LGBTQIA+ … e la deriva del linguaggio
Manifestazione gestita da collettivi e attivist@ oppure attivist@ o ancora attivistƏ?
A pochi giorni dal “rivolta pride” (coì lo chiamano ora) si sente il bisogno scherzare sulla deriva politicamente corretta del linguaggio che altro non è che un vero stupro di quanto Dante e altri padri nobili hanno cercato di forgiare¸ con studio e devozione, da almeno sette secoli.
Anche il più scrupoloso e bendisposto osservatore rischiererebbe di trovarsi quantomeno disorientato di fronte alle bizzarre innovazioni che il c.d linguaggio (o linguaggia … non si sa mai che si offenda) inclusivo di genere ci sta propinando.
Questa sarebbe la nuova forma di espressione studiata con l’obiettivo di “promuovere la parità linguistica tra donna e uomo, contrastare le discriminazioni di genere ed eliminare gli stereotipi”.
Ma non è tutto; le frontiere del gender sono infinite ed inesplorate.
Non basta il linguaggio inclusivo, quello per cui attraverso la grammatica si esalta il ruolo della donna … (insomma, magistrata, pretora, giudicessa , imprenditora, sindaca, ecc. e tutto è risolto), ma soccorre pure quello neutro – che annulla i concetti di maschile e femminile.
Nessuno avrebbe potuto pensare a simili artifizi retorici per risolvere concretamente le differenze di trattamento tra uomo e donna (oppure uoma e donno…) nella società e nei luoghi (o luoghe ?) di lavoro: scrittura simmetrica, sdoppiamento integrale, sdoppiamento contratto, parole collettive.
Anche al lettore più tollerante ed aperto, scoppierebbe la testa e rischierebbe di impazzire.
La slash
Ma guardate, sono astuti ed arguti: impiegano lo slash (la barra /) per accomunare maschi e femmine, impiegano la formulazione impersonale per evitare la esplicitazione del soggetto nel costrutto sintattico, stravolgono i titoli professionali ed accademici, bontà loro, tollerano i termini epiceni dove l’accento viene messo sull’articolo (il/la) che determina il soggetto. Bene bravo/bis, ma non fermiamoci qui.
Come rivolgersi a persone “non binarie”?
Sì perché la preoccupazione di ogni padre (e se fosse madre?) di famiglia non è quella di garantire sicurezza, istruzione, serenità e futuro ai/lle propri/e figli/e, ma quello di proteggerlo dalla insidie del linguaggio popolare e volgare, con la scrittura (ma siamo sicuri che non sia “lo scritturo”) inclusiva.
E che dire, ma soprattutto come comportarsi, di fronte a simili vette?
“Mi sento più maschio d’estate e più femmina d’inverno” – si chiama “genere stagionale” … giuro è tutto vero!
Senza subire la tentazione di provare a ribadire con logica e pensiero naturale, basterà evocare l’immortale Albertone Nazionale … “ma parla come magni …”
Luca Armaroli
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