.
[2] M. Brod, Franz Kafka. (Una biografia), Milano, Mondadori, 1956, p.226.
[3] Ivi, p.228.
[4] Ivi, p.226.
[5] Ibidem.
[6] Ivi, p.228.
[7] Ivi, p.233.
[8] Ivi, p.235.
[9] Ivi, p.226.
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Un film che vedrò. “L’amore secondo Kafka è una pellicola Sentimentale, di un Amore che noi stessi fatichiamo a sentire, a vedere e a concepire.”
Quello che si cerca tutta la Vita…
Grazie Riccardo